Diritti civili e democrazia digitale: intervista ad Aldo Luchi

Ho avuto il piacere di intervistare l’Avvocato Aldo Luchi, ex Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari e attuale presidente della Cellula Coscioni del capoluogo sardo. Luchi è un attivista impegnato per il progresso dei diritti civili e porta avanti con grande impegno le battaglie della Coscioni. Colpisce la disponibilità, il tu immediato e un concetto semplice, chiaro ed efficace: “Dare dei diritti a qualcuno che non li ha, non significa certo togliere qualcosa a qualcun altro”.




L’intervista

“Cellula” è semplicemente un nome che è stato scelto dall’associazione per identificare le realtà locali. Queste sezioni territoriali creano una ramificazione dell’associazione madre.  Non ha quindi un senso specifico anche se chiaramente l’immagine della cellula rimanda alla ricerca scientifica, uno dei principali scopi dell’Associazione Luca Coscioni.

La nostra attività consiste principalmente nella divulgazione delle iniziative dell’associazione, ma non solo questo. Un esempio delle nostre attività è la raccolta delle firme in occasione dei referendum, ma anche la richiesta alle autorità del rilascio di Open Data (dati non personalizzati che consentono la visualizzazione di numeri e percentuali senza risalire ai nomi degli interessati) su determinati argomenti. Ultimamente abbiamo richiesto alle regioni i dati sugli accessi alle interruzioni volontarie di gravidanza. Il nostro intento è capire come viene attuata la realizzazione pratica della legge 194 e in quali regioni la richiesta non è garantita.

Esattamente. La nostra finalità è quella di fare una stima che identifichi le regioni virtuose sul diritto riconosciuto dalla legge (sull’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza) e quali invece non lo sono. Certamente per la presenza degli obiettori, ma anche per la scarsa organizzazione delle strutture sanitarie.

La percezione che le persone hanno sul territorio dipende molto dalla capacità di comunicazione sia dell’associazione sia delle singole cellule, ma dipende anche moltissimo dall’argomento e dal tema che trattiamo. L’estate scorsa abbiamo avuto una risposta meravigliosa (quasi incredibile) sulle due proposte referendarie che sono state portate avanti: la proposta sull’eutanasia legale e quella sulla legalizzazione della cannabis. Due argomenti molto sentiti. Abbiamo raccolto circa un milione e mezzo di firme sull’eutanasia (molte persone conoscono la questione a causa di situazioni personali) e 750 mila sulla legalizzazione della cannabis. Questo rende evidente l’interesse che una parte della cittadinanza ha sui temi libertari che sono slegati da preconcetti di tipo etico e morale e che attengono alla concessione di diritti. Diritti che peraltro nulla tolgono ai diritti degli altri, che non vengono certo limitati. Su altri argomenti la sensibilizzazione è fondamentale. Un argomento che può essere preso come esempio è proprio la difficoltà di accesso ad alcune prestazioni sanitarie come l’interruzione volontaria della gravidanza di cui parlavo prima.

L’associazione in genere segue due percorsi diversi. Uno è quello di predisporre dei disegni di legge di iniziativa popolare, quindi di raccogliere sul territorio le firme dei cittadini ai fini della presentazione in Parlamento sperando che un qualunque parlamentare li sostenga. Abbiamo però notato che quando vengono assegnate le commissioni per la verifica preliminare, i relatori scelti sono spesso di matrice chiaramente contraria (per fare un esempio sul ddl Zan era stato scelto Pillon), e questo è uno dei motivi per cui poi i ddl non vanno avanti.

L’altro percorso è quello della disobbedienza civile.

È vero che se dovesse vincere il centrodestra ha dichiarato che non si occuperà di questi temi, ma è anche vero che è laconicamente lampante che i diritti civili, se non in casi sporadici, siano assenti da tutti i programmi di tutti i partiti.

Noi abbiamo una legge elettorale che prevede una raccolta di firme, ma i tempi stretti hanno costretto tutti i partiti a raccoglierle in agosto. Risulta contraddittorio che a sostegno del referendum fossero state riconosciute le firme digitali e invece per la presentazione delle liste non siano state ritenute conformi.

Viviamo in una democrazia molto strana perchè si parla di semplificazione e di digitalizzazione della pubblica amministrazione da tantissimo tempo, ma nella realtà la vera e completa digitalizzazione è una chimera perchè viene fatta a senso unico.

Infatti la pubblica amministrazione ti costringe ad avere un domicilio digitale e uno Spid per accedere ai suoi servizi, ma nello stesso tempo ti impedisce di esercitare i tuoi diritti democratici attraverso questi stessi strumenti.

Un esempio molto pratico:

Bonafede aveva sbandierato la digitalizzazione del processo penale e invece il digitale vale soltanto per una via ma non per l’altra. Posso depositare digitalmente degli atti ma non posso assolutamente scaricare dal portale i documenti che mi servono. Questa digitalizzazione viene fatta solo per ciò che è utile alla PA mentre non tutela minimamente l’esercizio dei diritti da parte del cittadino.

Il tema della democrazia digitale è importantissimo. Abbiamo i decreti di semplificazione firmati dall’allora Ministro Madia, che prevedevano l’obbligo per le PA di trattare su canali digitali tutte le istanze, ma se oggi richiedi digitalmente un certificato trovi tantissimi ostacoli (nonostante un documento europeo parifichi firme digitali e Spid alla firma manuale).

Nell’amministrazione della giustizia continuiamo ad avere pronunce contraddittorie. Un’ordinanza di giugno della Corte di Cassazione, in relazione al deposito di un atto in una cancelleria avvenuto con pec, afferma che la data del deposito e di due giorni successivi alla data reale in quanto la cancelleria era chiusa. È evidente che se si ragiona in termini di apertura fisica della cancelleria invece che del domicilio digitale, quando si parlerà della PA ci saranno sempre problemi.

Anche i partiti che hanno in passato sostenuto la semplificazione o addirittura la democrazia dal basso, che poi abbiamo visto realizzata in maniera completamente contraddittoria, di fatto non appoggiano l’unico strumento vero della democrazia digitale. Infatti l’uso della firma digitale per la presentazione delle liste è stato avversato da tutti quanti.

Certamente si. Bisogna tenere conto che la firma digitale non è il voto elettronico. La sua riconducibilità al soggetto che esprime la propria volontà è garantita dall’ente certificatore (individuato dallo Stato sulla base di criteri specifici) che la rilascia. Lo Spid viene rilasciato direttamente dallo Stato che ne certifica l’autenticità.

Questi due nuovi mezzi equivalgono quindi ai documenti esibiti al seggio. I documenti cartacei sono peraltro più facilmente falsificabili in quanto i metadati della firma digitale sono molto più complicati da modificare rispetto ad un documento stampato.

Innanzitutto sull’esclusione della lista c’è ancora il dubbio legato al ricorso presentato da Marco Cappato al tribunale di Milano, ma è abbastanza evidente che le possibilita siano ridotte.

L’associazione riconosce una assoluta libertà di autodeterminazione che è alla base delle iniziative della Coscioni. La linea è quella di non gradire alcun apparentamento con nessuna forza politica tradizionale. È ovvio che ci siano, all’interno del novero dei partiti che saranno presenti dopo le elezioni del 25 settembre, alcune forze politiche che per storia e tradizione ci sono più vicine. Parliamo di partiti o singoli parlamentari che hanno condiviso con noi una o più battaglie sui diritti civili, ma senza determinare alcun apparentamento.

Ritengo di no. Poi ci rifacciamo all’idea di Marco Pannella sull’utilità del supporto da parte di tutti. Chiunque voglia sostenere una o più battaglie della Coscioni è libero di farlo ma non ci sarà un tentativo di apparentamento.

Continueremo con le leggi di iniziativa popolare e con la disobbedienza civile alla quale Marco ha fatto recentemente ricorso accompagnando la Signora Elena in Svizzera per ottenere il suicidio assistito. La particolarità di quella situazione era che la Signora Elena, non dipendendo dall’ausilio delle macchine, non rientrava nell’ambito di applicazione della sentenza 242 della Corte Costituzionale (sentenza Cappato sul caso dj Fabo). Si tratta quindi di una nuova disobbedienza che mira ad estendere il diritto a più soggetti che ne fanno richiesta e a chiarire tutta quella diversificazione di procedure nei diversi casi specifici (Giudice, Areus che decide il farmaco ecc).

Il caso del ragazzo che nelle Marche ha impiegato due anni per ottenere ciò che chiedeva (mentre altri non sono riusciti) fa capire quanto sia lungo e doloroso il percorso.

Un’ulteriore differenziazione. C’è chi è in grado di attivare in prima persona la somministrazione del farmaco che darà la morte e chi invece non è in condizioni di farlo.

In una lettura molto poco laica che ne viene fatta questa è la prospettazione. In realtà si sta realizzando il proposito di una persona e non esiste nessuna istigazione.

Abbiamo un ordinamento ipocrita e impregnato di una morale di tipo religioso. Il suicidio non viene punito a livello di tentativo ma esiste il reato per chi aiuta o agevola in qualche modo questa volontà.

L’ ordinamento è del 1930 ed era conforme per il tempo in cui è stato pensato, ma completamente inadeguato per i nostri tempi.

Tu non sei padrone di disporre del tuo corpo, ma è lo Stato che ti dice se,quando e come ne puoi disporre. Una follia.

 

Alessandro Milia

 

 

 

 

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