Con la corsa al vaccino Beijing mira ad ampliare la propria influenza in Asia e Africa. E non è escluso che possa farlo anche in Europa (di nuovo).
Un mese fa la stazione ferroviaria di Pechino era affollata. L’incessante via vai di persone che entrava e usciva dallo scalo della Capitale sembrava per un attimo avere spazzato via la pandemia: aveva inizio la Golden week, la settimana di ferie dei lavoratori cinesi pianificata dallo Stato.
A guardarla dall’Europa, dove i contagi stanno vivendo una nuova fase acuta, la Cina è oramai uscita dalla pandemia, riuscendo persino a contenere gli effetti economici. Il Paese cresce (+4,9 per cento) grazie alla impennata dei consumi interni. I cinesi hanno voglia di normalità. E la vivono, mentre il resto del mondo è ancora in affanno. Mascherine, distanza fisica e tracciamento, soprattutto. E la parola negazionismo non esiste.
Nel continente asiatico, forti dell’esperienza della Sars e della Mers, ma anche di modelli di vita e culturali diversi, alcuni paesi sono riusciti a tenere sotto controllo la pandemia, limitandone la diffusione. E le vittime. Corea del Sud, Taiwan, Giappone. Qui, il successo nel contenere il nuovo virus non ha nulla a che fare con l’autoritarismo; senza ombra di dubbio fattore importante in Cina contro il Covid-19.
Occhi puntati sul modello asiatico di gestione della pandemia
In Europa e negli Stati Uniti si è aperto un dibattito sul modello sino-asiatico. Anche in Italia sono molti coloro che si domandano tra i virologi, i medici, i giornalisti se i modelli di contenimento del nuovo virus adottati dalla Cina, Taiwan, Corea del Sud e Giappone non siano gli unici efficaci al momento contro la Sars-Cov2. E se non sia possibile addirittura implementarli. Migliorarli. Per permettere alla popolazione di convivere col virus e minimizzare gli effetti economici.
In questa fase di riflessione (purtroppo ancora in corso) né l’Europa né gli Stati Uniti nel frattempo riescono a fronteggiare al meglio la pandemia, ci sono molti economisti che ritengono plausibile nel giro di due-cinque anni un nuovo assetto geopolitico mondiale. Due anni di convivenza, fino a quando il virus non verrà debellato e contenuto, tre per riprendersi dalla crisi e tornare (forse) ai tempi pre Covid, l’orizzonte temporale entro cui la Cina potrebbe assumere un ruolo di riferimento per la comunità internazionale. Se e solo se riuscirà a riguadagnare la fiducia dell’Occidente.
Nell’odierna economia globalizzata, l’Occidente dipende dalla Cina. Non potrà farne a meno. Gli economisti concordano sul fatto che il coronavirus non decreterà la fine della globalizzazione. Logico dunque che Pechino voglia approfittarne, puntando a sostituirsi agli Stati Uniti o a estendere la propria influenza economica e politica in Asia, Africa ed Europa.
La diplomazia cinese inizia durante la prima ondata di Covid
Tutti ricorderanno quella che è stata ribattezzata la “diplomazia delle mascherine”. Milioni di dispositivi di protezione individuale made in China hanno invaso il mercato Ue, con il consenso dei paesi europei da Est a Ovest. Soprattutto della Polonia, Ungheria, Romania. Tramite acquisti o donazioni da parte di Pechino. Non solo mascherine. Ma anche camici, guanti, occhiali e visiere protettive. Beni che l’Europa non era ancora pronta a produrre per fronteggiare la crisi sanitaria. Il continente era in pieno lockdown, tentando di contenere la prima ondata di contagi.
Nel frattempo Wuhan non era più l’epicentro dell’epidemia né in Cina né nel resto del mondo. Pechino era avanti mesi rispetto alla produzione di dispositivi di protezione individuale, indispensabili per ridurre la trasmissione del nuovo virus. Il Paese stava uscendo dal periodo più acuto del contagio. Tutto ciò lo rendeva un esempio. Controllare il nuovo virus era possibile. Uscirne era possibile.
La diplomazia cinese modellata sulla corsa al vaccino contro SarsCov2
Il secondo capitolo della pandemia vede Pechino ancora una volta in vantaggio. Anche sui vaccini. Quattro quelli in fase di sperimentazione, almeno uno è stato inoculato a una parte della popolazione, per osservarne eventuali effetti collaterali e di immunizzazione. Una operazione che verrà ripetuta almeno tre volte, con shot diversi del vaccino prodotto da Sinovac Biotech.
I giornali nazionali e internazionali raccontano la corsa al vaccino anti-Covid come un duello tra Cina e Stati Uniti. Sono oltre 300 i vaccini in fase di sperimentazione, il numero più alto mai registrato. Il problema del coronavirus è percepito come una sfida globale. Anche se la risposta resta a oggi più che mai “nazionalista”. Dinanzi alla impennata della curva dei contagi, il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, è arrivato persino a dire che le prime dosi di vaccino saranno disponibili già da dicembre. Lo stesso negli Stati Uniti con Donald Trump che aveva addirittura parlato di inizio novembre, a pochi giorni dall’election day.
Si susseguono perplessità e smentite del mondo scientifico. Il vaccino infatti non sarà pronto prima della fine o almeno la metà del 2021. Nella peggiore delle ipotesi nel 2022. E se in Cina intanto la sperimentazione avanza velocemente, in Europa e negli Stati Uniti i trial continuano con alcuni incidenti di percorso.
Sul vaccino la Cina punta a influenzare gli Stati fragili (per ora)
Il Financial Times racconta come tra i paesi asiatici sia iniziata una corsa all’acquisto di dosi del vaccino cinese al momento inesistenti, e di cui non si hanno ancora certezze sull’efficacia. Bangladesh, Indonesia, stati poveri, ma che stanno vivendo una delle peggiori ondate finora registrate nel continente asiatico, dopo l’India.
La diplomazia cinese delle mascherine è fallita. Italia e Ue in sette mesi hanno raggiunto l’autosufficienza nella produzione di dispositivi di sicurezza riconvertendo in parte settori e aziende. Ma Beijing potrebbe rilanciare ora con la “diplomazia del vaccino”. E, questa volta, con successo. Pechino non fa mistero delle mire espansionistiche del partito comunista. Prima con Hong Kong ora con Taiwan. Xi Jinping sta intensificando l’influenza cinese nei paesi economicamente più fragili. In Africa, per esempio, la Cina sta rafforzando investimenti diretti, attività commerciali e credito.
Non è da escludere che, come per la gestione della pandemia, la Cina possa produrre un vaccino efficace. L’unico disponibile nel “breve periodo”. E cosa accadrebbe? L’Occidente scoprirebbe di essere vulnerabile. Come lo è stato durante la prima ondata e continua a esserlo oggi con l’arrivo della seconda.
Un nuovo egemone. Da cui tutti rischiamo di dovere dipendere, a lungo. E se ci pacerà o meno potrebbe non contare nulla.
Chiara Colangelo