Quando alla fine dello scorso anno l’OMS inserì la dipendenza da videogiochi nell’elenco delle malattie furono molte le voci perplesse.
Che l’associazione dei produttori di videogiochi non avesse gradito non sorprenderà nessuno, ma persino l’Unicef fu critica, denunciando il rischio di sviare l’attenzione dai veri problemi. Anche il mondo scientifico risultò diviso, di tutto questo abbiamo scritto a suo tempo.
Ora arriva notizia dalla Brigham Yong University di uno studio che dà sostanzialmente ragione all’OMS, potremmo riassumere il risultati della ricerca pubblicata su Developmental Psychology in: la dipendenza da videogiochi è reale anche se non comune come qualcuno pensa.
Iniziamo dal numeretto, secondo lo studio i giocatori che rientrano in campo patologico sono il 10% del totale dei giocatori abituali, dunque una percentuale non trascurabile, d’altro canto a sentire alcuni genitori preoccupati sarebbero dovuti essere molti di più. come se ogni gamer fosse un individuo problematico.
Caratteristiche dello studio sulla dipendenza da videogiochi
Il focus del lavoro portato avanti dalla professoressa Sarah Coyne e dal suo team era investigare le eventuali conseguenze a lungo termine dell’abuso di videogiochi. A questo scopo sono stati seguiti 385 adolescenti per diversi anni nel periodo di transizione verso l’età adulta.
Per definire patologica la relazione di qualcuno coi videogiochi si guarda non solo alle ore giocate, giocare molto a lungo di per se non basta, la difficoltà a staccarsi dallo schermo e difficoltà di funzionamento dell’individuo nella vita di tutti i giorni sono le altre due caratteristiche fondamentali. I partecipanti allo studio all’inizio erano simili in aspetti come: aggressività, timidezza, uso problematico dello smartphone e ansia verso l’arrivo dell’età adulta, a fine studio quelli del gruppo dei giocatori patologici presentavano problemi maggiori sotto tutti questi aspetti rispetto a quelli dell’altro gruppo.
Alcuni dati emersi dallo studio sulla dipendenza da videogiochi
Alla fine del periodo di sei anni di osservazione sono emersi dei risultati interessanti:
_ non sorprenderà nessuno apprendere che esistono fattori predisponenti e fattori che proteggono dallo sviluppare un rapporto malato coi videogiochi: chi già soffriva di tendenze antisociali si è rivelato più predisposto, viceversa essere una persona con alti livelli di socialità (volontà di aiutare gli altri) si è rivelato un fattore protettivo dallo sviluppare la patologia;
_ il 72% dei partecipanti allo studio non ha sviluppato alcun sintomo di dipendenza per tutti i sei anni dello studio;
_ il 18% ha sviluppato dei sintomi moderati che però non sono peggiorati mantenendosi stabili sotto il livello di guardia;
_ come anticipato il 10% è rientrato in area patologica;
_ infine è stato parzialmente sfatato lo stereotipo che identifica il giocatore problematico con lo sfigato che vive nel seminterrato dei genitori incapace di entrare nella vita adulta e combinare qualcosa, il gruppo delle persone con un rapporto problematico coi videogiochi ha espresso una percentuale di ventenni che, perlomeno in quei primi anni della vita adulta, ha mostrato una capacità di essere finanziariamente stabili ed in grado di iniziare il loro cammino da adulti nella società comparabile a quella degli altri gruppi.
In conclusione una patologia reale, con conseguenze di lunga durata e che in una percentuale di casi può anche essere subdola.
Roberto Todini