Proteste e tensioni sociali: la miccia della crisi
Le proteste in Serbia, iniziate a novembre, hanno avuto origine da un tragico incidente ferroviario avvenuto nella città di Novi Sad, a circa sessanta chilometri dalla capitale Belgrado. Il crollo della tettoia della stazione ferroviaria, avvenuto il 1° novembre, ha provocato la morte di 15 persone, diventando il simbolo di una diffusa corruzione e inefficienza istituzionale.
La rabbia della popolazione, inizialmente rivolta contro la scarsa sicurezza delle infrastrutture, si è trasformata rapidamente in una contestazione più ampia contro il governo del presidente Aleksandar Vučić. Le manifestazioni, sempre più partecipate e frequenti, hanno portato a forti tensioni e scontri con le forze dell’ordine, culminando in gravi incidenti a Novi Sad e in altre città serbe. A fine gennaio, sono state annunciate le dimissioni di Miloš Vučević, oggi confermate dal Parlamento, che entro i prossimi 30 giorni indirà nuove elezioni.
Le dimissioni di Miloš Vučević e il futuro del governo
A seguito della crescente pressione politica e sociale, il 28 gennaio il primo ministro Miloš Vučević ha annunciato le sue dimissioni irrevocabili, insieme a quelle dell’intero esecutivo. Il governo, insediatosi appena il 2 maggio dell’anno precedente, è rimasto in carica unicamente per la gestione degli affari correnti, in attesa della formazione di un nuovo esecutivo.
Le dimissioni di Miloš Vučević sono state ufficialmente accolte dal parlamento serbo mercoledì scorso. Il premier dimissionario, noto per la sua fedeltà al presidente Vučić, ha sottolineato che il governo ha dimostrato responsabilità, facendo riferimento anche alle dimissioni di due ministri coinvolti nello scandalo della stazione di Novi Sad: Goran Vesić, sotto inchiesta, e Tomislav Momirović, ministro del Commercio.
Verso nuove elezioni?
La presidente del parlamento, Ana Brnabić, ha ricordato che la legge serba prevede un periodo di 30 giorni dalla presa d’atto delle dimissioni del governo per la formazione di un nuovo esecutivo. Se entro questo termine non si troverà un accordo, la Serbia dovrà tornare alle urne con elezioni anticipate, che potrebbero tenersi il prossimo 8 giugno.
Questo significherebbe che il Paese affronterebbe la seconda tornata elettorale nel giro di un anno e mezzo, dopo le elezioni del dicembre 2023 vinte dal Partito Progressista Serbo, la formazione nazionalista e di centrodestra guidata da Vučić e Vučević, che aveva ottenuto la maggioranza dei seggi in parlamento.
Il dilemma della leadership
Le opposizioni, approfittando della crisi politica in atto, chiedono un governo transitorio che traghetti il Paese verso nuove elezioni, ma la dirigenza serba sembra determinata a evitare questa soluzione. L’obiettivo di Vučić e dei suoi alleati è quello di formare rapidamente un nuovo esecutivo stabile, in grado di garantire continuità governativa e frenare il malcontento popolare.
Tuttavia, le proteste che si susseguono ormai da mesi dimostrano che la crisi di fiducia nei confronti delle istituzioni non è destinata a risolversi facilmente. L’ultima grande manifestazione, avvenuta lo scorso sabato a Belgrado, ha visto la partecipazione di migliaia di cittadini scesi in piazza per chiedere maggiore trasparenza, democrazia e la fine della corruzione.
La Serbia si trova ora a un bivio cruciale: o riuscirà a trovare un compromesso politico per garantire la stabilità del governo, oppure dovrà affrontare nuove elezioni che potrebbero ridefinire gli equilibri del potere. La comunità internazionale osserva con attenzione l’evolversi della situazione, consapevole che la crisi politica serba potrebbe avere ripercussioni non solo a livello nazionale, ma anche sull’intera regione balcanica.