Le difficili elezioni in Bosnia ed Erzegovina, i risultati inaspettati

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Il 2 ottobre i cittadini bosniaci si sono recati alle urne per eleggere i membri di 14 diversi governi, in uno stato con una struttura politica intricatissima nata dalla disgregazione della Jugoslavia.

La nascita della Bosnia ed Erzegovina

L’attuale forma di governo, oggetto delle difficili elezioni in Bosnia ed Erzegovina, si è costituita nel 1995, dopo anni di conflitti che hanno seguito la disgregazione della Jugoslavia. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Tito, Josip Broz, fu eletto presidente della Repubblica federale della Jugoslavia che comprendeva sei repubbliche e due province autonome; alla sua morte il regime si disgregò e le repubbliche appartenenti alla confederazione iniziarono a rivendicare la propria identità culturale e culturale. Un anno dopo che la Slovenia dichiarò la propria indipendenza, in Bosnia ed Erzegovina iniziarono i conflitti interni tra le diverse etnie: quella serba, quella croata e quella bosniaca. La guerra fu cruentissima e le missioni delle Nazioni Uniti non furono sufficienti a placare i conflitti, per questo fu coinvolta anche la Nato. Le armi cessarono solo dopo i bombardamenti perpetuati dalla Nato contro la repubblica serba di Bosnia e a novembre si firmarono i trattati di pace. Gli accordi di Dayton, così chiamati per la località dove hanno avuto luogo le trattative, hanno sancito la costituzione del nuovo Stato di Bosnia ed Erzegovina.

I diversi livelli di governo bosniaci

Nel paese vi sono diversi livelli di governo: lo stato, le entità, i cantoni e un distretto autonomo. Lo stato ha mantenuto gli stessi territori che appartenevano alla Repubblica iugoslava di Bosnia ed Erzegovina ed è stato però suddiviso e si sono definite, secondo criteri etnici, due entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (Federacija Bosne i Hercegovine) costituita da croati e bosnacchi, di cui la maggior parte sono cattolici e musulmani e la Repubblica  Srpska cui appartengono i serbi, prevalentemente ortodossi. Ogni entità ha un proprio parlamento con due camere (alta e bassa) e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina è a sua volta suddivisa in dieci cantoni ciascuno dotato di un apparato esecutivo, legislativo e giudiziario. Oltre alle due entità è presente anche il distretto di Brcko che, formalmente autonomo, di fatto è legato a entrambe le entità.

La forma di governo

La Bosnia ed Erzegovina è una repubblica parlamentare con una presidenza tripartita composta da un membro croato-bosniaco che rappresenta l’Erzegovina, uno serbo-bosniaco rappresentante della Repubblica Srpska e uno bosniaco per la Bosnia. Le cariche presidenziali hanno un mandato di quattro anni e ogni otto mesi la Presidenza ruota tra i tre membri. Il presidente in carica gestisce la nomina degli ambasciatori e dei rappresentanti, dialoga con l’assemblea parlamentare, gestisce le spese della presidenza e si occupa della politica estera. Le assemblee parlamentari del paese sono due, una per ogni entità, e sono costituite da due camere: la Camera dei Popoli (Camera alta) costituita da 15 membri rinominati ogni due anni  e la Camera nazionale dei Rappresentanti (Camera bassa), con 42 membri che sono eletti a suffragio diretto con sistema proporzionale.  La più alta autorità civile appartiene però all’Alto Rappresentante eletto da governi internazionali per monitorare il rispetto degli accordi di Dayton.

Una politica fragile

La complessità della forma di governo bosniaca risiede nella numerosità delle etnie che rappresenta e anche nella sua fragilità dovuta alle forti spinte secessioniste. Il governo infatti affonda le sue radici negli accordi di Dayton che hanno sì portato la pace, ma che hanno anche cristallizzato una pesante discordia etnica; la suddivisione politica ha condotto alla normalizzazione delle diffidenze delle tre etnie e anche alla legittimazione politica delle diversità culturali. La storia politica del paese testimonia la profonda e continua ostilità tra le etnie: i risultati delle elezioni durante i 27 anni di governo hanno evidenziato la predominanza dei partiti nazionalisti caratterizzati da retoriche separatiste.

Le elezioni per 14 governi

Il 2 ottobre 3,3 milioni di cittadini della Bosnia ed Erzegovina sono stati chiamati a votare per l’elezione dei membri della Presidenza tripartita e per eleggere i nuovi governi nazionali delle due entità e dei dieci cantoni. Il sistema politico tanto articolato ha costretto gli elettori a doversi destreggiare tra più di 7mila candidati; ognuno al momento del voto ha ricevuto quattro schede e ha votato per eleggere i nuovi membri dei 14 diversi governi. Anche le diverse votazioni per entità complicano ulteriormente il quadro:  i residenti nella Repubblica Srpska votano per la componente serba della presidenza tripartita, per il presidente, il vice presidente e il parlamento della propria identità e per il parlamento statale. Coloro che risiedono nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina votano per i rispettivi membri della Presidenza e per il parlamento statale e di entità.

Il clima delle elezioni, tra stasi e separazione

Il clima delle difficili elezioni in Bosnia ed Erzegovina era molto teso sia per questioni di politica interna che per pressioni esterne. A pochi mesi dal voto la proposta di Christian Schmidt di riformare il sistema elettivo della Camera dei Rappresentanti ha creato scompiglio: l’Alto Rappresentante  ha suscitato numerose reazioni perché con la sua riforma, secondo i cittadini bosnacchi, i croato-bosniaci sarebbero stati favoriti al momento del voto. La sua proposta ha così ulteriormente diviso, in un momento critico, l’opinione pubblica acuendo le difficoltà presenti tra le diverse etnie. I contrasti sono accesi anche dalle politiche  separatiste, in particolare per le spinte nazionaliste della leadership serba nella Repubblica Srpska. Inoltre le  elezioni si inseriscono in un contesto di sfiducia nei confronti del governo a causa di tutte le promesse elettorali di natura economica e politica che rimangono, ormai da decenni, non mantenute. Il malcontento dei cittadini deriva anche dal fatto che le campagne elettorali hanno visto lo scontro dei soliti attori e delle stesse tematiche in campo delle precedenti, temi attuali come l’immigrazione non sono stati affrontati, mentre appaiono ridondanti le retoriche nazionaliste dominanti in tutte le fazioni.

L’elezione dei tre nuovi presidenti

Le elezioni si sono concluse, l’affluenza, in calo dalle precedenti elezioni, è stata del 50% e con  il 90% dei voti analizzati emergono i primi dati sui risultati. La complessità e l’articolazione del sistema istituzionale bosniaco conducono infatti a tempi dilatati per l’analisi dei risultati elettorali dei cantoni e delle entità. Per la presidenza dei bosniaci vince, con il 57,2%, Denis Bécirov , l’esponente del centrosinistra riformista; a ricoprire l’incarico della presidenza in rappresentanza dei croati sarà Zeljko Komsic del Fronte Democratico che propone la creazione di uno stato non costruito sulle divisioni etniche e che vince con il 54% dei voti. La vincitrice per la componente serba è Zeljka Cvijanovic dell’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti, apertamente filorussa e vicina a Dodik, con aperte aspirazioni separatiste, ottiene il 52%. Dodik, il precedente presidente rappresentante dei serbi, si è candidato per la presidenza della Repubblica Srpska ed è, secondo i dati, in vantaggio con il 48% sulla rivale conservatrice e pro-Unione Europea Jalena Trivic. Contro ogni aspettativa e previsione, i risultati evidenziano che, per la prima volta nella storia bosniaca, due dei tre presidenti non apparterranno a partiti nazionalisti.

Ludovica Amico

 

 

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