La Cassazione con la sentenza 3148/19 ha stabilito che non commette reato di diffamazione l’utente di Facebook che in modo satirico rivolte critiche, anche aspre, verso un’attività commerciale o una persona.
Il caso in esame alla Corte riguardava una persona che criticava tramite un finto volantino un’attività gastronomica. Cosa che ha spinto i proprietari a una denuncia per diffamazione. Denuncia rigettata dalla Cassazione che così è tornata sul confine fra diffamazione e critica.
In linea generale le offese rivolte sui social sono estremamente gravi per la giurisprudenza. Questo per la capacità dei canali social di arrivare ad un ampio numero di utenti (Cass 2929/19).
La diffamazione sorge dalla contrapposizione fra il diritto di critica e la necessità di tutelare l’onore delle persone.
La giurisprudenza prende anche in considerazione il metodo di linguaggio dei social, aumentando così i toni utilizzabili. Quindi tutelando la libertà di critica sui social, ma entro certi limiti.
Rientrano nel diritto di critica ex art. 51 c.p. tutte le manifestazioni del pensiero anche “colorite”, aspre, gergali, o comunque qualsiasi modo che non ecceda nella “sovrabbondanza”. Quindi abbiamo due limiti, la funzionalità del modo usato per fare critica e la proporzionalità.
La Cassazione inoltre ribadisce, ovviamente, che chi pubblica un post su Facebook non può soggiacere agli oneri e doveri gravanti sui giornalisti.
Oggi tramite i canali social chiunque può assurgere a voce narrante della realtà, esprimendo pensieri e opinioni che arrivano ad un pubblico ampio di persone.
Affinché scatti la diffamazione è sufficiente un dialogo fra due persone, anche in assenza della vittima.
La diffamazione on line oggi è diventato uno dei reati più commessi per l’assenza di controlli. Cosa che ha scatenato l’invasione delle Fake News, spesso diffamanti, e spesso prese come notizie vere. Capaci di indirizzare voti e consensi di un numero considerevole di persone. Come è capitato in Inghilterra durante la campagna per il referendum della Brexit. Notizie diffamanti e false che nascevano e sparivano senza lasciare tracce e che hanno condizionato il voto, come testimoniato dalla giornalista Carole Cadwalladr.
Tralasciando le Fake News e concentrandoci sui singoli utenti la Cassazione nella sentenza 3148/19 ha dato l’ennesima lezione sul confine sottile fra la diffamazione (reato aggravato sui social) e la critica legittima.
Confine sottile e spesso ignorato dagli utenti, che utilizzano un linguaggio non proprio fiorito come fosse una ostentazione di forza.
Anche un post pubblicato su un profilo privato o una conversazione privata può far scattare il reato di diffamazione. Anche un commento o una condivisione può far insorgere il reato. Il reato di diffamazione sui social inoltre ha avuto l’interesse crescente della giurisprudenza. Infatti la Cassazione con la sentenza n. 42630/2018 ha redarguito i Giudici sul dovere di procedere alle indagini anche con la reticenza e il rifiuto dei gestori del social. Sottolineando così l’importanza di procedere contro questo genere di reati. Anche se la persona offesa non viene nominata può insorgere il reato, bastando che questa sia comunque riconoscibile da altri elementi.
Anche se la Cassazione concede più ampie libertà sui social come Facebook.
La differenza fra critica e diffamazione sta non solo nel modo di esprimersi, ma anche nella verità della notizia.
Inoltre per aversi critica e non diffamazione bisogna limitarsi a fatti oggettivi, senza cadere in commenti sulla moralità o la cattiva fede della persona in assenza di prove. Basta questo per comprendere la vastità del reato di diffamazione sui social.
Con la sempre crescente attenzione delle procure e della giurisprudenza a questo genere di reati, capaci di stravolgere i consensi politici, la Cassazione sta provando a dare le linee guida per una futura etica dei social. Linee guida ribadite in questa sentenza e già, in parte molto piccola, adottate da Facebook, ma che saranno necessarie per il legislatore. Non solo per tutelare l’interesse dei privati, ma anche per l’interesse pubblico e la pubblica sicurezza.
Leandro Grasso