Difendere la Terra di Mezzo: cosa vuol dire? – 1

Difendere la Terra di Mezzo è il titolo di un saggio di Wu Ming 4 (Bologna 2013, Odoya). La Terra di Mezzo è, naturalmente, quella in cui è ambientato Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Ma in che senso va “difesa”?

frontespizio lo hobbit
Frontespizio della prima edizione statunitense de “Lo Hobbit”.

L’autore vuole riecheggiare un altro titolo: Defending Middle Earth, pubblicato negli anni Novanta da Patrick Curry. Tale opera rileggeva la produzione tolkieniana alla luce degli aspetti proto-ecologisti. Wu Ming 4 non è totalmente d’accordo con la lettura New Age di Curry, ma trova evocativo il titolo da lui scelto e l’ha ritenuto adatto per presentare una storia della ricezione di Tolkien.

“…la convinzione che anima queste pagine è che il racconto di Tolkien sia tutt’altro che relegato o relegabile al secolo alle nostre spalle, e abbia invece molto da dire al nostro presente.” (p. 12).




 

Il saggio comincia con il periodo 1937-1973: il lasso di tempo in cui si radica il fenomeno Tolkien. Nel mezzo, si colloca la Seconda Guerra Mondiale – e non è un dato irrilevante, nemmeno per uno scrittore fantasy.

“Quando Tolkien pubblica Lo Hobbit, nel 1937, sta per concludersi il ventennio tra le due guerre, quello che con humour amaro il poeta e romanziere Robert Graves definirà «The long weekend». […] Visto in quest’ottica, non meraviglia che un romanzo che comincia come una fiaba […] si concluda con la battaglia dei Cinque Eserciti…” (p. 16).

Nella Guerra Mondiale precedente, peraltro, Tolkien aveva combattuto di persona, ammalandosi di febbre da trincea – che l’aveva paradossalmente salvato dalla morte al fronte.

 

Dopo questa esperienza, lo scrittore si era dato alla carriera universitaria di anglista e filologo germanico. Il suo approccio era però quello di un filologo creativo, che amava mettersi nei panni degli anonimi poeti che avevano generato i testi. La decisione di scrivere narrativa scaturì dalla passione per l’invenzione di lingue immaginarie. Gli occorreva un mondo in cui quelle lingue fossero parlate. Era anche un padre di quattro bambini, che avevano bisogno di essere intrattenuti.

 

Dall’abitudine alle favole della buonanotte, nacque la più celebre creatura di Tolkien: lo Hobbit.

“Per la prima apparizione di questa creatura nella storia letteraria, Tolkien le affiancò tredici Nani, ai quali diede i nomi di quelli che vengono elencati nell’Edda in prosa, manuale di poesia e raccolta di leggende nordiche composta nel XIII secolo dallo storico islandese Snorri Sturluson. Il quattordicesimo nome lo affibbiò invece a un vecchio stregone grigio dalle mille risorse.” (p. 19).

Avrete già indovinato che si tratta di Gandalf.

 

Una casa editrice tedesca cercò di procurarsi i diritti di traduzione dello Hobbit,, ma Tolkien declinò con ironia e fastidio, per via delle domande sulle sue origini “ariane”. Sapeva quanta responsabilità avessero avuto filologi e riscopritori del folklore nel preparare la strada al nazionalismo. Nazionalismo che non gli apparteneva e che considerava anche lontano dalla prospettiva del filologo.

“Tolkien […] in generale contesta la futilità dell’ossessiva ricerca delle origini, che porta a scarnificare le storie riducendole all’osso, sacrificando ogni stratificazione, ogni elemento inventivo, creativo, originale, alla pretesa di scovarne il nocciolo duro (ariano o no).” (p. 24)

 

Il Signore degli Anelli fu dato alle stampe dopo la Seconda Guerra Mondiale. Da esso, si vede come Lo Hobbit fosse soltanto il primo ramoscello di una grande pianta letteraria, che Tolkien non arriverà mai a completare. Tanto era stato lodato il primo romanzo, tanto sarà denigrato questo. Le polemiche di Tolkien cambiarono obiettivo:

“Tolkien paragona gli esponenti dell’establishment culturale che si scagliano contro la letteratura di ‘evasione’ ai burocrati di partito dei regimi dittatoriali, intenti alla difesa dello status quo e a tacciare di diserzione qualunque tentativo di evasione dall’attuale stato delle cose.” (p. 29)

La denigrazione del genere fantasy non impedirà comunque alla fama di Tolkien di salire alle stelle. Forse proprio perché il suo Signore degli Anelli è così unico, irriducibile a ogni classificazione.

 

Invece di raccontare la perdita di senso derivata dagli orrori del Novecento, Tolkien scelse di ricostruire questo senso dell’esistenza.

Il Signore degli Anelli, in effetti, è un romanzo che si prende sul serio, dove vengono affrontati di petto – probabilmente ‘troppo’ di petto, per i palati smaliziati del dopoguerra – problemi universali come il male, la morte, il potere, la funzione del narrare. Dalla trama filtra una visione pessimistica e malinconica riguardo alla storia umana, ma nel contempo anche il testardo rifiuto della disperazione in vista di un avvenire possibile.” (p. 40)

 

Chi apprezzò lo spirito “fuori tempo” di Tolkien furono gli hippies delle comuni autogestite e gli studenti ribelli negli anni Sessanta. Per loro, l’autore era il portatore di un mondo alternativo e visionario, capace di ispirare una convivenza tra umanità e natura e la contestazione di un mondo autodistruttivo (per via di guerre e limitazioni ai diritti civili)…

 

[Continua]

 

Erica Gazzoldi

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