Diego Maradona, paradiso e inferno a Napoli

Diego-Maradona-paradiso-e-inferno-a-Napoli

Diego Maradona, un documentario che mette in scena la dualità della stella argentina, uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi. Realizzato da Asif Kapadia, ricostruisce le avventure del calciatore nella squadra italiana durante gli anni ’80.

Un film documentario che è la biografia dell’eterno ragazzo argentino, genio del calcio. La storia di ascesa e caduta di un calciatore che è stato senza dubbio il migliore che sia mai vissuto. Un calciatore che negli anni ’80 e nei primi anni ’90 capitanò l’Argentina alla vittoria della Coppa del Mondo e condusse la squadra del Napoli a due titoli di campionato italiano. In un momento in cui l’Italia aveva la migliore competizione al mondo.

Di calciatori le cui vite potrebbero giustificare un documentario di 130 minuti ce ne sono pochi, e in pochi che hanno proiettato la stessa ombra – sia dentro che fuori dal campo. Diego Armando Maradona è stata senza dubbio la prima grande “superstar” del calcio. Venerato da un popolo, distrutto dai legami con la camorra e dalla dipendenza dalla cocaina. Il film promette un tuffo affascinante e profondo nei momenti migliori e peggiori di Maradona, celebrando sia il mito intramontabile sia l’uomo controverso.

Doego Armando Maradona, icona globale dello sport e protagonista di una vita drammatica, ha attratto il regista  Asif Kapadia quando era ancora alla scuola di cinema. Che ricorda: «Aveva una storia incredibilmente forte con dei picchi di luci e ombre davvero estremi».

Più di 20 anni dopo, arriva il documentario prodotto da James Gay-Rees e Paul Martin presentato in anteprima al Fuori Concorso del Festival di Cannes. Il film segue l’esperienza di Maradona con il Napoli, tallonando la carismatica star tra i successi personali e pubblici.

Al d là del calcio, Diego Maradona è un altro trionfo per il regista, vincitore del Premio Oscar nel 2016 con Amy. Il documentario sulla tragica storia della cantante Amy Winehouse  che si è aggiudicato il premio come miglior documentario.

Come molti di noi anche Asif Kapadia è attratto da archetipiche storie di “ascesa e caduta”, ma con l’obiettivo di guardare oltre i titoli dei tabloid.  Dove esplora l’individuo penalizzato e scaraventato alla ribalta. Esamina più a fondo il contesto alla base del successo e della graduale caduta. In tal modo, offre qualcosa più ricco e completo di un documentario sportivo standard.

L’origine di questo materiale risale ai primi anni ’80, quando Jorge Cyterszpiler, amico d’infanzia e agente di Maradona, decise di assumere due telecamere per documentare la vita del suo rappresentato .

Usando nastri U-matic, l’italiano LuigiGino’ Martuci e l’argentino Juan Laburu hanno registrarono  momenti intimi e quotidiani di Maradona tra il 1981 e il 1987. L’intento era, appunto,  quello di realizzare un film sulla sua vita.

Tuttavia, il progetto non fu vano  quando il giocatore  decise di rinunciare ai servizi di Cyterszpiler. Fu il giornalista sportivo Paul Martin che, dopo aver appreso dell’esistenza di questo materiale, che ottenne i diritti di immagini e contattò Kapadia per trasformarlo in un film.

 Diego Maradona: alti e bassi della stella

Il documentario di Kapadia sulla travagliata vita di Diego Maradona è per molti versi paragonabile a uno dei suoi precedenti documentari sul leggendario pilota di Formula 1, Ayrton Senna. Entrambi i film descrivono l’ascesa alla celebrità degli individui di immenso talento e i conseguenti problemi che derivano dalla fama.

Senna e Maradona hanno una propensione simile per i brividi della vita e una tendenza intrinseca probabilmente collegata all’autodistruzione. E mentre ‘Senna’ si conclude con la tragica morte dell’icona brasiliana, Maradona alla fine sopravvive, anche se subisce una sorta di morte metaforica.

I due documentari riguardano in definitiva la mortalità e la fugacità della fama. Mentre copre tutti gli aspetti della sua vita in una certa misura, il film di Kapadia si concentra principalmente sull’ingegnoso incantesimo del giocatore nel Napoli, tra 1984 e 1991, all’apice della sua carriera.

Kapadia lascia che le immagini macchiate della vecchia videocassetta – alcune delle quali della collezione personale di Maradona – parlino del genio che è stato. La sua struttura tozza scivola oltre i difensori, fa passaggi improbabili ai compagni di squadra con precisione millimetrica. Inoltre  esegue trucchi come se la palla fosse attaccata al suo piede con una corda invisibile.

Le immagini di un’intervista ad un giovanissimo Diego con indosso una stravagante pelliccia  cristallizzano la sua inquieta relazione con il denaro e l’immagine di sé. Kapadia con questo film chiude una trilogia sul lato oscuro del successo iniziato con Senna (2010) e continuato con il Premio Oscar Amy (2016). Colloca in questa ambivalenza della personalità del “Pelusa” l’asse della sua nuova storia.

1984 Maradona al Napoli

È facile dimenticare ora che è ampiamente considerato uno dei più grandi giocatori al mondo, ma al momento il trasferimento di Maradona non fu considerato un successo garantito. L’incantesimo al Barcellona, durato due anni, si rivelò una delusione. La società vinse solo un grande trofeo: La Copa del Rey del 1983.

Alcuni problemi fisici rallentarono i suoi progressi sul lato Catalano. L’infortunio, le polemiche con i dirigenti e i tifosi portarono a circa due mesi di trattativa tra il Barcellona e il Napoli.

Corrado Ferlaino e Antonio Juliano, presidente e direttore generale del Napoli appena scampato alla retrocessione in B, si sforzarono non poco  per acquistare il fuoriclasse argentino. Alla fine, il 30 giugno 1984 arriva l’annuncio Maradona al Napoli, la notizia fece il giro del mondo e impazzire la città tre anni prima della festa per lo scudetto.

Agli inizi degli anni Ottanta, non avendo mai vinto lo scudetto, la Società Sportiva Calcio Napoli viveva un periodo particolarmente difficile, vantando però una tifoseria senza eguali per passione e dimensioni. Poi, il 5 luglio 1984, Maradona arrivò al Napoli con un ingaggio record e per sette anni scatenò l’inferno.

Il genio assoluto del calcio mondiale e la città più imprevedibile d’Europa si dimostrarono un connubio perfetto. Diego Maradona era stato benedetto sul campo e trattato come un Dio fuori di esso.

Il carismatico argentino trascinò infatti il Napoli al suo primo scudetto. Era il 1987 e quello fu un evento epocale. Ma c’era un prezzo da pagare perché, finché fece miracoli in campo, a Diego fu concessa ogni cosa, ma quando la magia svanì, divenne prigioniero della sua stessa città.

Tuttavia,  prima di allora nessuna squadra nel sud  Italia aveva mai vinto un titolo di campionato, ampiamente celebrato.




La Coppa del Mondo del 1990, al contrario, è descritta come l’inizio della fine dello status dell’eroe Maradona a Napoli. In quell’occasione implorò  i napoletani di sostenere l’Argentina piuttosto che l’Italia.  Tentando di capitalizzare e sfruttare le divisioni, ben documentate, all’interno del paese.

Alla fine aiutò la sua squadra a sconfiggere i padroni di casa  allo stadio San Paolo di Napoli. Diminuendo però significativamente la sua popolarità lì nel processo.

Nei sette anni in cui rimase a Napoli, Maradona ottenne due Scudetti (86/87 e 89/90).  Una Coppa (86/87). Una Super Coppa (90), una UEFA (88/89) e portò l’Argentina a vincere i Mondiali del 1986 in Messico. Con grandi esibizioni come quella giocata contro l’Inghilterra in semifinale, in una sorta di vendetta per la guerra delle Falkland.

Una delle grandi affermazioni del film è, infatti, osservare le immagini che Gino Martucci ha registrato durante il campo in anni in cui possiamo deliziarci con il genio, la plasticità e la voracità di Maradona.

Per Signorini, Diego è sempre stato il ragazzo timido della depressa città di Villa Fiorito, a Buenos Aires, che dall’età di 15 anni è stato responsabile di far avanzare la sua umile famiglia usando il suo talento per giocare a calcio. Maradona, d’altra parte, sarebbe il personaggio istrionico, vivido, eccessivo e arrogante che Diego ha creato per affrontare l’immensa fama e la pressione che lo perseguitava ovunque andasse da quando ha debuttato nell’élite con Argentinos Junior.

 

Felicia Bruscino

Photo by Bertrand Gabioud on Unsplash
Exit mobile version