Divieto di fare dichiarazioni politiche in Formula 1: la lotta tra i piloti e la FIA per la libertà di espressione

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Stanno per spegnersi i semafori che daranno il via alla stagione 2023, ma restano accese le polemiche per una controversa decisione della FIA riguardo le dichiarazioni politiche in Formula 1 da parte dei piloti

Il 20 dicembre 2022, la Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA), ha annunciato che a partire dalla stagione 2023 i piloti di Formula 1 non potranno fare dichiarazioni politiche non precedentemente autorizzate, pena sanzioni sportive o economiche. Non è un caso che questa importante aggiunta al regolamento della massima serie del motorsport sia stata resa nota appena dopo la conclusione dei mondiali di calcio in Qatar, un evento che ha amplificato la discussione sul rapporto tra sport, diritti umani e denaro, dimostrando ancora una volta come i soldi siano capaci di comprare qualsiasi cosa, anche il silenzio sulle più gravi violazioni dei diritti umani.

Il dibattito che ha accompagnato i mondiali di calcio in Qatar ha avuto una risonanza senza precedenti e messo in luce fino a che punto i soldi siano in grado di comprare qualsiasi valore, eppure per gli appassionati di Formula 1 questa discussione non è affatto nuova. Infatti, a partire dalla stagione 2020, è iniziato un lungo contenzioso tra alcuni dei piloti più in vista, la FIA e la stessa Formula 1, che ha messo in luce tutte le contraddizioni di una competizione che ora più che mai dimostra di essere guidata soprattutto dal denaro.

Cosa comporta il nuovo regolamento voluto dalla FIA?

La versione 2023 del codice di regolamento delle competizioni internazionali è stata pubblicata nel dicembre 2022 sul suo sito dalla FIA, organizzazione riconosciuta dall’ONU che tra le sue competenze vanta la regolazione normativa dei principali campionati automobilistici del mondo. Tra le novità inserite nel codice, a creare subito scalpore tra gli addetti al settore e gli appassionati di automobilismo è stata la clausola 12.2.1.n che prevede sanzioni in caso di

“Dichiarazioni o manifestazioni di natura politica, religiosa e personale, o commenti in evidente violazione del principio generale di neutralità promosso dalla FIA nei suoi statuti, salvo la precedente approvazione per iscritto da parte della FIA per quanto riguarda le competizioni internazionali, o della associazione nazionale designata per quanto riguarda le competizioni nazionali sotto la giurisdizione di quest’ultima.”

Sebbene la FIA non sia l’organo normativo soltanto della Formula 1, fin dalla pubblicazione della nuova versione del regolamento è apparso evidente che l’aggiunta di questa clausola sia indirizzata soprattutto ai piloti di quella che è la più seguita tra le serie automobilistiche, una competizione che negli ultimi anni ha visto una forte espansione in termini di pubblico grazie alla popolarità della docu-serie Netflix “Drive to Survive”, che ne porta sullo schermo i dietro le quinte.

Durante le ultime stagioni di Formula 1 diversi tra i piloti, molti dei quali  godono di uno status di celebrità anche al di fuori degli appassionati dello sport, hanno iniziato a essere sempre più espliciti nelle loro dichiarazioni politiche, usando la loro posizione privilegiata per sostenere alcune battaglie in difesa dei diritti e contro ogni tipo di discriminazione, anche qualora queste affermazioni fossero contro gli interessi della stessa Formula 1. La storia recente della competizione, che sta vivendo una nuova età dell’oro in termini di popolarità, è allora segnata da una crescente tensione tra i piloti e la FIA, un tiro alla fune nel quale gioca un ruolo anche la stessa dirigenza della Formula 1, accusata di preferire il denaro a quelli che sono i valori che si vanta di professare.

La decisione della FIA di vietare le dichiarazioni politiche in Formula 1 è infatti solo l’ultima di una serie di controversie, che mettono a nudo le contraddizioni che regnano nell’organizzazione di uno degli sport più popolari al mondo

La tensione tra piloti e organi dirigenti e regolatori della Formula 1 ha le sue radici nella stagione 2020, il cui inizio è coinciso con le proteste globali in seguito all’assassinio di George Floyd. La Formula 1, di cui è presidente l’italiano Stefano Dominicali, ha subito mostrato il suo supporto ai manifestanti di tutto il mondo, inserendo prima di ogni gara un minuto durante il quale ai piloti è data la possibilità di inginocchiarsi per dimostrare il loro sostegno alla lotta alle discriminazioni razziali. Contemporaneamente è stata lanciata l’iniziativa  We Race As One, volta a sottolineare l’impegno della Formula 1 a favore di una maggiore inclusività e il desiderio di rendere la competizione sempre più sostenibile dal punto di vista ambientale, dimostrando dunque la volontà da parte dei vertici dello sport di essere portatori di cambiamento e ben lontana da quel “principio generale di neutralità” citato nel regolamento della FIA.

A partire dalla stagione 2020 e nelle due successive, nell’ottica di una Formula 1 impegnata a sostenere i diritti umani e una linea politica che vede nella lotta alla discriminazione e al cambiamento climatico il suo obiettivo principale,  si sono susseguite diverse iniziative e dichiarazioni da parte di alcuni delle più importanti squadre e dei piloti più in vista del circus. Se la decisione della squadra campione in carica Mercedes di correre con una livrea nera in sostegno al movimento del Black Lives Matter è stata accolta senza particolari polemiche da parte della FIA, diverso è stato il trattamento riservato ai due piloti più politicamente impegnati nel mondo della Formula 1: Lewis Hamilton e Sebastian Vettel.

Il primo, sette volte campione del mondo, è anche l’unico pilota nero dello schieramento e fin dal suo esordio ha usato la sua voce e la sua esperienza per raccontare come il razzismo sia presente anche nel mondo del motorsport, mentre il secondo è un quattro volte campione del mondo che prima di ritirarsi alla fine della stagione 2022 ha promosso numerose iniziative per sensibilizzare il pubblico sul cambiamento climatico e sulle discriminazioni di genere e orientamento sessuale. I due hanno più volte indossato magliette con slogan a favore delle cause da loro sostenute, ma anche accessori e caschi arcobaleno messi appositamente in mostra in quei paesi nei quali la comunità LGBTQ+ vede i suoi diritti e la sua esistenza costantemente minacciati. Il costante impegno di Vettel e Hamilton per supportare i diritti umani è stato apertamente contestato da Mohammed Ben Sulayem, presidente della FIA dal 2022, il quale avrebbe dichiarato che

“Si può usare lo sport per promuovere la pace, ma non voglio che diventi una piattaforma per promuovere la propria agenda personale. […]  Questo vorrebbe dire deviare dallo sport. I piloti guidano e lo fanno benissimo, fanno affari, mettono in scena una spettacolo, sono celebrità. Nessuno vuole impedire loro nulla, ma ci sono altre piattaforme che possono usare per fare le loro dichiarazioni”.

Le parole di Ben Sulayem, che seguono diverse tensioni tra lo stesso e i piloti di Formula 1, dimostrano come la nuova direzione intrapresa dalla FIA sia quella di cercare di limitare con ogni mezzo possibile la possibilità dei protagonisti dello sport di esprimersi su argomenti che deviano da ciò che riguarda strettamente la competizione. Una vera e propria dichiarazione di guerra alle battaglie politiche di Hamilton, Vettel e dei loro colleghi, che agli occhi della Formula 1 e della FIA sono diventate tanto più problematiche quando, a partire dal 2021, il calendario della Formula 1 ha inserito tra i paesi in cui si disputa il mondiale anche l’Arabia Saudita.

La questione del gran premio dell’Arabia Saudita, che si corre su un circuito costruito ad hoc e che per molti aspetti è legata alle stesse polemiche riguardo a denaro e violazione dei diritti umani che hanno accompagnato il mondiale in Qatar, è diventata ancora più scottante durante la passata stagione, quando un missile ha colpito un impianto petrolifero a pochi kilometri dalla pista durante le prove libere del weekend di Formula 1. La scelta della FIA  e della Formula 1 di obbligare i piloti a scendere in pista nonostante il pericolo ha scatenato proteste senza precedenti all’interno del circus, che hanno sottolineato come la stessa incolumità dei protagonisti dello sport sia stata messa in secondo piano rispetto agli interessi economici dello stesso.

Le reazioni dei protagonisti dello sport alla censura delle dichiarazioni politiche in Formula 1

Le risposte dei piloti all’aggiunta regolamentare da parte della FIA non si sono fatte attendere e sottolineano la volontà di sfidare il divieto di fare dichiarazioni politiche o personali anche qualora questo comportasse conseguenze negative sulla stagione di Formula 1 che sta per iniziare. Alexander Albon, che correrà per la seconda stagione consecutiva per la storica scuderia Williams, ha dichiarato durante l’evento per il lancio della nuova vettura che i piloti dello schieramento sarebbero molto preoccupati per la volontà espressa dalla FIA di impedire loro di esprimersi liberamente, e di essere personalmente molto confuso perché la nuova regola sembra in netto contrasto con l’iniziativa We Race As One proposta solo tre stagioni fa. Albon ha anche affermato di sentire a responsabilità di usare la sua posizione privilegiata per portare sotto i riflettore tematiche che gli stanno a cuore, schierandosi così apertamente contro la volontà della FIA.

Alle parole del pilota Williams hanno fatto seguito quelle di Lando Norris, alfiere della McLaren che si è fatto spesso portavoce di battaglie a favore di una maggiore consapevolezza del ruolo della salute mentale nonché della necessità di una maggiore inclusività nello sport. Norris si è dichiarato pronto a sfidare il divieto della FIA, così come Lewis Hamilton, che ha confermato di essere disposto ad affrontare qualsiasi tipo di conseguenza a livello economico e sportivo, aggiungendo che il sentimento è diffuso anche tra i suoi colleghi.

Non sono solo i piloti ad aver espresso la loro aperta opposizione al divieto di fare dichiarazioni politiche imposto dalla FIA, ma anche lo stesso presidente e amministratore delegato della Formula 1 Stefano Dominicali, il quale a scanso di ogni equivoco ha voluto evidenziare come l’organizzazione dietro alla massima categoria dell’automobilismo “non metterà mai un bavaglio a nessuno”, soprattutto considerando la grande visibilità di cui godono i protagonisti dello sport. Dominicali ha dunque preso le distanze dalla FIA, affermando come promuovere un’agenda politica e personale sia un diritto dei piloti e dei team, nei limiti ovviamente del rispetto dell’altro.

Sebbene le dichiarazioni del CEO della Formula 1 siano in linea con la posizione dei piloti e sembrano voler promuovere la lotta per l’inclusione e la sostenibilità all’interno dello sport, non si può mancare di sottolineare come siano invece in contrasto con la decisione di continuare a correre in paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar, il Bahrain e gli Emirati Arabi, lasciando fuori circuiti situati in nazioni con una lunga tradizione automobilistica e che tuttavia non dispongono delle stesse risorse economiche per comprare un posto all’interno dell’ambitissimo calendario.

Cosa aspettarsi dalla nuova stagione di Formula 1

La risposta decisa e compatta dei venti piloti che comporranno lo schieramento di Formula 1 del 2023, nonché il supporto della stessa organizzazione sportiva, sono stati tali da obbligare la FIA a ritornare parzialmente sui suoi passi. Il 17 febbraio, a distanza di due mesi dalla diffusione del nuovo regolamento, è arrivata la decisione da parte dell’organo normativo di limitare il divieto di fare dichiarazioni politiche, religiose e personali soltanto ai confini ben delimitati della competizione, lasciando invece i piloti liberi di esprimersi in qualsiasi altro momento e tramite qualsiasi piattaforma preferiscano. Tuttavia, rimangono alcune importanti zone grigie che potrebbero portare a nuovi scontri tra FIA e piloti di Formula 1, come dimostra per esempio la mancata presa di posizione della prima riguardo alla possibilità dei piloti di indossare durante la gara caschi che mostrino prese di posizione su specifiche tematiche, come nel caso dell’ormai noto casco arcobaleno che contraddistingue Lewis Hamilton.

Tra passi falsi, ritrattazioni e tensioni mai del tutto risolte, la sensazione è che quella che sta per iniziare sarà una stagione segnata da un costante tiro alla fune tra tutte le parti coinvolte. Rimane il dubbio che la FIA possa decidere di commutare realmente sanzioni sportive a piloti e scuderie, mentre resta molto più plausibile la possibilità che i trasgressori della norma vengano multati, un tipo di penalizzazione decisamente più comune all’interno della Formula 1.

Chiara Bresciani

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