Nelle ultime settimane le proteste anti razziste iniziate negli Stati Uniti dal movimento Black Lives Matter dopo l’omicidio di George Floyd hanno catturato l’attenzione di tutto il mondo.
Nell’arco di pochi giorni, le manifestazioni hanno acceso gli animi in ogni parte del globo. Le rivendicazioni contro il razzismo hanno trovato terreno fertile anche negli altri continenti. In particolare, in Europa, grazie a tematiche legate all’eredità coloniale, alle migrazioni dei rifugiati e allo ius soli.
Il problema del razzismo istituzionalizzato è oggetto di aspre critiche e rappresenta il fulcro attorno al quale ruotano le richieste di un cambiamento radicale. Le critiche non si sono limitate al sistema odierno ma è iniziata una guerra ai simboli del passato.
Battaglia ai simboli del passato, un atteggiamento istituzionalizzato o rivoluzionario?
In Belgio, le statue di Re Leopoldo II sono state vandalizzate o rimosse dai manifestanti a causa delle azioni coloniali perpetuate dal sovrano durante la fine dell’800 contro la popolazione congolese.
Un altro esempio arriva da Bristol, dove i manifestanti, dopo una petizione che ha raccolto migliaia di firme, hanno abbattuto la statua di Edward Colston. L’omaggio era stato eretto per ricordare l’attività filantropica di Colston, ma anche uno dei più noti mercanti di schiavi tra il 1627 e il 1689.
L’esempio che ha fatto più discutere nella battaglia ai simboli del passato è stata la scritta “was a racist” (“era un razzista”) sotto la statua di Winston Churchill a Londra. Il discorso di Churchill è forse ancora più complesso rispetto agli esempi di Colston o Re Leopoldo II. Infatti, nella sua persona coesiste un dualismo di visioni. Da un lato è considerato uno dei più grandi statisti del mondo che ha contribuito a sconfiggere il nazifascismo e salvaguardare la democrazia occidentale; dall’altro ha pronunciato frasi a dir poco controverse contro popolazioni quali quella palestinese o sudanese. Churchill era obiettivamente un razzista secondo i parametri odierni.
‘Most of Britain knows it to be nonsense, including the vast majority of working class ex-Labour voters and most black Britons too’ | writes @oflynnsocial https://t.co/ZGhLTFvtcJ
— The Telegraph (@Telegraph) June 8, 2020
Ma una domanda da porsi è: se guardassimo a tutti i simboli del passato secondo gli standard morali odierni, chi si salverebbe?
Relativismo vs. Revisionismo
Il relativismo storico ha l’obiettivo di comprendere il contesto sociale e culturale in cui agivano i personaggi del passato in modo da filtrare (senza giustificare) i loro atteggiamenti. È necessario operare una distinzione fondamentale tra il giusto riconoscimento delle colpe del passato e la cancellazione della storia che ha portato alla nascita delle nostre società odierne. Il colonialismo e tutta la cultura suprematista bianca è, tristemente, uno degli aspetti che ha permesso al cosiddetto mondo occidentale di prosperare. Il sistema sociale, morale e giuridico di 100, anche solo 50, anni fa non corrisponde al sistema di valori odierni, dove non vi è, o non dovrebbe esserci, più spazio per il razzismo.
L’incapacità di affrontare la storia può portare a pericolosi episodi di revisionismo, come quello del Partito Comunista Cinese riguardo a Piazza Tienanmen o dei fondamentalisti jihadisti appartenenti all’ISIS capaci di distruggere esempi di storia pregressa nelle terre di loro interesse. Al fine di imparare dal passato, è necessario comprendere la storia in ogni suo aspetto, senza dimenticare che si tratta di un flusso continuo di cambiamento. Non è l’abbattimento dei simboli del passato ma la presa di coscienza morale e sociale a cambiare il sistema.
Noemi Rebecca Capelli