Elezioni Usa: tra dibattiti e fact checking, come cambia il giornalismo

Trump contro i diritti LGBTQ+ dibattiti e fact checking

Il 23 ottobre si svolgerà l’ultimo dei dibattiti presidenziali in programma per le elezioni Usa. Se il primo è stato un incontro di wrestling, in cui la prepotenza e il bullismo verbale di Trump hanno teso a Biden delle trappole beffarde, come andrà l’ultimo duello? Vediamolo insieme, anche alla luce di un luminoso ritorno del fact checking nella politica USA. 




 

“Gentlemen, a lot of people have been waiting for this night, so let’s get going»: sono le parole con cui Chris Wallace, giornalista di Fox News, ha aperto il primo dibattito tra Trump e Biden, ormai tre settimane fa. Oltre 73 milioni di spettatori hanno seguito la trasmissione, assistendo a quello che, per i toni, sembrava più un reality show che un dibattito tra due candidati alla Presidenza degli Stati Uniti d’America.



Il calendario dei dibattiti

I dibattiti inizialmente in calendario erano 4: quello del 30 settembre, tra Biden e Trump, seguito dal confronto tra i candidati alla vicepresidenza l’8 ottobre. Il terzo dibattito tra Biden e Trump, dopo una serie di botta e risposta, è stato annullato ed era in calendario per il 16 ottobre. Rimane quindi da svolgere l’ultimo confronto, che si terrà a Nashville, Tennessee, il 23 ottobre (alle 3 del mattino per gli insonni italiani). Scenderanno in campo ovviamente Trump e Biden, arbitrati da Kristen Welker di NBC News.



“Il più caotico dibattito nella storia del Paese”

La stagione dei dibattiti si è aperta col botto e con un’esaltazione da incontro di wrestling. Francesco Costa, vicedirettore del Post ed esperto di politica statunitense, ha definito la serata come “il più caotico e confuso dibattito elettorale nella storia del Paese“. Ma cosa è successo esattamente? Niente di particolare, a parte i toni utilizzati tra Donald Trump e Joe Biden. Non si è discusso praticamente di nulla, perché le tematiche hanno perso rilevanza di fronte allo show.

Un mediatore disperato

Come dimostra infatti la trascrizione integrale del Wall Street Journal, il presidente Trump si è sovrapposto allo sfidante Biden con interruzioni, commenti e prevaricazioni. Lo stesso Chris Wallace, a un certo punto, ha pure affermato che al Paese sarebbe stato reso un migliore servizio, se si fosse permesso agli oratori di parlare con meno interruzioni. Una parafrasi cordiale, insomma, per dire al Presidente degli Stati Uniti di stare zitto. Successivamente, intervistato dal New York Times, Wallace ha ammesso di essersi sentito disperato in alcuni momenti della serata.

Le trappole di Trump

La strategia di Biden (e del suo staff) è stata di rottura rispetto alle provocazioni di Trump. L’ex vicepresidente ha cercato di rivolgersi direttamente agli spettatori, ma non è riuscito del tutto a rimanere freddo e distaccato nell’esposizione del suo programma e dei suoi ideali. A un certo punto è caduto a peso morto nella trappola tesa dal bullismo verbale di Trump, con un “Ma vuoi stare zitto?” ben assestato.

Il ruolo del fact checking

Nella nottata successiva, gli instant poll CNN hanno assegnato di fatto la vittoria del dibattito a Biden, nonostante l’attuale presidente abbia affermato di aver vinto a mani basse. Entra in gioco, quindi, a questo punto un altro tema centrale per i dibattiti: il fact checking. Il duello televisivo del 30 settembre, infatti, è stato l’evento con il tasso più alto di fact checking nella storia. Il quotidiano USAToday, ad esempio, aveva allestito una redazione con 25 giornalisti ad hoc, per provvedere all’aggiornamento al secondo del sito, così come il New York Times. I

l Washington Post, da parte sua, invece ha provveduto allo stesso scopo con un “Fact checker team“, formato da tre esperti giornalisti. Il Wall Street Journal, come accennato, invece ha costruito un gigantesco database, in cui gli utenti possono cercare le affermazioni dei due candidati durante la loro campagna elettorale.

L’uso del chyron 

Ma non è finita qui. A fare irruzione nel campo del fact checking sono state soprattutto le televisioni. CBS, NBC, ABC hanno usato infatti lo strumento del chyron. Si tratta semplicemente di una scritta in sovraimpressione per smentire, praticamente in tempo reale, le affermazioni di un candidato riguardo ad esempio ai dati occupazionali o alla paternità di progetti di legge. Pioniera nell’utilizzo dello strumento è stata la CNN, in occasione della convention repubblicana di agosto. Grazie a questo approccio innovativo alla politica, l’emittente ha registrato il record di traffico.

Come cambia il giornalismo

Il chyron, comunque, è stato per la CNN solo uno dei progetti realizzati nell’enorme cantiere del fact checking. “Facts first” è, ad esempio, il servizio quotidiano di fact checking di CNN. Dopo un’epoca aberrante di camere dell’eco in cui ognuno di noi si è chiuso a doppia mandata, il controllo immediato delle notizie e la loro eventuale smentita è il grimaldello per forzarci a liberarci dagli slogan e dai preconcetti a cui ci siamo, più o meno consapevolmente, assuefatti.

Fact checking come panacea di tutti i mali?

Il ritorno del fact checking e, quindi, del giornalismo come “cane da guardia del potere” è ciò di cui Internet, la società e l’elettorato hanno bisogno, anche senza saperlo. Il controllo delle notizie, putroppo, però non corregge tutte i bias di cui siamo vittime: per gli hooligans della politica, infatti, se il loro beniamino dice A e uno strumento di fact checking smentisce A, sarà lo strumento a perdere la sua credibilità e non il candidato. Anche di fronte all’evidenza, o pur di dar contro all’avversario, è l’onestà intellettuale a venir meno. E per questo, ahi noi, non c’è chyron che tenga.

Elisa Ghidini

 

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