– di Andrea Umbrello –
In un dialogo profondo con Ilan Pappé, abbiamo esplorato le sfaccettature del conflitto israelo-palestinese. Le sue analisi, profonde riflessioni e sfida alle narrazioni convenzionali sono testimonianza del suo impegno per una prospettiva autentica.
Nell’ambito del dibattito sul conflitto israelo-palestinese, Ultima Voce ha avuto l’opportunità di intervistare Ilan Pappé, storico e accademico noto per la sua prospettiva critica sulla questione. Le sue analisi hanno suscitato tanto apprezzamento quanto critica, ma sono state fondamentali per sfidare le narrazioni convenzionali. In questa intervista, esploriamo le radici del conflitto, il suo sviluppo nel corso degli anni e il ruolo degli attori internazionali. Pappé mi ha offerto consigli preziosi per soddisfare il desiderio di esplorare la complessità della questione al di là delle narrazioni dominanti, fin dalla sua posizione in merito all’origine del conflitto che, secondo l’accademico, è riconducibile all’emergere del sionismo come movimento coloniale in Palestina alla fine del XIX secolo. È proprio il sionismo, che, come altri movimenti coloniali di insediamento, si è bastato sull’assurda idea che un paese in cui vivevano altre persone appartenesse ugualmente al loro movimento e a coloro che rappresentava. La presenza della popolazione indigena costituiva un problema che poteva essere risolto solo attraverso un “conflitto”; ovvero, rimuovendo o talvolta eliminando con la forza, la popolazione locale, che, resistendo, ha portato alla nascita del “conflitto”. È proprio in questa parte della storia, nella quale, secondo Pappé, gioca un ruolo essenziale il sionismo, inteso come ideologia di colonizzazione di insediamento troppo spesso ignorata e sottovalutata.
- Considerando il mutare delle circostanze e dei contesti nel lungo percorso del conflitto, è importante analizzare le trasformazioni che hanno caratterizzato le sue dinamiche nel corso degli anni. Esaminando questo scenario mutevole, possiamo riflettere su quali eventi chiave abbiano effettivamente contribuito a plasmare e ridefinire il quadro complessivo. Con questa prospettiva, ci poniamo l’interrogativo: quali sono stati gli sviluppi e le evoluzioni significative nelle dinamiche del conflitto nel corso degli anni?
“Il desiderio di prendere il maggior territorio possibile della Palestina, con il minor numero possibile di palestinesi al suo interno, non è cambiato. Ciò che è cambiato è la capacità della resistenza palestinese di opporsi al completamento finale di un tale progetto di spostamento e sostituzione, la disponibilità del mondo arabo e della comunità internazionale ad aiutare i palestinesi e la capacità di Israele di attuare i suoi desideri ideologici. Nel complesso, possiamo dire che i palestinesi continuano a resistere, il progetto è incompleto, le società nel mondo arabo e in tutto il mondo sono più impegnate che mai nel sostenere i palestinesi, ma i governi, ovunque si trovino, sono riluttanti ad agire in modo efficace nel contrastare il progetto israeliano basato sulla sorveglianza di milioni di palestinesi attraverso vari sistemi legali, politiche di divisione, conquista e l’uso di spietata potenza militare e di sicurezza”.
- All’interno della complessità delle relazioni tra Palestina e Israele, emergono sfumature interessanti di cooperazione e interazione che hanno caratterizzato l’evolversi di questo rapporto nel corso del tempo. Esaminando da vicino i diversi settori e le dinamiche coinvolte, possiamo intravedere come tali collaborazioni abbiano influenzato il panorama politico ed economico della regione. In tale contesto, sorge la seguente domanda: in quali settori specifici si è verificata una forma di cooperazione o interazione tra Palestina e Israele, e come tali dinamiche si sono sviluppate nel corso degli anni?
“Esaminando da vicino le complesse dinamiche del contesto regionale, il primo settore che merita di essere riportato è quello che concerne le questioni legate alla sicurezza, che, com’è risaputo, registra delle collaborazioni tra l’Autorità Palestinese e Israele. In aggiunta, sono presenti imprese commerciali che operano sia a livello aziendale che individuale, e ciò avviene sia tra cittadini palestinesi che israeliani all’interno di Israele, oltre che tra israeliani e persone residenti in Cisgiordania. All’interno di Israele, si osserva un grado più elevato di interazione in cui partecipa esclusivamente un esiguo gruppo di cittadini ebrei. Prima del 1948, vi erano una maggiore quantità di azioni congiunte nelle dispute industriali e un coinvolgimento ideologico intorno al Partito Comunista”.
- Nel contesto delle discussioni sul linguaggio e sulla terminologia utilizzata per descrivere gli eventi storici, un punto di interesse è emerso riguardo al termine “epurazione etnica” introdotto nel tuo libro “L’Epurazione Etnica della Palestina” per descrivere gli avvenimenti del 1948. In risposta alle critiche che pongono in discussione l’appropriatezza di tale termine, come rispondi?
“Non c’è modo di negare che questo sia il termine più appropriato. Come ho dimostrato nel libro, se osservi le definizioni di “epurazione etnica” offerte dalle Nazioni Unite, dal Dipartimento di Stato e dagli studiosi, non c’è altra via per descrivere non solo ciò che Israele ha fatto nel 1948, ma anche ciò che continua a fare oggi a Gerusalemme, nel sud di Hebron e nella valle del Giordano. Se avessi torto, significherebbe che un milione di palestinesi ha felicemente e volontariamente deciso di abbandonare le località in cui hanno vissuto per centinaia di anni, per poi finire felicemente nei campi profughi che li ospitano”.
Affrontare la storia con occhi critici e senza preconcetti è cruciale per gettare luce su verità spesso nascoste o alterate . Nel tuo lavoro, sottolinei l’importanza di riesaminare la storia del conflitto israelo-palestinese. Mi piacerebbe che tu approfondissi ulteriormente quali eventi storici o narrazioni specifiche ritieni siano stati distorti o trascurati.
“Nel mio libro “I Dieci Miti di Israele” ho affrontato proprio questi dieci temi. Voglio evidenziarne solo alcuni. Uno riguarda il mito della Palestina come terra vuota, il secondo riguarda l’affermazione che i palestinesi se ne andarono volontariamente nel 1948 e infine la convinzione che Israele sia stata e sia tuttora una democrazia. Una ricerca storica accurata svela una vivace società palestinese alla vigilia della colonizzazione sionista, un chiaro piano di pulizia etnica nel 1948 e le caratteristiche di uno stato di apartheid che sono in atto dal 1948 fino ad oggi”.
Proprio nel tentativo di riportare la storia nel modo più federe alla realtà, il lavoro di Ilan Pappé ha suscitato sia elogi che critiche per l’impatto che ha avuto sulla percezione pubblica del conflitto. In tal senso, la mia curiosità mi ha spinto a esplorare il modo in cui affronta la responsabilità di presentare una narrazione che mette in discussione le comprensioni convenzionali. La sua risposta rivela un approccio basato sull’autenticità personale, attraverso l’esame critico e il rispetto per le critiche ricevute. Questo implica il correggere ciò che necessita correzione e avere la certezza di poter sostenere le proprie argomentazioni. “Non si tratta” – dice- “di elogi o critiche, ma di conoscere se stessi e di essere onesti e trasparenti nel modo in cui si costruisce la narrazione. La mia responsabilità è presentare una visione basata sulla ricerca e sostenuta dai fatti, sapendo che le prospettive possono essere oggetto di dibattito e di opinioni divergenti”.
Leggi anche “I territori occupati palestinesi: la prigione più grande del mondo”
Attraverso il desiderio di approfondire le sfaccettature del conflitto israelo-palestinese, ho colto l’opportunità di esplorare il ruolo che attori internazionali, come governi e organizzazioni, potrebbero effettivamente svolgere nel promuovere una soluzione al conflitto. Una riflessione su questo aspetto ha suscitato ulteriori domande, portando la mia attenzione alle parole di Ilan Pappé, il quale afferma che fino a questo momento, i governi si sono limitati a mediare. Quello che è cambiato è che grazie al contributo delle organizzazioni che si occupano di diritti umani, si è compreso sempre più che “il loro ruolo non è quello di mediare, bensì di offrire solidarietà a coloro che sono sotto occupazione e colonizzazione. Di conseguenza, stanno ora contribuendo a creare una pressione internazionale su Israele per porre fine all’oppressione dei palestinesi”. Ma ciò che mi ha particolarmente colpito è il fatto che, secondo Pappé, la parola “pace” sembra essere sfumata dal vocabolario utilizzato per discutere del conflitto, e stia lasciando spazio a concetti quali la fine dell’occupazione, dell’apartheid e della colonizzazione. Questa prospettiva offre un’importante riconsiderazione della situazione. L’osservazione ha un’importanza notevole e riflette l’acume di pensiero di Ilan Pappé, che è in grado di cogliere con tanta chiarezza il cambiamento di prospettiva in atto, attraverso un’analisi che solo una mente tanto brillante come la sua può compiere con tale facilità.
- Considerando l’ampia portata del dibattito e delle interpretazioni che circondano il lavoro di Ilan Pappé, emerge un aspetto interessante: alcuni critici indicano che il suo operato potrebbe essere interpretato unicamente come un tentativo di delegittimare lo Stato di Israele. Questo argomento solleva un interrogativo cruciale: come risponde Pappé a coloro che vedono le sue analisi come una minaccia all’identità e alla sicurezza del paese? La sua risposta rivela una prospettiva articolata che mette in luce ancora una volta il ruolo del suo lavoro come storico professionista nel contesto di una narrazione complessa e dibattuta.
“Il mio lavoro come storico professionista sfida la narrazione israeliana/sionista e mette in luce la vittimizzazione dei palestinesi negli ultimi 120 anni. Se un lavoro del genere mina la legittimità di uno Stato, ciò fornisce maggiori informazioni sullo Stato stesso piuttosto che sulla mia opera. Sono un grande sostenitore della necessità di cambiare regimi di apartheid, oppressione e violazioni dei diritti civili e umani in tutto il mondo. E in quanto storico mi identifico con gli oppressi e sostengo la loro lotta. Spero di rendere Israele e la Palestina luighi di democrazia e uguaglianza per tutti, e di restituire ai palestinesi i loro diritti, le loro proprietà, i loro villaggi, le loro città, e soprattutto una vita normale che è stata loro sottratta per più di un secolo. Senza una soluzione del genere, Israele non sarà mai un luogo sicuro e come vediamo oggi, è l’ideologia statale e non la mia opposizione ad essa che mette lo Stato in pericolo di implosione dall’interno”.
- In un momento in cui le generazioni più giovani mostrano un crescente desiderio di scoprire e comprendere gli eventi storici, la loro attenzione si volge spesso verso il conflitto israelo-palestinese, un capitolo carico di sfaccettature e complessità. Nel cercare di gettare nuova luce su questa storia, sorgono interrogativi naturali. Pertanto, mi chiedo: quale consiglio vorrebbe condividere Ilan Pappé con coloro che, spinti dalla voglia di conoscere, intendono esplorare e comprendere in profondità il conflitto israelo-palestinese, andando oltre le narrazioni consolidate e tradizionali?
“Oggi molte delle fonti primarie sono disponibili su Internet, quindi per prima cosa cercate di vedere il materiale “grezzo” da soli e non solo attraverso gli occhi degli storici. In secondo luogo, siate consapevoli di quanto sia potente l’impatto politico sulla scrittura della storia, specialmente in tempi di conflitto. Gli storici possono anche non essere sempre consapevoli di diventare i portavoce di una narrativa nazionale o di una versione della storia di uno Stato. E, cosa più importante, ricordate che è impossibile scrivere una storia oggettiva, ma è vitale scrivere la storia da un punto di vista morale per cui sei disposto a combattere. Spero che la giovane generazione scriva la storia da un punto di vista in grado di esprimere rifiuto per il razzismo, il sessismo, la violazione dei diritti civili e umani e riconosca il sinistro potere delle élite politiche ed economiche che ci fanno credere di lavorare per noi, ma spesso lavorano solo per sé stesse. Quindi, se si applica questo paradigma al caso della Palestina, si può solo arrivare alla mia conclusione che vede i palestinesi come vittime di un movimento coloniale di insediamento che è stato a sua volta vittima del razzismo europeo. I palestinesi affrontavano e affrontano l’annientamento, lottando per sopravvivere e riconquistare il diritto a una vita normale sulla loro terra natia. Quando questo progetto di annientamento cesserà, ne beneficeranno tutti, ebrei e arabi allo stesso modo, e avrà un impatto duraturo e positivo sul mondo arabo nel complesso”.
In questo profondo e stimolante dialogo con Ilan Pappé, ho avuto il privilegio di gettare luce su diverse sfaccettature del complesso conflitto israelo-palestinese. Le sue analisi, le riflessioni profonde e il coraggio di sfidare le narrazioni consolidate sono una testimonianza del suo impegno nel fornire una prospettiva autentica e basata sulla ricerca. Attraverso la sua voce, ho avuto l’opportunità di esplorare le radici storiche del conflitto, l’evoluzione delle dinamiche nel corso degli anni e il ruolo cruciale degli attori internazionali nel promuovere una soluzione duratura. È evidente che la sua dedizione e il suo impegno nel portare alla luce le verità nascoste sono un contributo inestimabile al dibattito globale sulla questione palestinese.
Sono grato a Ilan Pappé per aver condiviso il suo tempo e la sua profonda conoscenza, e sono certo che il suo lavoro continuerà a ispirare riflessioni critiche, dibattiti e, spero, progressi significativi verso una soluzione giusta per tutte le parti coinvolte.