Dialogo con Lorenzo Costa tra permacultura, progettazione e sostenibilità: una sfida possibile?

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Lorenzo Costa è agricoltore e si occupa di permacultura, gestione dell’acqua piovana e lettura del paesaggio. “La Scoscesa”, la sua azienda agricola, è nata da un progetto di recupero di 9 ettari di terreno marginale, terrazzato e abbandonato nel territorio di Gaiole in Chianti, in provincia di Siena. Abbiamo fatto due chiacchiere su cosa sia la permacultura, quali applicazioni possa avere e quali vantaggi possa portare.

Innanzitutto, cos’è la permacultura?

La permacultura è un sistema di progettazione, di solito è vista come un sistema di progettazione essenzialmente agricolo ma in realtà non lo è, può essere applicato in qualsiasi ambito. Un progetto in permacultura deve sempre essere basato su tre etiche: la cura della terra, la cura delle persone e la cura del futuro. Inoltre si fonda su una sorta di regola non scritta: assumersi le proprie responsabilità, dove per responsabilità mi piace sempre ricordare l’etimologia della parola e cioè la capacità e l’abilità di trovare risposte. Quindi prendersi in prima persona la responsabilità di certe decisioni, assumere certe decisioni e realizzare concretamente un progetto. Inoltre, un altro caposaldo della permacultura è il ragionamento sistemico, cioè progettare tenendo conto della complessità di un sistema partendo ovviamente dagli ecosistemi naturali che ci circondano. La permacultura, infatti, si basa su uno studio dell’ecologia degli ecosistemi per prendere spunto dagli ecosistemi stessi per le nostre attività. Un pensiero sistemico permette di ragionare sulle connessioni tra elementi, persone, prodotti, risorse e addirittura scarti e consente di avere cura della terra, delle persone e del futuro.

Dal 2015 Lorenzo sta portando avanti il suo progetto di vita: “La scoscesa”. Un’azienda agricola situata a Gaiole in Chianti, nella campagna senese. I primi 3 anni, ci racconta, sono stati di studio e di progettazione e solo dal 2018 ha iniziato a produrre e vendere i suoi prodotti. È stato necessario studiare il territorio con la sua storia di antica coltivazione (le terrazze risalgono al XV secolo), rimettere in sesto i muretti a secco, studiare la fertilità del suolo e ripristinarla, valutare la disponibilità di acqua e creare un sistema per la gestione dell’acqua piovana e, infine, capire cosa fosse più appropriato produrre e cosa fosse meglio evitare.

A questo si è aggiunto lo studio della comunità nella quale si sarebbe inserita l’azienda agricola e della potenziale clientela. “Tutto – specifica Lorenzo – nell’ottica del ragionare secondo un pensiero sistemico e di tenere conto della complessità prendendosi così cura della terra e delle persone”. La risposta della comunità, infatti, è buona e arrivano sempre più richieste da parte di ristoranti e famiglie. Inoltre c’è molta curiosità rispetto alla progettazione in permacultura e alla gestione dell’acqua piovana e non solo a livello locale.

Si può applicare la permacultura su ampia scala e su ogni tipologia di territorio?

La permacultura si può applicare a qualsiasi ambito a qualsiasi scala, proprio perché è un sistema di progettazione e il progettare porta semplicemente a fare un tipo di ragionamento oppure un altro. Io credo che anche i grandi supermercati o i negozi possano essere progettati in permacultura. Ad esempio, Patagonia [brand di abbigliamento tecnico-sportivo e di moda, ndr] è progettata in permacultura, almeno in parte. Quindi può essere applicata in ambiti molto vasti. Non so se sia più sostenibile da un punto di vista economico o produttivo, però so per certo che le grosse aziende perdono soldi, energia e tempo perché mancano di progettazione sistemica, e perché, magari, smaltiscono all’esterno un prodotto di scarto anziché trasformarlo in risorsa. Ad esempio, a pochi chilometri da noi c’è un frantoio che non usa le foglie eliminate attraverso il lavaggio delle olive: ogni anno ne accumula 100 metri cubi e non sa cosa farsene. Allora le ho prese io e le uso sia come fertilizzante sia per pacciamare il terreno dell’orto. Inoltre la loro presenza rende più resistente il terreno. Uno scarto quindi viene reimmesso in un sistema e così si chiude un ciclo: l’energia che sarebbe stata buttata via viene sfruttata. Se tante aziende facessero lo stesso ci sarebbe un guadagno per tantissime persone, oltre magari alla creazione di posti di lavoro.

La cura del territorio è essenziale e ce ne stiamo rendendo conto soprattutto alla luce delle recenti alluvioni in Emilia Romagna. L’approccio permaculturale, differenziato e sostenibile, è più vantaggioso rispetto alle monocolture estensive che caratterizzano l’agricoltura contemporanea?

Se riusciamo ad adattare l’agricoltura al territorio e agli ecosistemi in cui coltiviamo e non facciamo il contrario (cosa che fa l’agricoltura convenzionale di tipo estensivo) la risposta che abbiamo è stupenda. La natura è in grado di risolvere i problemi e sa trovare le risposte. È ovvio che se noi insistiamo a fare determinate cose poi dobbiamo aspettarci determinate conseguenze. Pensare all’alluvione quando c’è l’alluvione è troppo tardi, bisogna pensarci quando c’è la siccità, perché è tutto correlato e ci vuole una visione lungimirante. Ed ecco che ritorna l’approccio sistemico. Non abbiamo un piano di emergenza per le alluvioni, specialmente in una piana alluvionale quale è la Romagna: tutto quello che sta accadendo è dovuto al fatto che non ci siamo presi cura del territorio. Ad esempio, non abbiamo rispettato la fascia ripariale dei fiumi, cioè quella striscia di 30 metri attorno agli argini che non deve essere toccata, coltivata o costruita perché quando il fiume esonda occupa una porzione di territorio più ampia ma poi torna a scorrere nel suo alveo naturale. Con un progetto di permacultura si andrebbe a lavorare sulla comunità e a studiare il territorio: bacini idrografici, tipo di suolo, tipo di vegetazione e tutto questo ci permetterebbe di ricostruire con lungimiranza. È una scelta grossa, bisogna cambiare prospettiva e non è facile, ma noi ci troveremo sempre più spesso ad affrontare questo tipo di emergenze. È ovvio che anche con un territorio progettato in permacultura un’alluvione sarebbe ugualmente catastrofica, però il punto è riuscire mitigare l’effetto e a ridurre le conseguenze e, in secondo luogo, fornire gli strumenti alle persone per poter ricostruire in modo più veloce.

A fronte dell’alluvione ci siamo completamenti dimenticati dell’anno e mezzo di siccità da cui arriviamo. L’acqua in agricoltura è fondamentale e risparmiarla, ormai, è necessario. Vale per le campagne ma anche per le città. Secondo Lorenzo, una delle prime cose che bisognerebbe fare è raccogliere l’acqua piovana dai tetti: con 10mm di pioggia si riescono a raccogliere 10 litri di acqua per ogni metro quadrato di tetto. Così facendo si otterrebbe tantissima acqua da poter utilizzare in agricoltura e si andrebbe a sottrarre acqua alle fognature che, quando piove, sono già impegnate nella gestione dell’acqua che arriva dalle strade.

Inoltre, per evitare alluvioni, è anche necessario che il suolo sia nelle migliori condizioni per poter assorbire l’acqua e trattenerla. In ambito agricolo, anche domestico, sarebbe bene mantenere vivo e vitale il suolo: avere un suolo ombreggiato e coperto dal sole diretto fa sì che rimanga fresco, che trattenga l’umidità e che attiri più insetti e biodiversità. I suoli nudi, invece, si impoveriscono e muoiono prosciugandosi durante i periodi di siccità e diventando impermeabili quando piove troppo.

Un altro accorgimento che Lorenzo offre a tutti coloro che hanno un piccolo orto è irrigare al mattino presto, quando il terreno è più fresco, le radici delle piante stanno crescendo e il suolo è più adatto ad assorbire l’acqua limitandone l’evaporazione. In questo modo si riesce ad utilizzare meno acqua e in modo molto più efficace.

È possibile applicare i principi della permacultura anche in ambiente urbano?

Assolutamente sì. Bisogna capire che ci sono elementi e risorse su un territorio che possono essere riutilizzati a beneficio della comunità. Spesso i parchi pubblici non sono luoghi realmente vissuti dalle persone, non c’è più nessuna connessione o partecipazione della comunità. Ma se nei parchi pubblici mettessimo frutteti e la comunità potesse andare a raccogliere la frutta, quanto sarebbe bello? Sai che ci sono le mele e puoi andare a prenderle al parco ogni volta che porti fuori il cane. Quindi bisognerebbe riprogettare gli spazi urbani ma bisognerebbe anche riprogettare le comunità, a partire dai condomini. Bisogna riscoprire il senso di comunità e i legami con i vicini, un po’ come succedeva una volta quando i quartieri erano delle piccole città e tutti si conoscevano e si aiutavano a vicenda. Questo, a mio avviso, si può ricostruire e anche molto velocemente. Basta guardare cosa sta succedendo oggi in Emilia Romagna: la gente si sta dando una mano. La cosa che rattrista, però, è che scopriamo di essere persone socievoli e solidali solo nel momento del bisogno, che è stupendo ma quando passa l’emergenza ce ne dimentichiamo e torniamo ad essere gretti, chiusi e rabbiosi. Ma se ci si portasse dietro una briciola di quella capacità di empatia anche nella vita normale, quanto sarebbe meglio? Io sono convinto che si possa fare e sono convinto che la permacultura sia uno strumento che può aiutare. Credo solo che sia necessario che le persone ricomincino a prendersi le proprie responsabilità, nel senso etimologico del termine, come ho detto all’inizio. Poi certo, l’amministrazione comunale può affrontare la gestione del verde pubblico in altro modo, però bisogna capire che la permacultura non riguarda solo la natura ma è legata anche alla comunità.

La Permacultura, quindi, ci consente di progettare il futuro di campagne e città, grandi industrie e piccoli orti tenendo sempre a mente la complessità del sistema in cui ci inseriamo. È una visione lungimirante che ha bisogno di coraggio per essere intrapresa e tenacia per essere portata avanti, ma quando inizia a dare i suoi frutti i risultati si vedono. Il cambio di paradigma, però, è necessario: dobbiamo capire che non possiamo più piegare l’ambiente alle nostre esigenze ma, al contrario, dobbiamo adattarci ad esso e collaborare con lui.

Arianna Ferioli

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