La simulazione di un arresto in una scuola elementare, con tanto di spari e cane poliziotto, è un’ulteriore conferma della preoccupante Deriva militarista nelle scuole. Un messaggio sbagliato ai bambini, che assorbono violenza e paura invece di apprendere valori di pace e dialogo.
Un arresto simulato che spaventa i bambini
L’episodio accaduto all’Istituto comprensivo statale Rita Borsellino di Palermo ha portato alla ribalta un tema delicato: l’educazione dei bambini e il crescente uso di metodologie che sembrano favorire una pericolosa deriva militarista. Durante un progetto didattico dedicato all’educazione stradale, la polizia municipale ha inscenato un arresto con pistole a salve e l’ausilio di un cane poliziotto. La scena, proposta anche ai bambini della scuola dell’infanzia, ha causato il pianto e il panico tra molti piccoli spettatori.
L’iniziativa, sebbene pianificata in collaborazione con la scuola e con intenti educativi, ha suscitato polemiche per la sua spettacolarizzazione violenta e per la scelta di coinvolgere bambini molto piccoli, tra i tre e i cinque anni. L’episodio, documentato in un video e diffuso online, ha spinto numerosi genitori a protestare, segnalando il caso alle autorità locali. La consigliera comunale Mariangela Di Gangi ha chiesto chiarimenti al comandante della polizia municipale e all’assessore competente, accendendo un dibattito sulla legittimità e sull’utilità di simili attività.
La spettacolarizzazione della repressione
La domanda che emerge spontanea è: perché simulare una scena di arresto con pistole e cani per parlare di sicurezza stradale? La risposta, purtroppo, sembra risiedere in un approccio sempre più diffuso: la fascinazione per il modello repressivo come metodo educativo. Spettacoli come quello di Palermo, lontani dalle esigenze pedagogiche dei bambini, tendono a normalizzare la violenza, rendendola un elemento accettabile, se non addirittura desiderabile, nelle dinamiche sociali.
A tre o cinque anni, i bambini sono in una fase di apprendimento delicata, in cui la capacità imitativa è predominante. Esporli a immagini di pistole, arresti e uso della forza può consolidare un’idea distorta della giustizia e della convivenza civile. Anziché promuovere valori di pace e rispetto reciproco, si rischia di inculcare un’attrazione per la sopraffazione e il controllo, valori opposti a quelli che la scuola dovrebbe trasmettere.
La scuola come luogo di pace, non di militarizzazione
Le scuole hanno un ruolo cruciale nella formazione delle giovani menti, fungendo da ponte tra il mondo dell’infanzia e quello adulto. Questo compito include la responsabilità di educare alla convivenza pacifica, alla comprensione reciproca e alla critica costruttiva della realtà sociale. Episodi come quello accaduto a Palermo evidenziano una preoccupante tendenza alla militarizzazione delle coscienze, in cui la forza, l’obbedienza cieca e l’esaltazione della repressione diventano strumenti di “insegnamento”.
Questa deriva è particolarmente pericolosa in un’epoca in cui la violenza è già ampiamente normalizzata nei media e nei contesti sociali. Portare pistole, divise e simulazioni di violenza all’interno delle scuole significa rendere questi simboli familiari e accettabili, annullando il naturale senso critico che dovrebbe emergere nei giovani studenti. È una contraddizione evidente: la scuola, che dovrebbe costruire la pace e promuovere la solidarietà, si trasforma in un palcoscenico per pratiche che glorificano la forza e la repressione.
I danni della militarizzazione nell’educazione
L’impatto di queste pratiche educative può essere deleterio, soprattutto per i bambini più piccoli. La riproduzione di situazioni violente, anche a scopo didattico, può generare ansia, insicurezza e una percezione alterata della realtà. Inoltre, l’uso di linguaggi e strumenti propri delle forze dell’ordine rischia di trasmettere un messaggio implicito: l’autorità è sinonimo di potere coercitivo, e la risoluzione dei conflitti passa inevitabilmente attraverso l’uso della forza.
Questo modello educativo può avere conseguenze a lungo termine. La spettacolarizzazione della violenza crea un immaginario in cui la forza diventa desiderabile, anziché un’eccezione estrema. I bambini, nella loro naturale inclinazione all’imitazione, potrebbero interiorizzare questi modelli comportamentali, replicandoli in contesti sociali o personali. Si tratta di un pericoloso cortocircuito tra educazione e spettacolo, che rischia di alimentare dinamiche opposte a quelle della convivenza civile.
Alternative educative: costruire una cultura di pace
Se l’obiettivo è educare alla sicurezza stradale o alla legalità, esistono metodi alternativi molto più efficaci e rispettosi dell’età e delle sensibilità dei bambini. Attività ludiche, laboratori interattivi, storie e rappresentazioni teatrali possono coinvolgere i più piccoli senza fare ricorso a immagini di violenza o strumenti repressivi. Questi approcci valorizzano la curiosità, l’immaginazione e il dialogo, contribuendo a formare cittadini consapevoli e critici.
Un esempio positivo potrebbe essere quello di far partecipare i bambini a simulazioni di situazioni quotidiane, come attraversare una strada o riconoscere i segnali stradali, con il supporto di educatori esperti e figure delle forze dell’ordine che mostrino il loro lato umano e collaborativo. In questo modo, i bambini possono imparare divertendosi, senza essere esposti a immagini traumatizzanti o modelli autoritari.
Ripensare il ruolo delle istituzioni nelle scuole
L’episodio di Palermo deve servire come occasione per una riflessione più ampia sul ruolo delle istituzioni nelle scuole. La collaborazione tra scuole e forze dell’ordine può essere estremamente preziosa, ma deve essere guidata da principi pedagogici chiari e condivisi. Ogni intervento educativo dovrebbe essere progettato tenendo conto delle necessità e delle capacità dei destinatari, rispettando le diverse fasi di sviluppo dei bambini.
Portare la cultura della pace nelle scuole significa insegnare ai bambini a riconoscere i propri diritti, a rispettare quelli degli altri e a risolvere i conflitti attraverso il dialogo e la comprensione. Questo è il compito principale della scuola e il contributo più grande che può offrire alla società.
La scuola dovrebbe essere un luogo di crescita, apprendimento e costruzione di valori positivi. Episodi come quello di Palermo rappresentano un passo falso che rischia di compromettere questo obiettivo. È fondamentale che simili iniziative vengano ripensate, sostituendo la spettacolarizzazione della violenza con attività che valorizzino l’empatia, la solidarietà e il rispetto reciproco. Solo così si potrà contrastare efficacemente la deriva militarista e costruire una società fondata sulla pace e sulla collaborazione.