La chiamano “il male oscuro”, e colpisce ogni anno almeno 120 milioni di persone nel mondo. La depressione è da tempo considerata come una delle più grandi piaghe dei nostri tempi; ma alla Monash University di Melbourne, un team di neuroscienziati sta conducendo una sperimentazione basata sulla stimolazione elettrica cerebrale che promette risultati incoraggianti. E non solo nella lotta alla depressione.
Il “la” delle onde cerebrali
Secondo la neurobiologia moderna, le nostre onde cerebrali rivelerebbero lo stato di salute della nostra mente. Quando un paziente presenta uno stato depressivo, è come se le sue onde fossero corde “stonate” di una chitarra che necessitano di essere accordate.
Il gruppo australiano tenterà di alleviare la depressione e altri disturbi dell’umore dei pazienti sintonizzando gruppi di neuroni su frequenze specifiche. Per far ciò, i ricercatori si serviranno di elettrodi sul cuoio capelluto, sia per monitorare l’attività cerebrale che per fornire una stimolazione elettrica personalizzata.
Charlotte Stagg, neurofisiologa presso l’Università di Oxford, afferma:
“Stanno facendo qualcosa di veramente all’avanguardia. Sarebbe bello se riuscissero a farlo funzionare.”
Altri team di ricerca, negli Stati Uniti e in Europa, hanno sperimentato questa stimolazione cerebrale a ciclo chiuso per il trattamento del morbo di Parkinson e per l’allenamento cognitivo, ma il team di Melbourne è tra i primi a utilizzare questo approccio per i disturbi dell’umore.
Stimolazioni personalizzate
Paul Fitzgerald, uno psichiatra di Monash che coordina lo studio australiano, dichiara:
“Le forme attuali di stimolazione cerebrale che sono state disponibili per decenni spesso applicano lo stesso stimolo a tutti i pazienti. Questo sistema ha avuto un successo modesto. Gli studi riportano che circa la metà di tutte le persone con depressione rispondono alla stimolazione magnetica transcranica (TMS).”
Gli fa eco Kate Hoy, neuropsicologa che condurrà il processo:
“I risultati sono incoraggianti, ma potrebbero esserlo di più, e questo è uno dei motivi per cui stiamo tentando misure più personalizzate.”
Hoy afferma che la grande variazione nelle risposte delle persone alla stimolazione cerebrale, dipende dalle differenze tra gli individui. I ricercatori ritengono quindi che adeguare la corrente di stimolazione in accordo con la lettura dell’attività cerebrale di una persona, aumenterà il successo del trattamento. Il grande progresso in questo approccio è che combina la stimolazione con tecnologie che monitorano l’attività cerebrale in tempo reale.
Lo studio di Melbourne utilizzerà la stimolazione transcranica a corrente alternata (TACS) per sintonizzare le frequenze cerebrali, combinandola con l’elettroencefalogramma (EEG) per registrare l’attività elettrica nel cervello. Nei prossimi nove mesi, il gruppo condurrà prove di sicurezza ed efficacia in circa 80 persone sane; ulteriori studi saranno effettuati più avanti, durante l’anno, nelle persone depresse.
Una corsa ad ostacoli
Gregor Thut, dell’Università di Glasgow, afferma:
“I ricercatori sono entusiasti del potenziale dei sistemi a ciclo chiuso, ma stimolare il cervello mentre registra la sua attività interna con un EEG è una sfida tecnica significativa. Questo perché la macchina EEG che monitora il cervello del paziente registra anche la corrente elettrica dello stimolatore, e questo crea un artefatto che oscura l’attività naturale.”
Fitzgerald afferma che il sistema a circuito chiuso personalizzato del suo team ha software e hardware specificamente progettati per ridurre in modo significativo l’artefatto, ma sperano di rimuoverlo completamente nelle prossime prove. I ricercatori dell’Università di Manchester, nel Regno Unito, hanno anche sviluppato algoritmi in grado di rimuovere parzialmente l’artefatto e continuano a testarli in esperimenti di laboratorio.
Conclude Charlotte Stagg:
“Molti ricercatori sono scettici sul fatto che i nostri team possano superare questo problema. Ma se dovessimo riuscirci, penso che questo ci darà una gran bella quantità di emozioni”.
Quelle emozioni che, si spera, possano un giorno ritrovare coloro che si trovano ancora tra le grinfie di quell’orribile male oscuro.
Roberto Bovolenta