Dentro il piatto. Intervista al Professor Giorgio Cantelli Forti

Carlo Valentini

Di Carlo Valentini

 

Contro le leggende metropolitane sul cibo. Prova a mettersi di traverso, rischiando in popolarità, Giorgio Cantelli Forti, professore emerito di farmacologia e tossicologia all’università di Bologna, presidente della Società italiana di farmacologia e dell’Accademia nazionale di agricoltura.

Una volta in tv c’era solamente la Prova del cuoco (Rai1), oggi non c’è canale che non proponga chef e fornelli davanti alle telecamere. Perfino programmi austeri come Report e DiMartedì si sono convertiti alla cucina, facendo le pulci alla salubrità di certi prodotti agricoli e di taluni cibi. Il problema è che l’invasione televisiva alimentare promuove, a volte, informazioni errate e dà credito a credenze radicate nell’opinione pubblica ma senza riscontri scientifici.

Controcorrente, ecco l’altra faccia dell’alimentazione, quella studiata nelle università. Professor Cantelli Forti, l’Italia è un Paese agricolo?  “Fino a un certo punto- risponde. – Il saldo della nostra bilancia commerciale nel settore agro-alimentare è negativo di circa 6 miliardi di euro. L’import supera l’export per 3,4 miliardi di euro nelle carni fresche e congelate, 3,1 miliardi di euro nel pesce lavorato e conservato, 2,5 miliardi nei cereali, 1,2 negli animali vivi, 1 miliardo nei mangimi. Per fortuna che ce la caviamo bene col vino (il saldo è attivo di 4,9 miliardi) e con la frutta fresca (1,3 miliardi). Ma potremmo fare molto di più se il made in Italy fosse tutelato e potenziato con una ricerca trasversale, etica e priva di pregiudizi, in grado di dare la competitività alle imprese agroindustriali dal campo alla tavola”.

 

Domanda. Assistiamo all’exploit del biologico. I consumatori possono avere fiducia?

Risposta. Bisogna fare attenzione. Innanzi tutto è un grave errore demonizzare il non biologico, un atteggiamento artatamente promosso da taluni che fanno business biologico. Ovvero ci sono prodotti non biologici più salubri di certi prodotti biologici. Le faccio un esempio: un ortaggio o un prodotto che arriva da Paesi che non hanno normative stringenti e dove è facile applicare l’etichetta “biologico” può avere più controindicazioni di un prodotto italiano non biologico ma ben controllato. Un altro esempio: se acquisto un succo di frutta biologico made in Italy perché confezionato in Italia ma sull’etichetta non c’è scritto da dove arriva la frutta e quindi se è biologica secondo i parametri italiani oppure secondo altri discutibili criteri, beh qualche dubbio mi può venire. Pago questi prodotti assai più degli altri e non sempre ho garanzie che siano più salubri. Gli appelli per una maggiore trasparenza delle etichette sono finora caduti nel vuoto ed è facile comprenderne il perché”.

 

D. Lei mette in guardia sul biologico ma promuove gli Ogm….

R. Gli allarmi sugli Ogm, se parliamo a livello scientifico, sono un’enorme bufala. Per di più, oggi, l’ingegneria genetica non altera ma semplicemente modifica, come da sempre si fa con gli innesti. L’opinione pubblica accetta senza riserve le biotecnologie nel campo dei farmaci e della salute e mantiene remore di fronte alle stesse innovazioni introdotte nell’agroalimentare. Mi pare una contraddizione non da poco. Alla base di questo atteggiamento  vi sono dubbi e timori alimentati da informazioni tutt’altro che equilibrate e che creano allarmismo. Il pubblico ignora, o viene indotto a ignorare, che per modificare il patrimonio genetico di un batterio al fine di realizzare farmaci, quali antibiotici e ormoni, si utilizzano le stesse tecnologie che servono per rendere una pianta resistente alla siccità o alle malattie. Un esempio è il mais Bt Mon810, coltivato su 150 mila ettari in Europa e su 5 milioni di ettari nel mondo con notevole benefici ambientali, sanitari ed economici. Riduce l’uso di insetticidi, limita i danni da microrganismi, riduce le microtossine e aumenta la produzione del 15%. Ebbene, l’importazione è autorizzata in tutta l’Ue ma in Italia non si può coltivare. Poi c’è la soia, ogni anno ne importiamo 4 milioni di tonnellate, per lo più transgenica, senza i quali non potremmo produrre larga parte delle eccellenze di cui siamo fieri. Dilapidiamo 1,2 miliardi di euro l’anno, sottratti al nostro settore agricolo. All’estero gongolano. Con questa opposizione pregiudiziale e irrazionale stiamo condannando la nostra agricoltura e lasciando al palo la ricerca scientifica a vantaggio della concorrenza. Salvo poi piangere sull’abbandono dei campi e sui giovani che vanno a fare ricerca all’estero. Pensi all’assurdità: magari lei è contro gli Ogm però mangia tranquillamente prodotti realizzati col mais transgenico, carne di animali allevati con la soia Ogm e va in farmacia a comprare integratori a base di ingredienti modificati.

 

D. Beh posso sempre diventare vegano…

R. Sa perché stanno aumentando coloro che sono colpiti da vermi intestinali? Molti dei cibi con cui si alimentano molti vegani arrivano da Paesi lontani dove non ci sono controlli e risultano contaminati. Non voglio generalizzare, ma non sempre vegano si combina con salutismo. All’opposto vi è un’altra, discutibile moda, quella della carne e del pesce crudo. Attenzione perché gli abbattitori (le macchine che raffreddano i cibi) possono non uccidere tutti i batteri, il freddo non è come il caldo, e l’intestino può risentirne.

 

D. Allora, in che modo cibarsi?

R. Mangiando poco e di tutto. Prodotti di stagione, meglio freschi che conservati, quelli confezionati debbono avere etichette chiare e riportare l’origine di ogni ingrediente. Ogni giorno dovremmo cibarci di 400 grammi di frutta e verdura, meglio se di colori differenti. L’attenzione all’alimentazione è importante, essa è al primo posto tra i possibili fattori di rischio che determinano la comparsa di cancro, con un peso del 35%, valore superiore a quello del fumo che si attesta al 30%. Ma una sana alimentazione non ha nulla a che vedere con gli allarmismi e le mode.

 

D. Lei ha lanciato un j’accuse anche contro l’ambientalismo radicale.

R. Concordo con quanto ha scritto Paolo Sequi nel libro Il racket ambientale. Si è sviluppato un ambientalismo fondato sulla cultura del no che ha prodotto  normative restrittive, regolamenti severi (e difficilmente rispettabili) ed un atteggiamento “repressivo” nei confronti delle attività con maggiore impatto ambientale, senza offrire soluzioni alternative. Così non si è promosso nessuno studio serio e scientifico per dare una risposta, civile e concreta, per una tutela reale dell’ambiente in sintonia con le necessità produttive, col risultato sia di ferire l’ambiente che di penalizzare le attività economiche. Oggi, a cocci rotti, ci siamo posti con Expo 2015 il problema di “nutrire il pianeta”. Un po’ troppo tardi. Comunque bisognerà pur intervenire se la popolazione mondiale arriverà nel 2050 a 9,7 miliardi e vi saranno solo 0,04 ettari (cioè 1.400 metri quadrati) pro-capite di terreno coltivato. Oggi gli ettari sono 0,20 a testa e si contano 2,8 miliardi di persone denutrite e 0,8 in condizioni di fame.

 

D. Infine, la sanità. Lei bacchetta il ministero…

R. Il protocollo sottoscritto tra il ministero della Salute e le Regioni,  che prevede l’obbligo della prescrizione del farmaco meno costoso tra quelli che hanno lo stesso principio attivo è inapplicabile:  i farmaci anche se hanno lo stesso principio attivo differiscono per la composizione generale, sono combinati con sostanze diverse ed esse fanno bene a un paziente ma male a un altro. Né si può chiedere al medico di base di compilare un rapporto ogni volta che prescrive un farmaco che costa di più. Non è in questo modo che si risparmia nella sanità, bensì con la prevenzione, a cominciare dalla sicurezza alimentare. Maggiori controlli sui cibi consentirebbero di abbattere il consumo di farmaci.

Exit mobile version