La denatalità in Corea del Sud è al centro del dibattito pubblico. Le poche nascite rischiano di portare il paese a una crisi demografica profonda, con gravi implicazioni per l’economia e la stabilità sociale. Nonostante ingenti investimenti in politiche nataliste, il governo non è riuscito a invertire il trend, attribuendo la colpa al femminismo.
Il movimento femminista 4B si oppone al patriarcato e sfida le pressioni, evidenziando le profonde disparità di genere nel paese. La denatalità in Corea del Sud è ulteriormente complicata da una crescente guerra tra generi, alimentata da politiche populiste e misogine.
Denatalità in Corea del Sud
La Corea del Sud ha il tasso di fertilità più basso al mondo, in diminuzione ogni anno che passa. Il numero di figli richiesto a ogni donna per mantenere il proprio paese stabile è di 2.1; la Corea del Sud è ferma a 0.72 (mentre l’Italia a 1.2).
Globalmente, quasi tutti i paesi economicamente avanzati stanno vivendo un crollo delle nascite, e ognuno, a modo suo, cerca di porvi rimedio attraverso politiche per la natalità. Una popolazione in rapido invecchiamento mette a rischio l’economia, le pensioni e, in tempi di guerre, la sicurezza. Secondo le previsioni, entro 50 anni, la Corea del Sud perderà il 58% dei soldati a disposizione dell’esercito.
La situazione preoccupa così tanto i governi coreani da averli spinti a spendere 286 miliardi di dollari in 20 anni per politiche contro la denatalità, con scarsi risultati. Recentemente, il presidente conservatore Yoon Suk Yeol ha proposto di istituire un ministero dedicato a questa “emergenza nazionale”.
Eppure, lo stesso Yoon Suk Yeol ha vinto le elezioni dopo una campagna elettorale fortemente misogina, arrivando addirittura a negare la disparità di genere all’interno del paese. Il presidente infatti non ha dubbi. La denatalità in Corea del Sud, l’emergenza nazionale che rischia di portare i sudcoreani all’estinzione, ha un solo colpevole: il femminismo.
Ed è contro questo nemico, e contro le donne in generale, che il presidente ha dirottato la rabbia dei giovani maschi sudcoreani, targettizzando la sua campagna sugli uomini dai 20 ai 30 anni (involontariamente) celibi. Tanto da portare alcuni analisti a definirlo il Trump sudcoreano.
La disparità di genere in Corea del Sud
Tuttavia, i dati smentiscono categoricamente il presidente Yoon; la disparità di genere esiste eccome nella Corea del Sud, ed è tra le peggiori dei paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Le donne sudcoreane guadagnano in media il 31.5% in meno degli uomini. Il parlamento ha una presenza femminile del solo 19% (la media OCSE è del 32%) e il paese si piazza al 123mo posto su 156 per quanto riguarda la partecipazione delle donne all’economia.
I dati riflettono le credenze che pervadono la società coreana: le donne non sono pienamente persone, ma oggetti sessuali il cui ruolo è quello di soddisfare i bisogni maschili, procreazione inclusa. Incolparle per la crisi demografica era un punto di arrivo prevedibile, che serve anche allo scopo di dirottare discorso e politiche pubbliche dalle vere soluzioni.
Il movimento femminista 4B
Come risposta alle accuse mosse loro dal governo e da parte della società, alcune donne hanno dato vita a un movimento femminista radicale, che rivendica con orgoglio il suo rifiuto al ruolo imposto alle donne. Un movimento politico di opposizione al sistema patriarcale e alle politiche nataliste, il 4B (i 4 no). Il movimento opera principalmente online e prende il nome dai 4 no che queste donne oppongono alle richieste pressanti del sistema: no al matrimonio (bihon), no ai figli (bichulsan), no agli appuntamenti (biyeonae) e no al sesso eterosessuale (bisekseu).
Il movimento è ben lontano dall’essere di massa. Secondo le stime, le donne che ne fanno parte non superano le 50.000. Nonostante ciò, contribuisce a divulgare informazioni sulla situazione reale delle donne in Corea del Sud, al di là della propaganda governativa. Offre inoltre un modello di vita differente, che può essere liberamente scelto e rivendicato da ogni donna, senza per questo essere incolpata del collasso del proprio paese.
Infatti, così come altre parti del mondo, la Corea del Sud ha visto un aumento dei femminismi a partire dal 2017, in seguito al movimento MeToo. Tuttavia, il tasso di fertilità ha iniziato il suo declino nel 1983 sotto un regime dittatoriale, un tempo sicuramente non favorevole alle rivendicazioni femministe. Deve quindi esserci un altro colpevole per la denatalità in Corea del Sud.
Le vere ragioni dietro la denatalità in Corea del Sud
Il paese è caratterizzato da una cultura estremamente competitiva, con ritmi di lavoro insostenibili che mettono a dura prova la salute mentale dei più giovani. Se fino a poco tempo fa la competizione era tra soli uomini, adesso le donne sono meglio istruite e in molti casi superano la loro controparte in preparazione e capacità.
All’emancipazione accademica e lavorativa, però, non si è accompagnata quella famigliare. Seppure in carriera, le donne sudcoreane devo mantenere interamente sulle proprie spalle il lavoro di cura dei bambini, degli anziani e della casa. Spesso vengono spinte ad abbandonare il posto di lavoro una volta trovato marito. Allo stesso tempo, i giovani maschi sudcoreani entrano nel mercato del lavoro in ritardo a causa della leva militare obbligatoria, che vivono come un loro ingiusto svantaggio che favorisce le donne.
La realtà è che in un paese in cui la settimana lavorativa è composta da 52 ore (e in cui si propone di aumentarla a 69), crescere dei bambini mentre si ha un lavoro è impossibile. Come è impossibile per il governo, e per il 59% degli uomini che l’hanno votato, immaginare una ristrutturazione della società, un modello di vita diverso, che si sottragga al culto del lavoro. Molto più semplice cercare di tornare indietro, quando le donne non potevano avere alcuna ambizione al di fuori del matrimonio.
Solo il 2% dei bambini sudcoreani nasce al di fuori di un matrimonio. Se la monogenitorialità non fosse stigmatizzata a tal punto, è probabile che molte più persone sceglierebbero di avere figli. Lo stesso accadrebbe se le unioni tra persone dello stesso sesso venissero legalizzate. Tuttavia, il governo continua a puntare esclusivamente sulle relazioni tradizionali per aumentare le nascite, tattica che si sta rivelando perdente.
Incolpare le rivendicazioni femministe per la denatalità in Corea del Sud contribuisce a distogliere dalle vere ragioni, strutturali, per le quali fare figli nel paese è sempre più complicato. Contribuisce, inoltre, all’aumento del rancore degli uomini verso le donne e viceversa.
La guerra tra generi
La resistenza femminile, unita alla competizione, al culto del lavoro, alla leva militare e all’impoverimento dei giovani, ha spinto questi ultimi verso ideologie populiste e misogine. Sapientemente diffuse da politici, gruppi di interesse e fabbriche di propaganda a livello nazionale e internazionale.
La doppia velocità di cambiamento della società sudcoreana ha contributo all’aumento del risentimento tra uomini e donne, prontamente cavalcato dalla politica conservatrice. Anche se mettere femmine contro maschi non sembra la soluzione più lungimirante per aumentare la nascite, è di fatto quello sta succedendo nel paese.
Se è abbastanza comprensibile capire il risentimento delle donne verso un sistema patriarcale che le ha tenute prigioniere per troppo tempo; meno comprensibile è l’aumento del risentimento degli uomini verso le donne. O forse la ragione è così abietta che si spera di trovarne un’altra al di fuori dell’ovvio: gli uomini sudcoreani non vogliono perdere il loro dominio sulle donne.
Le donne in Corea del Sud sono sempre più vittime di violenza, incluso l’omicidio. Nel 2019 il 90% dei crimini violenti ha avuto come vittima una donna, nel 2000 era il 71%. Le donne sudcoreane subiscono violenze domestiche e molestie sul lavoro con una frequenza preoccupante e significativamente in crescita negli ultimi anni. Contemporaneamente, si diffondono anche nuovi tipi di violenze.
I crimini sessuali digitali, come la diffusione di materiale fotografico senza consenso o le molestie online, sono aumentati vertiginosamente negli ultimi anni. Comunità virtuali, dove l’odio verso le donne si amplifica e radicalizza, contano migliaia di utenti. Si tratta di spazi in cui la rabbia e la frustrazione degli uomini per un mondo che cambia vengono incanalate verso le donne, invece che verso un sistema patriarcale che danneggia anche loro, imponendogli standard irraggiungibili.
Quando le donne hanno iniziato a ritagliare i propri spazi, sviluppando autocoscienza e creando i femminismi, hanno dato vita a un movimento di liberazione. Ora, invece, gli uomini che si uniscono per salvaguardare “i propri diritti” stanno sviluppando odio e risentimento, alimentando una guerra tra generi sapientemente pilotata da un sistema che non ammette altro al di fuori di sé, come un dio dispotico.
La rabbia e il risentimento possono essere una forza propulsiva per il cambiamento, ma vanno indirizzati verso il vero colpevole: un sistema in cui capitalismo e patriarcato sono profondamente intrecciati e si rafforzano a vicenda, ma che, in sempre più angoli del mondo, viene messo in discussione, spaventando chi ne ha sempre tratto giovamento. Un sistema che, in un ultimo sussulto di autoconservazione, sembra cercare di alimentare l’ennesima divisione tra esseri umani. Se tutti i miliardi spesi per impossessarsi dei corpi delle donne fossero stati investiti in cultura ed educazione, forse la denatalità in Corea del Sud sarebbe già stata risolta.