“Il demone della paura” e la strategia della tensione

Ne “Il demone della paura”, Bauman, uno dei più noti pensatori contemporanei al mondo, che di certo non ha bisogno di presentazioni, in una forma pressoché semplice, definisce al meglio cosa sia oggi la paura, dove si annida e da cosa deriva. Sostanzialmente cosa sta alla base di quell’atteggiamento di perenne tensione nei confronti dell’avvenire che caratterizza la società moderna.

“Le paure specificamente moderne sono nate durante la prima ondata di deregolamentazione+individualizzazione, nel momento in cui le affinità interumane e i legami del vicinato, saldamente tenuti insieme dai nodi comunitari o corporativi, in apparenza eterni ma che comunque sopravvivevano da tempo immemorabile, si sono allentati o spezzati.

La scomparsa della solidarietà ha segnato ha segnato la fine di quella modalità di gestione della paura tipica della modernità solida. Ora tocca alle protezioni moderne, artificiali, amministrate di essere allentate, smantellate o comunque distrutte.”

Insomma, per Bauman la paura è il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo e a testimoniarlo è una serie cronologica di timori collettivi che ha sempre caratterizzato l’umanità tutta, dall’AIDS agli attacchi terroristici, dalla catastrofe ambientale a Chernobyl, dalla crisi finanziaria ai flussi migratori. C’è un’altra nota da fare a tal proposito, la paura è una peculiarità del mondo Occidentale. Questo, notate bene, perché se al domani della fine delle due catastrofi mondiali, una parte del mondo gode di un certo tenore di vita e di una condizione di pace, bando a degli attacchi terroristici che talvolta si verificano, una parte della popolazione mondiale, che non gode di diritti inferiori rispetto alla parte tutelata, non ha ancora diritto a quella paura sopra citata, data l’incertezza delle condizioni in cui si trova a vivere, e questo perché la guerra perenne e la povertà sono la regola, ove da noi rappresentano l’eccezione.

Nei giorni scorsi mi è capitato di leggere un articolo su Micromega relativamente il fallimento del multiculturalismo ( http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-fallimento-del-multiculturalismo/ ), articolo che mette al centro del dibattito sul tema un libro, Il multiculturlismo e i suoi limiti, breve saggio realizzato da Kenan Malik, filosofo che sviluppa un’idea tutt’altro che banale, un’idea critica nei confronti del multiculturalismo e delle politiche di integrazione sociale ad opera della comunità europea, nonché dei critici stessi del multiculturalismo. È interessante, ragione per cui se non avete voglia di leggere il saggio consiglierei di leggere l’articolo su linkato, il percorso che viene fatto nella descrizione e nell’analisi dei flussi migratori e di come, i migranti divengano i capri espiatori dell’incapacità politica interna.

La questione del capro espiatorio non è banale, perché è ciò di cui la demagogia politica si serve per alimentare, annettere ragioni alle sue orazioni, servendosi di quanto più meschino ci sia: la paura, la tensione sociale.

Ripescato dal mare
“Ripescato dal mare”, Collettivo FX, NemO’s, LuogoComune, Foto di Ilaria Piromalli

E così la disaffezione nei confronti di una realtà multietnica dipende in particolar modo da una realtà politica populista che ne configura le dinamiche, che configura l’accoglienza come una forma di ingiustizia sociale, ponendo quegli ideali alla base della nascita dello stato moderno, alla base della civiltà e della democrazia, cardini fermi durante la rivoluzione francese, come erronei.

Savoir faire politico correlato a delle argomentazioni ben sistemate. E tuttavia la persuasione politica, perché di questo si tratta, diviene un alimentatore di paura, l’arma che fa armare di forconi e lingue aguzze il popolo, su una base xenofoba tutt’altro che giustificata.

Senza essere fin troppo aulici, poniamola così, la persuasione politica si serve di autentiche cazzate, tutte ben costruite, perché a metter paura ci vuole una buona capacità pratica. Così ci si serve dell’insoddisfazione generale, della disoccupazione giovanile, dei soldi che non ci stanno e che a tirar avanti a campare servono, e quella schiera di persone che scappano dal terrore della quotidianità divengono i responsabili di ogni problema oscuro che si annida nella società. Per la stessa motivazione per cui, con occhio rivolto alla realtà italiana, prima che arrivassero albanesi e rumeni, prima che arrivasse gli africani, i responsabili di ogni male passo della società erano i meridionali caciaroni.

Demagogia, demagogia che si serve della paura e le fragilità. Demagogia aiutata dall’apatia della società rispetto al mondo.

E tuttavia delle volte è l’arte, attraverso la satira politica, che tota nostra est, a voler risvegliare le coscienze.

Il muralismo è un movimento pittorico nato in Messico, nonostante i precedenti storici notevoli, e rappresenta una forma d’arte con finalità sociali.

Riace, quest’anno diventata famosa agli occhi del mondo non solo più per il ritrovamento dei bronzi nelle acque del suo mare, ma anche per il suo modello all’insegna dell’accoglienza e dell’integrazione, ha iniziato questo percorso che vede i murales come una parte viva del suo centro ormai da qualche anno, attraverso dapprima l’iniziativa “i colori della memoria”, con la realizzazione di murales in ricordo delle vittime della mafia, e, con non poche polemiche, che, poco colgono il senso della satira nel significato latino (alias parte viva della madre della cultura italiana), nonché della finalità sociali del muralismo, lo ha portato avanti con una nuova opera, ad opera del Collettivo FX, NemO’s e LuogoComune.

Dall’azzurro, sterilizzando la paura, viene la cultura, basta capire soltanto che la demagogia dice una miriade di parole ripescare in un mare di cazzate: il senso oltre l’apparenza, il significato oltre la parola.

 

Di Ilaria Piromalli

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