La democrazia è passato o futuro?
Nel 1968 eravamo al culmine dell’estate dell’amore. No uomini e donne, bianchi o neri, cristiani e musulmani ma umani. Nonostante un Dio che era morto nei campi di sterminio, ucciso dal napalm nelle giungle del Vietnam, assassinato dai mafiosi che lasciavano le pistole e portavano i cannoli. Prima criminali e poi colletti bianchi dalle camicie inamidate e istituzionali.
Un dio ucciso dai miti della razza, dal maccartismo, dal proibizionismo. Dalla ipocrita ostinazione di una Pleasentville in bianco e nero contrapposta all’irresistibile richiamo della festa esplosiva di sensi e colori.
Il vento della democrazia stimolò una generazione, una generazione preparata e determinata a cambiare il mondo. Stravolgere le stagioni dei ricorsi storici camminare verso l’estate al grido di “I have a dream”.
“Un Rinascimento di compassione, consapevolezza e amore nella Rivelazione della coesione di tutto il genere umano”
Allen Cohen – San Francisco Oracle (Gennaio 1967)
Ogni gesto d’amore verso il prossimo moltiplicava la brezza diffondendo amore. La democrazia scardinava ogni cancello dell’imposizione alla ricerca di una comprensione maggiore.
“Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all’uomo com’è: infinita.”
William Blake
Le morti
Poi arrivò il sangue. Quello rosso del reverendo nero Martin Luther King a Memphis il 4 Aprile 68’. Quello rosso del bianco irlandese-americano Bobby Kennedy il 5 giugno 68’.
Significativo il fatto che i proiettili mortali colpirono la testa dei due leader. Come se, simbologicamente, si volessero colpire le menti. Due teste collegate al cuore di migliaia di donne e uomini.
L’estate dell’amore finì. Chiusa come una foto sbiadita dentro un’edizione ingiallita di “Utopia” di Tommaso Moro.
Il mondo è andato avanti con le sue vittime e i suoi carnefici. Con le guerre vere e la pace finta. Il progresso delle tecnologie e il regresso delle ideologie.
Con alti e bassi si è valicato un millennio. Passando da un Presidente nero a un Presidente tinto.
Dall’inclusivo “Yes we can” all’esclusivo “America first”. Un contagio dell’odio che come uno spettro si aggira anche per l’Europa al grido di:
“Prima la Padania”, Prima il Nord”, “Prima gli italiani”, “Prima gli eterosessuali”, “Prima i polacchi”, “Prima gli ungheresi”, “Prima i treni arrivavano in orario”.
Quando i popoli sono deboli, culturalmente e materialmente, è più facile che si privino del potere di essere liberi. Ed è questo il momento in cui gli avvoltoi, richiamati dall’olezzo delle difficoltà, beccano con più forza.
“Molto sdegno e poca indignazione”
Gianrico Carofiglio in una recente intervista a “Circo Massimo” su Radio Capital ha usato questa distinzione per parlare della situazione italiana pre-elettorale. Queste parole denotano uno scontro culturale tra democrazia e bullismo.
La democrazia è il potere del popolo. Un sistema perfettibile certamente. Una forma di stato che può essere migliorata solo guardando al futuro e non rispolverando gli orrori del passato.
Sono in troppi a pensare che il potere sia solo fonte di diritti. Valutazione che porta al facile sdegno di massa. Facile perché lo sdegno ci libera dalla responsabilità. Qualsiasi cosa accada possiamo dire: “E’ tutto sbagliato, sono tutti ladri, raccomandati etc.”
L’indign-azione è invece un moto di presa di responsabilità. Indigniamoci contro l’odio e la violenza di tutti i colori. Riprendiamoci il potere e la responsabilità di agire per un mondo migliore.
Prendersela con la democrazia e adorare il bullo equivale ad un fedele che bestemmia Dio per avergli donato il libero arbitrio mentre spera che arrivi Satana a risolvergli i problemi. Dalle mie parti si dice: “Quando il diavolo ti accarezza vuole l’anima”.
Quale democrazia per il futuro?
Qualsiasi sia il risultato della società che doneremo ai posteri, sarà frutto delle scelte che facciamo ora. Nutri la bellezza, l’amore e l’empowerment o l’odio?
“Non chiederti che cosa può fare il tuo paese per te, ma chiediti che cosa puoi fare tu per il tuo paese.”
John Fitzgerald Kennedy
La citazione non è casuale. Infatti il 30 gennaio, Joe Kennedy III – pronipote di Bobby e John Kennedy – senatore democratico del Massachausetts ha tenuto un appassionato discorso.
Il giovane avvocato, promessa della politica USA ha parlato da una cittadina industriale di Fall River. Questo è già molto interessante se si pensa alle accuse subite da Hillary Clinton, di distanza rispetto al tessuto sociale reale.
Integrazione, spirito democratico, potere di scelta. Rifiuto della paura, attenzione per i deboli. Questi i temi affrontati.
“Questa amministrazione non sta colpendo solo le leggi che ci proteggono, sta colpendo l’idea stessa che tutti siamo degni di protezione. Per loro la dignità dipende dalla classe sociale, dal genere, dall’etnia e dal credo religioso”
Joe Kennedy è la risposta al Trumpismo dilagante? Sarà la guida degli Usa e del mondo in grado di rappresentare quella necessaria inversione a U?
Ai posteri l’ardua sentenza, nel frattempo scegliamo di accettare la responsabilità che il potere democratico comporta. Finchè lo abbiamo.
Daniele Fiorenza