Ricostruire vicende del passato è difficile. Lo è ancora di più, quando interviene la “deindicizzazione” di articoli giornalistici. Il più delle volte, applicata dalla stampa stessa
La deindicizzazione degli articoli è un tema sul quale giornalisti ed esperti di privacy dibattono, ormai, da diversi anni.
Quando si vuole ricostruire una vicenda di pubblico interesse, specialmente nell’ambito di inchieste e indagini, spesso si utilizza Google per ricavare dati, informazioni, nomi.
Ma questo può diventare molto difficile, se non impossibile, quando ci si scontra con la “deindicizzazione” di determinati articoli.
Ciò, avviene principalmente tramite le stesse testate che hanno pubblicato le informazioni.
A volte, si tratta semplicemente di effettuare test.
In altri casi, i proprietari dei siti o delle testate nascondono articoli di loro spontanea volontà, in virtù del “diritto all’oblio“. Così che nomi di persone e vicende – perlopiù giudiziarie – possano sparire dalla memoria del web. E da quella del pubblico.
Deindicizzazione degli articoli: come e perché avviene
La deindicizzazione consiste nell’omissione di un determinato contenuto dai risultati di una ricerca fatta, ad esempio, su Google. L’articolo, in realtà, non viene del tutto eliminato. Ma, per trovarlo, è necessario conoscere esattamente l’indirizzo web.
Questo può avvenire sia tramite il motore del ricerca, che può tutelare una persona oscurando un articolo che la cita; sia tramite la stessa testata che ha pubblicato l’articolo, per effettuare test o per rispettare il “diritto all’oblio” di persone o aziende.
L’indicizzazione, d’altra parte, è necessaria per trovare informazioni. E la sua assenza, come spiega l’avvocato ed esperto di diritto applicato alle nuove tecnologie, Bruno Saetta, sarebbe equivalente alla deindicizzazione di qualsiasi risultato.
Senza chi organizza i dati, come un motore di ricerca, non troveremmo nulla.
Poniamo l’esempio di un blog non indicizzato: a meno che non se ne conosca l’indirizzo esatto, tutto ciò che in esso è contenuto, è come se fosse perso
Quando la deindicizzazione scavalca il diritto all’informazione
Secondo la normativa europea, la deindicizzazione di pagine web non dovrebbe mai imporsi sul diritto di cronaca dei giornalisti e sul diritto all’informazione del pubblico.
La pubblicazione di dati personali negli articoli d’informazione – come spiega l’avvocato penalista dell’informatica e delle nuove tecnologie Giovanni Battista Gallus – è legittimata da funzioni di cronaca, di valore informativo, e di ricerca statistica o storica (tramite l’archivio storico di una testata).
Sempre più spesso, però, come dimostra una delle ultime inchieste di Irpimedia, il diritto all’oblio si impone sulla stampa, facendo sì che dati e fatti riconducibili a un certo personaggio o a una vicenda non siano più raggiungibili.
Specialmente quando si tratta di vicende giudiziarie, dati gli sviluppi del caso, le informazioni contenute in un articolo possono risultare superate e non più vere. In quel, secondo l’avvocato Saetta “è bene aggiornare e non cancellare un articolo di stampa, se c’è la possibilità“. In modo da permettere agli utenti di ricostruire un processo in ogni suo avanzamento.
Il problema, come prosegue Saetta, è “trovare un bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello di una persona di essere dimenticata“, soprattutto se la persona in questione è un personaggio di rilievo.
In questi casi, generalmente, interviene il Garante per la protezione dei dati personali. Ma, spesso, come evidenzia l’avvocato penalista Gallus, le testate giornalistiche rispondono alle richieste di oblio senza che il Garante entri nel merito della questione.
Come dimostrano alcuni provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, Google tende a resistere di più alle richieste di deindicizzazione.
È più facile che sia una testata a rendere irraggiungibile un articolo. Lo si deduce dal fatto che il Garante, in diversi provvedimenti, dichiara esplicitamente il non luogo a procedere perché l’articolo è già stato deindicizzato prima che la persona faccia reclamo all’ Autorità.
A volte, è stato addirittura rimosso dall’archivio storico
Nel 2021, il tema del “diritto all’oblio” era diventato oggetto di discussione tra politici e giornalisti. in Italia. Con l’approvazione dell’emendamento alla riforma Cartabia, introdotto dal deputato di Azione Enrico Costa, per un imputato assolto risulta molto più facile ottenere una deindicizzazione dai motori di ricerca.
L’imputato destinatario di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e la persona sottoposta alle indagini destinataria di un provvedimento di archiviazione possono richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete Internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento del Parlamento europeo del 27 aprile 2016
In particolare, nei tre giorni successivi all’assoluzione o all’archiviazione del caso, l’imputato può ottenere un provvedimento di deindicizzazione proprio dalla cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza di assoluzione o il decreto di archiviazione.
Inoltre, può chiedere una deindicizzazione preventiva, ossia l’obbligo a rendere non raggiungibili dai motori di ricerca tutti gli articoli che saranno scritti da quel momento in poi.
Contro tale legge, si erano schierati FNSI e La Repubblica, che parlavano di “morte del diritto di cronaca“.
Nel 2023, lo stesso Garante è intervenuto a favore del pubblico interesse. Ha respinto, infatti, la richiesta di cancellazione di un articolo pubblicato dagli editori de Il Resto del Carlino e de La Gazzetta del Mezzogiorno.
Sono tenuti a inibire l’indicizzazione dell’articolo visto che non sembrano sussistere, allo stato attuale, specifiche ragioni di interesse pubblico che giustifichino una perdurante reperibilità dell’articolo in questione al di fuori dell’archivio dell’editore.
Ma non devono cancellare il pezzo perché l’archivio on-line di un giornale, così come l’equivalente cartaceo, presenta in sé un’importante funzione ai fini della ricostruzione storica degli eventi che si sono verificati nel tempo
Canzel Club: il ritrovo degli articoli censurati dalla stampa
Per analizzare il fenomeno della deindicizzazione degli articoli come autocensura della stampa, nel 2021, lo sviluppatore Sowdust ha creato canzel.club: un sito che raggruppa gli url deindicizzati di giornali da tutto il mondo.
Canzel.club è programmato per leggere un file che si trova all’interno delle testate monitorate, robots.txt, il quale comunica con i motori di ricerca e dà indicazione su quali pagine devono essere deindicizzate. Ogni volta che il file robots.txt di tali testate viene aggiornato con un nuovo contenuto da rendere invisibile, il sito di Sowdust inserisce l’url dell’articolo al suo elenco.
Canzel.club nasce dall’idea di sfruttare il file robots.txt per l’uso opposto a quello per cui è stato pensato. Le testate giornalistiche lo usano come una lista di url da ignorare, canzel.club lo usa per evidenziare gli articoli che nel tempo i giornali hanno deciso di rendere introvabili tramite i motori di ricerca.
Non esiste un sistema di tracciamento delle deindicizzazioni, né tantomeno sono note le motivazioni per cui avvengono. Con canzel.club è possibile osservare, almeno in parte, cosa scompare rispettando il diritto all’oblio, in quanto il sito e i suoi contenuti sono a loro volta nascosti ai motori di ricerca
Secondo i dati raccolti da Irpimedia, tra dicembre 2021 e marzo 2024, sono migliaia gli articoli giornalistici nascosti dalle testate.
Al primo posto c’è La Stampa, con ben 1.852 deindicizzazioni. Segue La Repubblica, con 1.346 articoli oscurati. Al terzo posto le testate RAI, che hanno nascosto 401 pagine.
A seguire, sono stati deindicizzati 189 articoli da Il Corriere della Sera, 144 da La Gazzetta dello Sport, 97 da Il Messaggero e 88 da Il Giornale.
Molti degli articoli raccolti sul sito, sono legati a vicende giudiziarie che hanno avuto un forte impatto nella cronaca nazionale.
Per esempio, lo scandalo Telecom-Sismi del 2006, che ha portato alla luce un sistema di sorveglianza illegale nel quale risultarono coinvolti diversi personaggi politici e aziende come Telecom e Pirelli. In merito alla vicenda, Repubblica ha deindicizzato tutti e sei gli articoli pubblicati tra il 2006 e il 2013, mentre La Stampa ne ha oscurati cinque. Inoltre, risultano nascosti altri articoli risalenti al 2010, 2012 e 2013.
Si tratta di informazioni di grande interesse pubblico e giornalistico, tra cui i dettagli sulla sorveglianza dei cittadini e sui traffici illegali di informazioni, i rapporti tra le aziende e i servizi segreti del Sismi, e i nomi di indagati e condannati.
A causa dell’autocensura della stampa, queste vicende sono molto difficili da ricostruire. Dunque, la stessa stampa non risponde al diritto all’informazione dei cittadini.