Deforestazione globale, le responsabilità dell’Europa

deforestazione globale

Secondo l’ultimo report del WWF i consumi dell’Europa sono responsabili del 10% della deforestazione globale. È indubbio: il nostro stile di vita sta distruggendo gli habitat forestali.

I dati sulla deforestazione globale

In 30 anni sono stati deforestati circa 420 milioni di ettari, una superficie paragonabile all’intera Europa. Il fenomeno colpisce soprattutto le foreste tropicali, nelle quali peraltro vive il maggior tasso di biodiversità (>80%) al mondo: un patrimonio inestimabile. Ogni anno circa 10 milioni di ettari di foreste vengono convertiti in terreni per l’agricoltura e l’allevamento, attività che distruggono gli habitat naturali. Inoltre, il rapporto tra deforestazione globale e rimboschimento è ormai costantemente negativo (nel 2020 è negativo per 178 milioni di ettari). Sono questi i dati diffusi da un recente studio dello Stockholm Resilience Centre, secondo il quale il 40% della foresta pluviale amazzonica si trova già a un punto di non ritorno, noto come tipping point.

L’aggravante degli incendi

L’Amazzonia brucia e non si ferma. Rispetto a settembre 2019, gli incendi sono aumentati oltre il 60%, in un contesto già compromesso dalla siccità. Inoltre, l’agenzia spaziale INPE ha constatato un aumento complessivo di incendi del 13% nei primi nove mesi del 2020; solo nel mese di ottobre, l’Amazzonia brasiliana è stata colpita da 17.326 focolai contro i 7.855 dell’anno precedente. Numeri in costante crescita. Purtroppo, nel 2020 anche la zona umida del Pantanal ha perso 4.2 milioni di ettari di foresta: quasi il 28% del totale.  Il fenomeno è direttamente connesso all’agricoltura industriale (73%), ma non è l’unica responsabile.

“Quanta foresta avete mangiato, usato o indossato oggi?”

Sebbene possano sembrare due problemi differenti, la deforestazione globale e gli eccessi del nostro stile di vita sono fenomeni strettamente correlati. Infatti, il nuovo report del WWF ha l’obiettivo di informare e sensibilizzare le persone su quanto le nostre abitudini possano essere pericolose per il pianeta. Dal numero di caffè agli outfit per essere alla moda: è tempo di cambiare abitudini.

Il caffè, un piacere poco sostenibile

Per gli amanti del caffè è opportuno sapere che nel mondo si bevono circa 2,5 miliardi di tazze al giorno. Secondo la Yale School of Economics, il mercato del caffè genera un ricavo annuo superiore ai 100 miliardi di dollari, sebbene siano minimi i profitti degli agricoltori. Tuttavia, la domanda della seconda materia più richiesta al mondo dopo il petrolio è in aumento.  Attualmente, si producono circa 10140 kg di caffè all’anno ma, entro il 2050, potrebbe essere necessario triplicare la produzione: uno soluzione insostenibile per l’ambiente. Inoltre, il cambiamento climatico velocizza l’inaridimento delle terre, costringendo  i produttori ad abbandonare presto le terre. Il 33% del consumo globale di caffè è rappresentato dall’Europa, nella quale la Germania è il maggior acquirente, seguita dall’Italia e dal Belgio, per un valore complessivo di 7.5 miliardi di euro. 

Il legno, l’oro dell’Italia

L’industria del legno rappresenta la barbabietola da zucchero delle interrogazioni di geografia: c’è sempre. Infatti, fin dagli anni Ottanta è annoverata fra le principali cause della deforestazione globale. Per lungo tempo ha rappresentato l’unico obiettivo del contrasto allo sfruttamento delle foreste, per poi orientarsi verso più sostenibili pratiche gestionali. Resposabile si, molto, ma non è l’unica attività a contribuire. In questo settore, l’Italia ha un ruolo importante in quanto principale importatore di materie grezze ed esportatore di prodotti finiti. Infatti, il nostro paese vanta un primato mondiale come produttore di carta/cartone e di mobili d’arredo. Tuttavia, nonostante sia un mercato molto ricco per noi, le stime ETIFOR affermano che, in meno di vent’anni (2010-2018), l’Italia ha contribuito a deforestare un valore in ettari che oscilla tra 99.135 ha e 313.896 ha. Di questi, circa il 75% ha provenienza esclusivamente dal Sud America.

Allevamento, la bresaola di zebù

Sulla deforestazione globale incide considerevolmente l’allevamento del bestiame, soprattutto di bovini della specie zebù (Bos taurus indicus). Caratterizzati da una prominente gobba, questi animali sono molto apprezzati in Italia per la produzione di bresaola IGP della Valtellina. Può sembrare una truffa, ma in realtà si parla di una procedura assolutamente legale. Infatti, secondo il disciplinare IGP, la bresaola valtellinese deve essere elaborata nella tradizionale zona di produzione e ricavata da cosce di bovino di età compresa tra i 18 mesi e i 4 anni; pertanto, non c’è un vincolo sul paese di origine. Il Brasile, maggiore esportatore di carne bovina, fornisce tra il 25% e il 40% delle importazioni all’Unione Europea, di cui circa il 17% è legato alla deforestazione illegale. Nel complesso, questo mercato ha determinato la deforestazione di circa 75 milioni di ettari in Amazzonia.

Il pellame, un outfit poco eco-friendly

Il pellame usato per la produzione di abbigliamento e accessori è un sottoprodotto dell’industria bovina, quindi contribuisce al deforestamento globale. L’Italia, patria dell’alta moda, ha attive su tutto il territorio diverse industrie conciarie, che importano le loro manifatture in tutto il mondo. Per sostenere una richiesta così alta, il Bel paese da solo importa il 21,8% di pelli bovine ed è il secondo maggiore importatore dopo la Cina. In generale, l’Europa acquista 80.500 tonnellate di pelle dal Brasile, alimentando indirettamente anche il mercato illegale. Ad oggi, purtroppo, il legame tra industria conciaria e ambiente è ancora poco conosciuto in termini di deforestazione, perché si focalizza l’attenzione esclusivamente sulla sostenibilità dei processi di produzione dei manufatti. Tuttavia, la problematica è ancora più ampia e complessa e meriterebbe un’attenzione diversa a livello internazionale. A tal proposito, il WWF già da tempo promuove le aziende che investono in filiere trasparenti e forest-friendly.

La soia nutre l’Occidente e uccide le foreste

Destinata per buona parte alla produzione di farine per mangimi animali, la produzione di soia in 70 anni è aumentata di 15 volte. Il Brasile, maggior produttore al mondo di soia, la coltiva togliendo terreni a specie rare presenti nella savana del Cerrado e nel Pantanal. L’Europa contribuisce a questo fenomeno per il 15%, essendo il secondo maggiore importatore al mondo dopo la Cina. La domanda europea è soddisfatta quasi esclusivamente dal mercato brasiliano, parte del quale (500.000 tonnellate) deriva purtroppo dalla deforestazione illegale. L’Italia è il terzo maggiore importatore dell’Unione Europea ed usa la soia soprattutto per la produzione di mangimi destinati agli allevamenti intensivi di pollame, suini e bovini. Per arginare un fenomeno simile, i governi e le aziende europee dovrebbero mettersi in prima linea, favorendo una normativa severa che regolamenti la deforestazione.

“Fa più rumore un albero che cade, piuttosto che una foresta che cresce”

Le foreste sono una risorsa preziosa, il cui valore è inestimabile così come la loro bellezza. Raccontano secoli di storia e sono l’essenza stessa dell’evoluzione, conservando circa l’80% della biodiversità presente su tutta la Terra. Si estendono a quasi ogni latitudine e offrono un’infinità di habitat per animali e piante. Sebbene l’economia sia importante e sostenga molti paesi, il valore delle foreste tange anche la sfera sociale e culturale. Basti pensare a tutte quelle popolazioni indigene che vivono nelle foreste e vedono violate irreversibilmente le proprie terre natie.

Deforestazione e cambiamento climatico

Gli effetti della deforestazione globale sono importanti e potenzialmente pericolosi anche sul clima. Infatti, le foreste tropicali sono dei delicati regolatori di umidità, poiché aumentano/diminuiscono i livelli di pioggia stagionali e annuali. Tuttavia, questo meccanismo è estremamente delicato e si basa su feedback, che influenzano e sono influenzati dalla distribuzione attuale e passata delle foreste tropicali. Inoltre, la fitta vegetazione contribuisce a regolare la temperatura locale, poiché riflette la luce solare (albedo) e incentiva l’evapotraspirazione, favorendo la funzione mitigatrice sui cambiamenti climatici. Tuttavia, la deforestazione intensiva limita le capacità delle foreste con effetti deleteri su tutto il pianeta. Inoltre, tagliare gli alberi determina un rilascio in atmosfera di ingenti quantità di CO2, che contribuiscono al riscaldamento globale.

La campagna Together for forests

Fortunatamente, negli ultimi anni si osserva una maggiore attenzione delle persone verso le problematiche ambientali. Complice anche un’ampia campagna di informazione e sensibilizzazione, il mondo sembra volersi prendere cura del Pianeta. Tuttavia, la strada è ancora lunga e complessa, vista la quantità di variabili che devono essere considerate. Oggi, però, ci sono le possibilità concrete di intervenire sul fenomeno della deforestazione globale e l’Europa sta lavorando a nuove normative che tutelino la biodiversità e ostacolino il mercato illegale. In particolare, la Commissione Europea sta incentivando i cittadini a firmare la consultazione pubblica Together for forests, prendendo così parte alla lotta contro la deforestazione. Se da un lato è urgente una normativa internazionale, dall’altro bisogna avere consapevolezza degli effetti del nostro stile di vita sull’ambiente. L’obiettivo non è denigrare una determinata attività, ma condannarne l’eccesso e l’uso inconsapevole.

“In medio stat virtus”

Nel secondo libro dell’Etica Nicomachea, Aristotele sottolineava l’importanza della medietà. La virtù è a metà strada tra l’eccesso e il difetto, mentre gli estremi non sono mai produttivi, perchè incentivano la mediocrità. Quindi, anche nel prendersi cura dell’ambiente, l’obiettivo non dovrebbe essere cambiare drasticamente le nostre abitudini o privarsene, ma ridimensionarle in un’ottica ecologicamente più sostenibile.

Carolina Salomoni

 

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