Il giovane regista Tom Edmunds ha diretto Dead in a week usando un grande caratterista come Tom Wilkilson (1948) nel ruolo di Leslie, assassino vicino alla pensione, non ancora intenzionato a lasciare il proprio lavoro.
Sulla sua strada s’imbatte nel giovane William (Aneurin Barnard) che ha sperimentato mille modi per farla finita. Di certo nella ricerca per il metodo perfetto per morire il ragazzo dimostra fantasia e talento non minore di quanto ne abbia nella scrittura.
Fatto sta che il suo tanto vituperato manoscritto fa centro con l’editor Ellie (Freya Mavor), come lui disillusa con la vita e che sente una forte connessione con ciò che lo scrittoruccio sbandato mette su carta.
Le cose si complicano quando, ad una settimana dal pagamento, il contratto di suicidio per interposta persona tra Leslie e William deve arrivare a conclusione ma il tiro del sicario non risulta essere efficiente. Il suo capo Harvey (Christopher Eccleston) non è affatto contento e ingaggia il russo Ivan per porre fine al caos.
Non c’è che dire: gli inglesi sanno come suonare le corde del black humour e far ridere pensando alla morte, al macabro. Con l’aiuto dei suoi attori il film riesce ad essere frizzante, leggero, tenero senza scadere nell’emotivo e nel melenso.
Non ha grandi aspirazioni né messaggi: vuole allietare e far comprendere, simpatizzare. E chissà che la presenza dei pappagallini non siano reminiscenza del samurai di Melville volto in parodia già col fisico di Wilkilson.
Lo stile è agile, narrazione semplice e stringata come in molte commedie britanniche di questi tempi, essenziale nel rendere le linee narrative. Fa ridere con intelligenza, ritmo, piglio sicuro. In fondo, è solo un fatto di solitudine, di trovare uno scopo e qualcuno che faccia da compagnia. Tutte le fisime possibili possono allora passare in secondo piano.
Antonio Canzoniere