Giorgia Meloni chiama Netanyahu: cessate il fuoco, aiuti umanitari e liberazione degli ostaggi le condizioni per una de-escalation. Nel frattempo il capo di Stato americano Antony Blinken tenta il dialogo con il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan per una mediazione con Hamas.
La telefonata con Netanyahu
La premier italiana Giorgia Meloni continua a mantenere un intenso dialogo con i leader internazionali in merito alla crisi in Medio Oriente. Oggi una nuova conversazione telefonica con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Il contenuto della chiamata, come riportato da fonti vicine al governo italiano, ha riguardato principalmente l’andamento delle operazioni militari in corso e le possibili vie per una cessazione delle ostilità. Meloni ha ribadito la necessità di tutelare i civili, sottolineando che qualsiasi azione militare deve essere condotta nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario. La protezione delle popolazioni civili e la necessità di garantire un accesso sicuro agli aiuti umanitari sono stati temi centrali del colloquio.
Il Primo Ministro Netanyahu, dal canto suo, ha esposto la posizione del suo governo, sottolineando la minaccia rappresentata dai gruppi terroristici operanti nella regione e la necessità per Israele di difendersi da attacchi che mettono a repentaglio la sicurezza dei suoi cittadini.
L’Italia, attraverso la voce della sua leader, continua a promuovere un approccio equilibrato, che coniughi la legittima difesa degli stati con la tutela dei diritti umani e il rispetto del diritto internazionale. Questo duplice binario è stato più volte sottolineato da Meloni, la quale si è detta convinta che una pace duratura non può essere raggiunta attraverso la forza, ma richiede un impegno congiunto della comunità internazionale per risolvere le cause profonde del conflitto.
Blinken coinvolge il ministro degli Esteri turco
Questa mattina, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha telefonato il suo omologo turco Hakan Fidan, per discutere della sicurezza della regione e della necessità di coinvolgere tutte le parti interessate nei negoziati per un cessate il fuoco, inclusa Hamas. Proprio la partecipazione di Hamas al vertice ONU che si terrà giovedì è stata uno degli argomenti principali, poiché l’inclusione di tutti gli attori rilevanti è vista come un passo fondamentale verso la possibilità di arrivare a una de-escalation.
La Turchia, che storicamente ha mantenuto relazioni complesse con Hamas, può recitare un ruolo attivo per risolvere il conflitto israelo-palestinese. E lo stesso Fidan è d’accordo che escludere Hamas dai colloqui potrebbe compromettere la legittimità e l’efficacia di qualsiasi accordo futuro.
La chiamata tra Blinken e Fidan arriva dopo che, nelle settimane precedenti, gli Stati Uniti hanno intensificato i loro contatti con i principali attori regionali. La questione del cessate il fuoco è diventata centrale in queste discussioni. Gli USA pur riconoscendo Hamas come un’organizzazione terroristica, vedono la necessità pragmatica di coinvolgere tutti i protagonisti nel processo di pace.
Tuttavia, questo approccio non è privo di controversie, soprattutto alla luce delle tensioni storiche tra gli Stati Uniti e Hamas. Le relazioni tra Washington e Ankara sono state, in passato, influenzate dalle divergenze di vedute su come affrontare il ruolo di Hamas nella regione. Nonostante ciò, l’attuale contesto di crisi ha portato a una maggiore cooperazione tra i due paesi, con l’obiettivo comune di stabilizzare la regione e prevenire ulteriori spargimenti di sangue.
Il vertice di giovedì rappresenta quindi un momento fondamentale, non solo per la diplomazia internazionale, ma anche per la tenuta delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Turchia. La partecipazione di Hamas al tavolo dei negoziati potrebbe segnare un punto di svolta nelle dinamiche dello scacchiere mediorientale, ma pone anche sfide significative in termini di legittimazione politica e accettazione internazionale. Gli esiti di questi colloqui avranno probabilmente ripercussioni di vasta portata sulla stabilità della regione e sulle future politiche estere degli Stati Uniti e della Turchia.