De Andrè detto Faber: l’Amico fragile che manca da 20 anni

Faber - Fabrizio De André

Fonte foto: moviementu.it

A soli 58 anni se ne andava uno dei più amati cantautori italiani. Con le sue canzoni ha saputo raccontare la realtà di chi vive nell’ombra, di chi è diverso, delle minoranze.

Esattamente 20 anni fa se ne andava Faber , “l’amico fragile” e il cantautore degli emarginati. Fabrizio De Andrè era nato nel 1940 a Genova da dove era fuggito, solo qualche anno dopo a causa della guerra, per rifugiarsi nella campagna astigiana. Nella sua Genova farà ritorno una volta finita la guerra. Qui incontrerà i suoi compagni di viaggio e l’amico di una vita: Paolo Villaggio.  Sarà proprio lui ad affibbiargli il nomignolo “Faber”.

Introverso e schivo, Fabrizio si avvicina sin da subito alla musica, imparando a suonare il violino prima e la chitarra poi.  Le prime canzoni, le esibizioni con gli amici nel locale “La Borsa di Arlecchino” , le serate con la chitarra in mano fra le diverse osterie genovesi insieme all’amico Villaggio, i primi dischi. Poi il successo con La canzone di Marinella, inedito del ’64, cantato da Mina. 

De Andrè – o “Bicio” per i familiari – è stato autore di grandi classici: Bocca di rosa, Il pescatore, La guerra di Piero. Canzoni legate da un filo: il desiderio di raccontare gli ultimi, di dar loro una voce, di riconoscere la loro esistenza.  Il suo primo disco in assoluto risale al 1966, Tutto Fabrizio De Andrè.  L’ultimo, Anime Salve, al 1996.

Anime Salve

Attorno agli ultimi e agli oppressi – centrali in ogni sua composizione – ruota l’album Anime Salve. Un elogio della solitudine in tutte le sue forme. Un racconto costellato da figure quali la transessuale brasiliana Fernandinho, protagonista della canzone Prinçesa o dell’innamorato di Dolcenera, che vuole fare l’amore con la sua amata anche quando le stradine di Genova sono sommerse dall’acqua dell’alluvione. E infine, Smisurata preghiera, canzone che chiude il disco con la sua dichiarazione d’amore per le minoranze, “per chi viaggia in direzione ostinata e contraria” .

Dori Ghezzi e Storia di un impiegato

De Andrè all’apice del successo, sposato e con un figlio, Cristiano , incontrerà nel 1974 “l’amore della sua vita” : Dori Ghezzi. Nello 1974 esce anche Volume 8 , che contiene la canzone che lo stesso Faber considerava la più importante da lui mai scritta: Amico Fragile. Per lui la più rappresentativa, dove la critica è volta all’inconsistenza culturale dell’alta società, dove c’è spazio solo per il divertimento fine a se stesso. Solo un’anno prima, nel 1973, Faber aveva pubblicato l’album che è fra i suoi migliori: Storia di un impiegato.

Un concept album in cui si racconta la storia di un impiegato durante gli anni della contestazione giovanile dell’68, l’idea di ribellarsi a suo modo al potere  attraverso le bombe per concludersi, poi, con il suo arresto. L’album contiene canzoni bellissime come Verranno a chiederti del nostro amore, struggente nelle sue tonalità accompagnate dalla voce profonda e delicata di De Andrè, o più discusse come Il bombarolo.

La bellezza dell’album sta nella sua lucidità nel raccontare i cambiamenti che attraversavano l’Italia degli anni ’70; le lotte di quegli anni e i loro sbagli. Il riuscire a capire, da buon anarchico, “che non ci sono poteri buoni”. Nel suo viaggio travagliato l’impiegato si trova estraneo alla contestazione e alle lotte, come quelle del maggio francese – non a caso l’album si apre con Canzone di maggio –  ma decide di allontanarsi dalla sua famiglia borghese, capisce di voler anche lui far par del movimento, di lottare. Così costruisce artigianalmente una bomba da far esplodere di fronte al Parlamento. L’attentato fallisce e l’impiegato viene imprigionato.

Nella mia ora di libertà, la canzone di chiusura dell’album, straordinario è il passaggio da quel soggetto singolo, l’impiegato presente all’inizio della canzone come un solo io,  che “di respirare la stessa aria di un secondino non gli va” , per trasformarsi poi, sul finire della canzone, in un soggetto collettivo, un noi a cui “di respirare la stessa aria dei secondini non ci va” . Così De Andrè spiega, attraverso l’esperienza dell’impiegato, l’importanza dell’agire uniti e organizzati, insieme come collettività.

Il rapimento

Nella sua vita assieme a Dori Ghezzi, da cui avrà una figlia, Luvi, De Andrè vive la tragica esperienza del rapimento. Nella sua casa nei pressi di Tempio Pausania, in Sardegna, la sera del 27 agosto 1979, la coppia viene rapita dall’Anonima Sequestri sarda. Faber e Dori saranno liberati solo dopo 4 mesi, dietro il versamento di circa 550 miliardi di lire. Questa esperienza, dalla quale, nelle parole dello stesso De Andrè “noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai“, sarà fonte di ispirazione per l’album senza titolo e più comunemente conosciuto come L’indiano , dall’immagine di copertina che raffigura un nativo americano e in cui centrale è il parallelismo tra il popolo dei pellerossa e quello sardo.




De Andrè, a termine del rapimento, avrà parole di perdono per i suoi carcerieri ma non per i mandanti. Infatti Faber non si costituirà parte civile nel processo contro gli autori materiale del sequestro ma solo, in primo grado, contro i capi della banda. Sarà poi, nel 1991, fra i promotori della domanda di grazia rivolta al Presidente della Repubblica, nei confronti di uno dei suoi sequestratori.

Non al denaro, non all’amore né al cielo

Fernanda Pivano, scrittrice, traduttrice e grande amica di Faber, nel 1997 consegnandogli il premio Tenco, dirà: ” Sarebbe necessario che, invece di dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è il Fabrizio americano”.  De Andrè muore a soli 58 anni all’Istituto tumori di Milano, l’11 gennaio 1999. Da quel giorno la moglie, Dori Ghezzi, ne cura il patrimonio artistico.  E ha creato, nel 2001, la Fondazione De Andrè. Ci lascia, oltre a quelli già ricordati, album di una ricchezza unica come: Non al denaro, non all’amore, né al cielo, Crêuza de mä, La buona novella.

Faber ci ha lasciato in eredità un repertorio di poesie, una scatola di insegnamenti e buone parole. Manca la sua poesia, la sua capacità di guardarci dentro, di capirci e raccontarci. Un braccio teso a chi ne ha bisogno e un fiume di parole per raccontare chi non ha fiato per farlo da solo; il riscatto dei tanti spesso soli e abbandonati. Chissà cosa avrebbe detto, Faber l’amico fragile, di questi nostri tempi, chissà cosa avrebbe scritto. Chissà se forse oggi i suoi ultimi sarebbero stati i migranti lasciati nei nostri mari per settimane.

Francesca Peracchio

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