Ddl Zan affossato dal voto segreto, una riflessione sulla civiltà di un Paese

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Il Ddl Zan è stato affossato, dopo la votazione della procedura denominata “non passaggio all’esame degli articoli” e divenuta nota ai più come “tagliola”, proposta dalla Lega e da Fratelli D’Italia, votata favorevolmente da 154 senatori; mentre i contrari sono stati 131 e 2 gli astenuti.

Il sofferto percorso del Ddl Zan

Dopo essere stato approvato alla Camera, il disegno di legge era arrivato al Senato, dove era stato oggetto di tante polemiche, soprattutto per quel che riguarda tre dei suoi articoli (l’art. 1, l’art. 4 e l’art. 7).

Le polemiche sono state mosse, oltre che dai partiti tradizionalmente conservatori, anche dall’area cattolica del Centrosinistra, dalla Chiesa e da alcuni movimenti esterni, come il femminismo Gender Critical.

DDl Zan e fake news

Le critiche su questi tre articoli si sono basate soprattutto sulla diffusione di allarmismo e fake news.

Bufale sull’Articolo 1 (identità di genere)

Dell’Articolo 1, ad essere contestato è soprattutto il punto 4, relativo alla definizione di identità di genere.

Per identità di genere si intende l’i­dentificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corri­spondente al sesso, indipendentemente dal­l’aver concluso un percorso di transizione.

Movimenti religiosi, non solo legati al cattolicesimo, movimenti “catto-fem”, realtà politiche di destra e una buona parte del Centro Destra, ma anche parte del Centrosinistra (di Italia Viva la proposta di tornare al testo del Ddl Scalfarotto e di eliminare il concetto di identità di genere) hanno sfruttato il sentimento transfobico diffuso nel nostro Paese per sollevare la “paura” che questa definizione dell’identità di genere, atta a definire una tutela, introducesse in Italia l’autodeterminazione di genere, ovvero la possibilità di avere il proprio nome e genere d’elezione sui propri documenti senza psichiatrizzazione e medicalizzazione obbligatoria.

Anche se l’autodeterminazione di genere è un obiettivo dell’attivismo LGBT, in nessun modo il Ddl Zan poteva sostituirsi all’obsoleta legge 164/82, che prevede sia medicalizzazione che psichiatrizzazione per poter avere nome e genere d’elezione sui documenti.

“La Legge 14 aprile 1982, n. 164 non prevede esplicitamente la necessità di sottoporsi a interventi chirurgici di riassegnazione, ma nel corso degli anni la giurisprudenza ha consolidato una prassi che li ha, di fatto, imposti. Si è dovuto attendere la sentenza 221/2015 della Corte Costituzionale, pubblicata il 5 novembre 2015, che ha stabilito che l’assenza di un riferimento testuale alle modalità (chirurgiche, ormonali, ovvero conseguenti ad una situazione congenita), attraverso le quali si realizzi la modificazione, porta ad escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali”.

Come spiega Laura Caruso, una delle fondatrici di Acet (Associazione per la Cultura e l’Etica Transgender) e autrice di EnbyPost, solo voci non binary, per queste ragioni, la possibilità di non medicalizzazione è esclusa dall’applicazione della Legge 164/82, che nell’interpretazione prevalente si riferisce ai percorsi medicalizzati.

Bufale sull’Articolo 4 (libertà d’opinione)

Riportiamo l’Articolo 4 del Ddl Zan:

Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime ri­conducibili al pluralismo delle idee o alla li­bertà delle scelte, purché non idonee a de­terminare il concreto pericolo del compi­mento di atti discriminatori o violenti.

Molte forze conservatrici, reazionarie, e realtà religiose, chiedevano un ampliamento di questo articolo che garantisse, in pratica, il diritto di esprimersi in modo omo-bi-transfobico, misogino e abilista senza provvedimenti o censure.

In particolare, le femministe Gender Critical hanno usato quest’articolo per affermare che, se il Ddl Zan fosse passato, sarebbe stato loro vietato “misgenderare” (rivolgersi volutamente come da sesso biologico alle persone transgender e non binary, ignorando il loro genere d’elezione) e fare campagne contro la gestazione per altri.

In realtà, il ddl Zan, se fosse passato, non avrebbe “punito” la propaganda, ma l’istigazione a commettere atti di discriminazione o violenza.




Bufale sull’Articolo 7 (Istituzione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia)

Riportiamo infine l’Articolo 7 del Ddl, ed in particolare il suo punto 3, che parla delle attività di formazione su temi LGBT nelle scuole.

In occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile per la realizzazione delle finalità di cui al comma 1. Le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Oltre alla Chiesa Cattolica, che ha dichiarato che il ddl Zan violerebbe i Patti Lateranensi e il Concordato, in generale, le forze conservatrici, reazionarie e provenienti dal mondo religioso hanno rispolverato la fake news del “gender nelle scuole”, tormentone di qualche anno fa, in occasione di alcune iniziative di educazione affettiva e contro il sessismo e gli stereotipi di genere nelle scuole.

La teoria complottista del “gender” ha dato alla luce neologismi come “omosessualista”, termine rivolto non a chi ha un orientamento sessuale gay, ma a chi ne parla al fine di fare informazione.

Sarebbe semplice smontare questa fake news, chiarendo che la cultura binaria, sessista ed eteropatriarcale vigente, trasmessa a figli e figlie da molte famiglie, e talvolta anche da qualche insegnante non ha niente di “innato” e “naturale”, ma è un’ideologia essa stessa, e introdurre temi di parità di genere, educazione all’inclusività, far riflettere studenti e studentesse sul bullismo e sul cyberbullismo ad origine omobitransfobica, non può che essere una forma di educazione civica.

Ddl Zan affossato da un Paese di segretamente fascisti

Il voto segreto poteva avere risvolti di vario tipo. Ad esempio, alcune persone di Forza Italia si erano espresse a favore del Ddl Zan, alcune di esse apertamente, come Elio Vito, altre in modo meno esplicito, e si contava su inattesi progressisti all’interno del Centro Destra che, inaspettatamente, avrebbero potuto votare a favore del Ddl.
Non è successo.

Si è osservato un fenomeno opposto: invece delle sperate anime progressiste all’interno del conservatorismo, abbiamo osservato anime reazionarie all’interno dell’area politica che più dovrebbe avere a cuore i Diritti Civili, ma che è inevitabilmente inquinata da una visione democristiana, i cosiddetti “franchi tiratori”, appartenenti ad Italia Viva, ma anche allo stesso PD, che alla fine hanno affossato il Ddl Zan.

Si può di certo dire che l’odierno Parlamento, e quindi il Senato stesso, non rappresenti più gli Italiani: le recenti votazioni amministrative sono un feedback interessante e che non può essere ignorato.

Tuttavia, è interessante osservare cosa succede al parlamentare medio, forse all’italiano medio, quando è solo e nessuno lo vede, quando deve dire la sua e non deve apparire progressista per ragioni di facciata:
siamo un popolo di “segretamente” fascisti?

Viste le polemiche relative all’articolo 1, e in particolare la parte che interessava le persone transgender e non binarie, si può affermare che, pian piano, l’area progressista stia lavorando sulla sua omofobia, ma non riesca ancora a “guarire” dalla transfobia?
Ha ragione, forse, Giuseppe Civati, quando dice che
transgender è la parola che la politica ha persino paura di pronunciare?

Speranza…

Il Ddl Zan è stato affossato, ma la parola torna al Movimento LGBT.
Una legge sull’omo-bi-transfobia, la misoginia e l’abilismo potrebbe tornare in Parlamento tra sei mesi. Enrico Letta ha dichiarato che appoggerebbe una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che prevedesse la ripresentazione del testo.

Al momento, però, prevale l’indignazione: tante importanti piazze d’Italia si tingono di arcobaleno si riempiono di persone gay, bisessuali, transgender, non binary, ma anche di tante persone cisgender etero che sono “Ally” e sono in piazza indignati di dover vivere in un Paese che ancora adesso non sa dirsi civile.
La speranza è che quest’indignazione riesca dove l’iniziativa parlamentare ha fallito:
costruire un cambiamento nelle coscienze.

Nathan Bonnì – Progetto Genderqueer

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