Ddl Zaffini: per le associazioni è una tragica nostalgia di manicomio

L'appello del Coordinamento Nazionale Salute Mentale per fermare il disegno di legge e riprendersi i diritti

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Fonte: parlaredaltro.it

Decine di associazioni, riunite sotto Il Coordinamento Nazionale per la Salute Mentale, hanno condiviso un appello contro il ddl Zaffini in materia di tutela della salute mentale.

Il ddl Zaffini

Il disegno di legge 1179/2024 “Disposizioni in materia di tutela della salute mentale” è stato presentato il 27 giugno dal senatore Zaffini (da altri ventidue senatori di Fratelli d’Italia e da due di Noi Moderati). Dopo un’attenta analisi, decine di associazioni impegnate nel campo della salute mentale, tra cui la Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica e l’Associazione Franca e Franco Basaglia, hanno divulgato un comunicato esprimendo tutta la loro preoccupazione a riguardo. Il ddl Zaffini viene definito «una tragica nostalgia di manicomio».

I punti controversi

Il disegno di legge, nella sua introduzione, elenca quelle che definisce “nuove” forme di sofferenza psichica; includendo senza distinzioni condizioni del neurosviluppo, long Covid e dipendenza dai social network. Prosegue denunciando le gravi disparità tra regioni in tema di salute mentale; fatto curioso, visto che arriva dallo stesso governo che ha approvato l’autonomia differenziata.

Il documento propone una ristrutturazione dei servizi per la salute mentale, con un potenziamento delle attività di prevenzione e di sicurezza. Il ddl Zaffini si compone di undici articoli, che coprono ogni passo del processo dalla diagnosi alle attività di cura, fino alle attività di comunicazione e divulgazione e la copertura finanziaria.

L’articolo 2 disciplina le attività di prevenzione e «promuove l’individuazione tempestiva dei disturbi mentali sin dalle fasi dell’infanzia, al fine di prevenirne o minimizzarne le conseguenze». Le modalità di realizzazione di tali attività vengono però rimandate dopo l’eventuale approvazione della legge. Pare un progetto un po’ troppo vago per il momento.



L’articolo 4 tratta i temi della sicurezza demandando al Ministero dell’interno e a quello di Giustizia le misure di sicurezza applicabili, tra cui trattamenti coattivi fisici, ambientali e farmacologici.

L’articolo 5 elenca le misure di emergenza, tra cui figura l’istituzione di strutture preposte alla diagnosi, definite ASO (accertamento sanitario obbligatorio). Possono far seguito i TSO (trattamento sanitario obbligatorio) la cui durata, ora di sette giorni rinnovabili, verrebbe prolungata a quindici giorni rinnovabili.

Sono proprio questi i punti più controversi citati nell’appello delle associazioni (qui il testo completo):

«Soluzioni che propongono, di nuovo, la pericolosità della persona con sofferenza, che ritorna ad essere oggetto di controllo e custodia. Ritornano “misure di sicurezza” speciali (in capo a “Ministro dell’interno e Ministro della Giustizia, sentito il Ministro della Salute), che riportano ai tempi di una psichiatria manicomiale controllata da Viminale e Potere giudiziario.

Infine vengono sdoganati per legge “misure e trattamenti coattivi fisici, farmacologici e ambientali” (con modalità che evocano senza nominarlo il regolamento manicomiale del 1909), invece di valorizzare ed estendere le pratiche di alcuni servizi che operano da tempo senza il ricorso alla contenzione. Il TSO raddoppia la durata a 15 giorni, “prolungabile”. Vengono previste, per gli ASO e i trattamenti urgenti in attesa del TSO, non ben definite “strutture idonee per l’effettuazione di osservazioni cliniche».

A preoccupare è la narrazione sottesa, che associa la sofferenza mentale alla pericolosità sociale e alla violenza. Una narrazione che negli ultimi decenni si è cercato di abbandonare e che sembra tornare in primo piano. Eppure, i dati sul rapporto tra salute mentale e criminalità dipingono un quadro completamente diverso.

Salute mentale e criminalità

Le persone che soffrono di disturbi mentali sono molto più a rischio di subire violenza che di compierla. I professionisti cercano di diffondere questa realtà da tempo, scontrandosi ancora troppo spesso con pregiudizi e luoghi comuni dannosi. Forse ci piace pensare che chi commette reati particolarmente atroci sia un “folle”, così da allontanare da noi l’idea che potrebbe capitare a chiunque.

Questo però continua ad alimentare lo stigma che circonda la malattia mentale, complicando le vite già complicate di chi convive con una sofferenza psichica. Secondo l’istituto di psichiatria del King’s College di Londra, chi ha un disturbo mentale ha cinque volte più probabilità di subire un’aggressione rispetto alla popolazione generale.

I rischi aumentano per le donne. Le donne con diagnosi psichiatriche hanno una probabilità dieci volte maggiore di subire un’aggressione di qualsiasi tipo e il 62% è stata vittima di un’aggressione sessuale. Chi soffre di un disturbo mentale grave tende a non denunciare e quando lo fa rischia di non essere creduto, o di vedere sminuite le proprie istanze.

I casi in cui le persone con disturbi mentali sono autrici di crimini esistono, ma di rado c’è una relazione univoca e causale tra malattia mentale e violenza. Quando accade, nella maggioranza dei casi si è davanti a un intreccio di circostanze che includono abuso di sostanze (alcol in primis), situazioni di degrado socio-economico e povertà estrema, gravi traumi infantili.

Carcere e salute mentale

Nonostante questa realtà, le carceri sono piene di persone con disturbi psichiatrici e questo contribuisce al sovraffollamento. L’abuso della detenzione danneggia prima di tutto le stesse persone sofferenti, che non ricevono le cure adeguate e rischiano la cronicizzazione; ma danneggia anche il personale di sorveglianza e gli altri detenuti, costretti in spazi angusti e invivibili.

È proprio su questo punto che il ddl Zaffini sembra essere più cieco, proponendo di istituire sezioni del carcere apposite in cui poter eseguire i TSO. Invece che potenziare strutture territoriali di assistenza, come immaginato da Basaglia nella sua legge rivoluzionaria, si delega agli istituti penitenziari, già in grave sofferenza, un compito ulteriore.

Alla salute mentale il 5% del budget

Il ddl Zaffini si chiude con la copertura finanziaria. Le regioni dovrebbero spendere per la salute mentale almeno il 5% del budget del Fondo sanitario nazionale. Le risorse finanziarie sono però ancora incerte, in attesa che vengano definiti i livelli essenziali di assistenza (LEA) fondamentali per l’entrata in vigore dell’autonomia differenziata.

«Fermare una tragica nostalgia di manicomio, e reagire»

Il disegno di legge, pur presentando alcuni spunti positivi e interessanti, sembra essere troppo vago, lasciando troppa discrezionalità nella sua applicazione. I punti problematici sono parecchi, primo tra tutti il focus sulla sicurezza, in tema con la deriva securitaria che sembra aver preso il paese.

L’appello del Coordinamento Nazionale Salute Mentale ha già raccolto numerose adesioni e si conclude con un invito alla mobilitazione il 22 e 23 novembre a Roma:

«Noi non intendiamo subire questa deriva repressiva e neomanicomiale: da subito – con questo Appello – respingiamo i disvalori e i contenuti del DdL Zaffini e quindi con un richiamo alla mobilitazione, anche in vista della II Conferenza nazionale autogestita per la Salute Mentale convocata a Roma il 22 e 23 novembre 2024, che deve diventare un grande momento di lotta e di proposta per affermare Salute Mentale per Tutti: riprendiamoci i Diritti»

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