David Foster Wallace, viaggio nei meandri di una mente superiore

E’ uscito poche settimane fa in Italia il film “The end of the tour”, trasposizione cinematografica dei cinque giorni che il giornalista David Lipsky passò col geniale scrittore David Foster Wallace. Era il 1996 e lo scrittore americano, definito dalla critica letteraria come “la mente migliore della sua generazione”, stava affrontando l’ultima tappa del tour di presentazione di “Infinite Jest”, quello che divenne il suo capolavoro. E così nella pellicola vengono raccontati i cinque giorni che Lipsky e Wallace passarono assieme, il giornalista, infatti, era stato incaricato dalla rivista “Rolling Stones” di scrivere una lunga intervista che riuscisse a carpire al meglio la contorta mente di Wallace.

Un film troppo poco pubblicizzato nel nostro Paese, ultimamente così legato alle commedie spicciole che insegnano ancor di più a non pensare. Un film intenso, mai noioso, commovente e che regala tantissimi spunti per riflettere sulle fondamentali tematiche della vita. Tramite i discorsi tra il giornalista e lo scrittore, si viene trasportati in uno stato di coscienza in cui ogni tipo di superficialità viene meno e, nel giro di sequenze istantanee, il buio del nulla viene sconfitto dalla luce che nasce dalla mente illuminata di Wallace. Si riesce ad evincere appieno la complessa personalità dello scrittore americano, emerge la tagliente ironia che utilizza come fedele alleata per combattere i demoni interiori, è cristallino il suo sentirsi diverso nell’America del nulla cosmico, commovente il suo estremo tentativo di uscire da un nichilismo esasperante e dalla paradossale maledizione di avere una mente superiore.

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Nella storia si fa qualche accenno alla dipendenza da alcool di cui è stato vittima lo scrittore e sul suo presunto problema con l’eroina; numerosi e toccanti sono i discorsi sulla solitudine e sull’importanza di avere accanto una persona che riesca a placare l’inquietudine di chi è attanagliato da una mente eccelsa e diversa come quella di Wallace.
Un film mai banale, travolgente e sincero, che riesce a non perdersi in frivolezze ed a lasciare un velato senso di angoscia nello spettatore che non riceve nessun tipo di risposta ma viene sommerso da domande esistenziali, necessarie per capire appieno il senso della vita; ed è questo quello che mi ha colpito maggiormente del film, perché le risposte a tali quesiti, di cui Wallace si fa portavoce, non vengono svelate perché è chiaro che possono essere trovate solo dentro noi stessi.
Wallace, scrittore sublime, durante un discorso per la cerimonia delle lauree al Kenyon college, tenuto il 21 maggio 2005, raccontò una piccola storiella ai suoi studenti neo-laureati.

“Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”

Il film, come questa storiella sopra citata, riesce ad aprire la mente dello spettatore e a fargli capire, con malinconia e finta serenità, cosa vuol dire sentirsi diversi nella società del trionfo del nulla.

Matteo Ferazzoli

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