Dati Eurostat sull’occupazione: l’Italia è in fondo alla classifica

Malgrado gli sforzi, il Governo Meloni non ha raggiunto la media UE dell'occupazione

Dati Eurostat sull'occupazione: l'Italia è in fondo alla classifica

Dati Eurostat: ampio divario tra Italia e media UE

Ieri sono usciti i dati Eurostat sul grado di occupazione nei vari Stati Membri: l’Italia resta ampiamente sotto la media UE nonostante i progressi dall’anno scorso. I dati Eurostat riportano che nella fascia d’età 20-64 l’occupazione è al 66,3%, un dato in positivo rispetto all’anno precedente, ma non soddisfacente dal punto di vista della media UE che ammonta a 75,4%.

Ma il divario più sconcertante è quello che riguarda l’occupazione femminile: 56,5% in Italia contro il 70,2% della media UE (qui il nostro Paese è il penultimo: la Grecia è sotto la media UE di 19,8 punti). Il divario di occupazione per genere è ancora peggiore se si guarda ai dati registrati al nord e al sud: 67% di donne occupate al nord contro un bassissimo 39% al sud.

Che ci si poteva aspettare? Come direbbe un matematico: “come volevasi dimostrare” (o “CVD”). I dati Eurostat parlano chiaro: il nostro Governo non ha ottenuto i risultati sperati e c’è ancora molto da fare per risolvere i non pochi problemi legati all’occupazione. Che cosa è stato fatto e che cosa ancora non è stato risolto?

Reddito di cittadinanza: i “furbetti” erano la vera piaga dell’Italia?

D’altronde, se è pur vero che, con la rimozione dello spaventoso reddito di cittadinanza, molte persone si sono rimboccate le maniche per trovare qualunque lavoro, bisogna anche considerare che finora poco è stato fatto per migliorare le condizioni di lavoro. Tuttavia, occupare i “furbetti” e i “fannulloni” non è stato sufficiente per avere un testa a testa con gli altri Stati membri secondo i dati Eurostat. Inoltre, il Presidente del Consiglio non ha certamente fatto miracoli: la povertà non è stata cancellata.

Le persone non più beneficiarie risultano maggiormente impegnate nei settori del turismo, della ristorazione e della logistica.

In bilico tra formazione ed esperienza pregressa

Molti annunci di lavoro richiedono spesso dell’esperienza pregressa nella posizione offerta. Un qualcosa che al massimo dovrebbe essere preferibile, non di certo un requisito. L’esperienza diventa dunque motivo di scarto di chi è scarsamente qualificato, anche se ben disposto a rimboccarsi le maniche per sé stesso e per la propria famiglia. Se è vero che l’esperienza pregressa incentiva risultati migliori e più veloci in qualunque realtà professionale, allo stesso modo bisogna ripagare adeguatamente la stessa.

OCSE: i salari non crescono

Invece la giusta proporzione tra ore di lavoro maturate mensilmente, responsabilità connesse alla mansione e costo della vita sembra non essere considerata dallo Stato italiano: secondo i dati OCSE, nel periodo 1991-2022, i salari sono cresciuti solo dell’1%.

Il salario mensile dovrebbe essere commisurato a uno standard di vita dignitoso, in base alle responsabilità della mansione e infine in rapporto all’ambiente in cui il lavoratore vive. Spesso il salario crescente è un incentivo per il lavoratore a restare a bordo. Il Governo sembra poco disposto a stabilire dei paletti in questo senso: la proposta di salario minimo è stata affossata, il che fa pensare a una maggior tutela del datore di lavoro e una minor considerazione del comune dipendente. È come se si avesse paura di investigare sulla piaga del lavoro in nero, che è naturale che peggiori se i servizi e i beni di prima necessità salgono di prezzo.

I problemi della “penuria del lavoro”

Oggi fanno sempre più scalpore quelle notizie in cui si sentono datori di lavoro in cerca di nuovi dipendenti: sfortunatamente non trovano nessun onesto lavoratore che stia alle loro condizioni. Ma perché nessun giovane disposto a fare gavetta si presenta alla porta dell’ufficio del datore di lavoro? Bisognerebbe evitare di cadere nei soliti stereotipi sulla pigrizia dei giovani e la superbia degli adulti: i motivi possono essere tanti. 

Se da una parte abbiamo il datore di lavoro che si sente vessato dal fisco e da tutte le spese derivanti dalle assunzioni, dall’altra parte non è corretto scaricare tutte le colpe sul dipendente e mantenere per lui uno stipendio da fame anche quando l’attività va a gonfie vele. I dipendenti vanno stimolati e invogliati a restare in quanto fondamentali in ogni realtà professionale: senza di loro non ci sono entrate.

Riassumendo, oggi i principali problemi sono: il rapporto tra ore di lavoro e salario incongruo, la già citata richiesta di esperienza pregressa, il salario che permette solamente di rasentare lo status di povertà e nella maggior parte dei casi si rivela non sufficiente per vivere nei dintorni del luogo di lavoro, l’eventuale richiesta di svolgere ore in nero (ovviamente non menzionate in un annuncio di lavoro e in un contratto, quando quest’ultimo c’è).

Dati Eurostat: un punto di partenza per lavorare chi traina l’Italia dal basso

I dati Eurostat devono essere un nuovo punto di partenza per il lavoro del Governo affinché siano risolti tutti i problemi sopra menzionati migliorando le condizioni lavorative non solo degli imprenditori, ma soprattutto dei comuni dipendenti. Ultimo ma non per importanza: annullare finalmente il divario occupazionale e salariale tra uomo e donna seguendo alla lettera il principio di meritocrazia e abbandonando quei secolari pregiudizi circa il rendimento professionale differenziato per sesso. Il Governo starà dalla parte degli umili italiani oppure rimarrà fermo sul suo trono compiacendosi dell’applauso dei pochi ma contenti grandi imprenditori?

 

Andrea Ruzzeddu

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