Oggi, in un capannone della periferia milanese, andava in scena per la prima volta Morte accidentale di un anarchico di Dario Fo.
Dario Fo, premio Nobel per la letteratura nel 1997, scrisse Morte accidentale di un anarchico, un’opera densa di umorismo e critica che attinge a piene mani dal contesto storico-sociale italiano. Come scritto nel libro Maledetti ’70: “Gli anni Settanta sono stati un periodo particolarmente turbolento in Italia, una specie di spartiacque fra il boom economico del dopoguerra e la complessità e ambiguità dell’Italia moderna“.
Gli anarchici e il terrorismo di stato
I primi gruppi anarchici italiani risalgono al 1870, ma nel Sessantotto il clima di apertura dato dal crollo del regime fascista portarono i gruppi anarchici a ritornare ad operare attivamente. La lotta tra il governo e la sinistra radicale si inasprì sempre più e nacque il cosiddetto terrorismo di Stato. Una data simbolo resta quella del 12 dicembre del 1969 con la strage di piazza Fontana e l’attentato di Roma.
Nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, un’esplosione, provocata da una bomba ad alto potenziale esplosivo, causò la morte di diciassette persone e ne ferì ottantotto. L’episodio verrà definito dal presidente Saragat come un atto di “bestiale incoscienza” e “mostruosa enormità”. Dario Fo rimase particolarmente colpito dalla questione e descriveva quel periodo così:
[…] Anni terribili. Tutto quel periodo esaltante di slancio culturale e vitale che, dal dopoguerra ai primi anni Settanta, aveva fatto immaginare un’Italia finalmente nuova, veniva fatto a pezzi da bombe oscure, spazzato via da sangue innocente. E poi le orribili deviazioni del terrorismo, così devastanti per il Paese e per l’identità della sinistra. I tanti giovani caduti nella trappola della lotta armata. Un pericolo che ho vissuto sulla mia pelle.
Il caso di Giuseppe Pinelli
La strage di piazza Fontana venne causata dai fascisti, ma inizialmente la colpa ricadde sugli anarchici italiani e in particolare sulla figura di Giuseppe Pinelli. Nato a Milano nel 1928, Giuseppe divenne staffetta partigiana a sedici anni e partecipò attivamente alla Liberazione del paese. Nel 1954, entrò nelle Ferrovie dello Stato come manovratore. Viene particolarmente ricordato come figura fondamentale nella crescita del movimento anarchico milanese.
Il 12 dicembre 1969, in seguito alla strage di piazza Fontana, molti gruppi anarchici vennero indiziati. Due poliziotti, tra cui il commissario Calabresi, giunsero alla sede del gruppo e Pinelli fu costretto a seguirli. L’uomo venne illecitamente trattenuto in questura per tre giorni. Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969, dopo un lungo interrogatorio, il commissario Calabresi si allontanò dalla stanza per portare i verbali al suo capo e Giuseppe Pinelli inaspettatamente volò fuori dalla finestra.
La sentenza sostenne si trattò di un suicidio: gli inquirenti fecero credere che Pinelli si fosse tolto la vita in preda ad un raptus quanto coinvolto in prima persona. Infatti, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera del 16 dicembre, il commissario Calabresi dichiarò che: “improvvisamente il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra, che per il caldo era stata lasciata socchiusa, e si è lanciato nel vuoto».
Dario Fo e il “teatro fuori dal teatro”
Il biennio rosso ha segnato una vera e propria svolta nella carriera di Dario Fo, segnando di quel che lo studioso Andrea Scapolo definirà il passaggio da una fase da “giullare borghese” a “giullare del popolo”. Fo e sua moglie Franca avevano infatti abbandonato il successo finanziario lanciandosi nel movimento di massa nascente, composto da studenti radicali, lavoratori e gruppi rivoluzionari appena creati. Per questo fonderà il gruppo teatrale Nuova Scena.
Fo cerca di rispondere a questo bisogno di rivolgersi alla gente comune e al proletariato, avvicinando coloro che non avevano mai messo piede in un teatro. L’avanguardia di Fo sta tutta nel ridefinire le relazioni fra attori e pubblico. Gli spettacoli della compagnia di Fo si svolgevano in luoghi non convenzionali: fabbriche, case del popolo e circoli gestiti dall’ARCI, ovvero l’ala culturale del Partito Comunista Italiano. La nuova compagnia si esibiva anche nelle città italiane senza però l’aiuto di manifesti o pubblicità. Inoltre, non vi erano prove, spogliatoi o grandi apparecchiature. Gli attori costituivano l’unico strumento di questo teatro e, al tempo stesso, la sua essenza più profonda. La scenografia, le luci e gli arredi venivano ridotti al minimo tanto che lo stesso Fo, nell’intervista riportata su Dialogo provocatorio sul comico, il tragico, la follia e la ragione, affermava: “Riesco a far teatro in qualsiasi luogo, anche su un tavolo”.
Al termine della performance veniva lasciato uno spazio dove avveniva una libera discussione tra cast e pubblico. Durante questi momenti, non si discuteva della riuscita dell’opera, ma piuttosto se lo spettacolo avesse o meno rispettato la realtà dei fatti risultando al contempo coerente e familiare agli spettatori. Fo crea un luogo libero, un “teatro fuori dal teatro”, dove le speranze e le opinioni della gente comune riescono a prender forma. Da Il mondo secondo Fo:
[…] I discorsi che di giorno parevano inammissibili, inopportuni, ‘revisionisti’, di notte, finito lo spettacolo, dopo la cura catartica della risata, sgorgavano di colpo in tutta la loro dura e cruda verità. […] il nostro compito era di raccogliere gli umori, le sollecitazioni della realtà, per realizzare ogni sera il testo giusto, condito con quel tocco di gustoso paradosso necessario a renderlo ancora più veritiero.
Morte accidentale di un anarchico
Morte accidentale di un anarchico va in scena un anno dopo la strage di piazza Fontana, basandosi proprio sulla vicenda di Giuseppe Pinelli. La storia di Pinelli aveva colpito particolarmente l’autore, tanto da indurlo ad eseguire diverse indagini insieme alla sua compagnia. Dario Fo non si limita però a riportare sulla scena i fatti di cronaca così come avvengono. Nello stesso prologo, egli parla ironicamente di una trovata teatrale, che definisce di matrice fascista, consistente nel far avvenire fatti “scomodi” in un contesto diverso rispetto a quello reale. Per questa ragione, decide di far finta che la vicenda sia ispirata ad un altro fatto: il caso, archiviato anch’esso come suicidio, dell’anarchico Andrea Salsedo, a New York, gettato giù dal Park Row Building, a New York dall’FBI e archiviato come suicidio.
La trama
La vicenda di Fo si svolge nella questura di Milano, dove il commissario Bertozzo interroga e minaccia un uomo accusato di essere un truffatore. L’uomo sostiene di essere affetto da “istriomania”: una patologia che comporta il continuo bisogno di assumere le vesti di altre persone. Il commissario, spazientito da una simile personalità e deciso a rilasciare l’uomo, abbandona la stanza. Il Matto, chiamato così nel corso della storia, viene così in possesso dei documenti relativi alla morte di un anarchico. Proprio in quella questura è infatti avvenuto, in circostanze confuse, il suicidio di un militante anarchico. Il matto, appresa la notizia, comincia a fare l’indagine sulla base della lettura dei verbali, tentando di ricostruire la scena. Fingendosi l’ispettore del Ministero, invita il questore e il commissario a comportarsi nello stesso modo della notte dell’omicidio, così da ricostruire i fatti in modo veritiero. Durante questa farsa, però, il matto riesce a far emergere fuori tutte le menzogne raccontate riguardo alla morte dell’anarchico.
Tra ritrattamenti continui e dialoghi provocatori, il matto mette in dubbio qualsiasi testimonianza dei due fino ad incriminarli totalmente. Tante sono le battute di spirito come quando un agente sostiene d’aver afferrato l’anarchico per un piede nell’intenzione di salvare l’uomo. Il matto, nei panni del giudice, fa notare che, in quel caso, la scarpa dell’anarchico sarebbe dovuta restare in mano all’agente. Dal momento che però, l’uomo venne ritrovato con ai piedi tutte e due le scarpe, il “giudice” suggerisce ironicamente che l’anarchico avesse con tutta probabilità tre piedi.
Temi e valenza sociale
L’obiettivo di quest’opera è quello di svegliare le coscienze degli italiani e discostarsi da un governo definito borbonico e precapitalistico. Gli italiani sono ormai, secondo Fo, intorpiditi e inconsapevoli del marcio mondo in cui si trovano. Il messaggio deve quindi essere necessariamente forte e provocatorio. In un mondo di finto perbenismo e occultamento della verità, c’è bisogno di qualcosa che scotti ma che, al tempo stesso, faccia ridere. La funzione della risata appare essenziale per compiere una sorta di catarsi e rigenerazione sociale. Crollano, grazie ad essa, le maschere dei personaggi e contemporaneamente i loro ruoli nella società.
La commedia rappresenta un monumento di grande contemporaneità portando in scena tutti gli argomenti ereditati dalle battaglie della fine degli anni Sessanta. Niente è lasciato al caso, ne è un esempio lampante la scelta di porre come protagonista dell’opera un Matto, negli anni che vedevano accendersi il dibattito sulla chiusura dei manicomi. Il matto è l’emblema della giustizia, sia perché letteralmente acquisisce i panni di un vero giudice, sia perché è il mezzo per capire la controversa realtà che ci si trova di fronte. Il pazzo, è spesso colui che riuscendo a discostarsi dalla visione di massa, ha uno sguardo limpido e chiaro.
Morte accidentale di un anarchico in Cina
Dario Fo riuscì anche ad ottenere successo dall’altra parte del mondo, soprattutto grazie alla vincita del premio Nobel per la letteratura nel 1997. La stampa cinese ad esempio appoggiava la sua posizione radicale di sinistra e la sua continua ricerca di un teatro popolare. Per questo, il drammaturgo Meng Jinghui decise di reinterpretare Morte accidentale di un anarchico in Cina. «一个无政府主义者的意外死亡», titolo tradotto in lingua cinese di Morte accidentale di un anarchico, viene messa in scena per la prima volta a Pechino nell’ottobre del 1998 dalla Compagnia Centrale Sperimentale e riscuote subito un grande successo al botteghino.