Manca ancora più di un anno e mezzo ai Mondiali di calcio di Qatar 2022, eppure i problemi non si sono fatti attendere. In dubbio la Danimarca che, dopo aver fortemente criticato l’immobilismo di Doha nei confronti dello sfruttamento di migranti durante la preparazione dell’evento, starebbe seriamente pensando di non partecipare. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, risalente al 19 Settembre 2019, le società incaricate della costruzione degli impianti sportive avrebbero sfruttato, in condizioni disumane, più di 2000 lavoratori, provenienti perlopiù da Ghana, Kenya, Nepal, Pakistan, India e Filippine.
Troppi gli operai che, durante questi anni, hanno denunciato condizioni di semi-schiavitù, abusi e violazioni dei propri diritti umani e l’occultamento di una gran parte dei manovali morti nei cantieri o a causa delle condizioni di vita precarie nelle apposite aree abitative. Secondo alcune fonti, infatti, il numero dei decessi oscillerebbe intorno ai 1200 lavoratori dall’inizio dei lavori nel 2014, a fronte dei 34 dichiarati dalle autorità.
Come se non bastasse, in seguito alla chiusura di alcune imprese quali Hamad bin Khaled bin Hamad e Hamton International, migliaia di lavoratori si sono ritrovati con un contratto rescisso e senza il sostegno del governo locale. Nella migliore delle ipotesi, alcuni sono riusciti a ricevere un compenso minimo (circa 1/10 della cifra dovuta) ed un biglietto di ritorno per il proprio paese, mentre altri sono ancora in attesa del tanto agognato Fondo di sostegno e assicurazione promesso da Doha nel 2018 e mai finanziato.
La risposta della Danimarca
Dinnanzi ai dati preoccupanti emersi dai rapporti di Amnesty International, la Sinistra radicale di Jens Rohde ha avanzato l’ipotesi di boicottare i Mondiali del 2022. Secondo quanto riportato da France Football, sarebbe stato fissato a 50.000 il numero di firme da ottenere per rimandare al Parlamento danese la decisione sulla partecipazione della Danimarca alla competizione. L’obbiettivo, sostenuto anche da Alternative e Unity List, è quello di insistere con la FIFA per spostare i Mondiali in un altro paese.
La Danimarca non può rimanere impassibile dinnanzi ad una violazione sia dello sport sia dei diritti umani.
Jens Rohde
La soluzione prospettata dai radicali, però, non convince appieno gli altri partiti che preferirebbero un approccio diverso. Tra questi anche Joy Mogensen, ministro della Cultura, secondo cui occorrerà prima vedere se la Danimarca sarà in grado di qualificarsi all’evento. Solo successivamente si capirà come comportarsi, aspettando un intervento delle autorità internazionali competenti. La paura delle conseguenze su scala mondiale di una richiesta di questo tipo spaventa ed anche l’atteggiamento di Trine Christensen, Segretario generale di Amnesty International Danimarca, è abbastanza prudente.
Le donne con cui abbiamo parlato sono state torturate al punto di non riuscire più a sopportare nulla. Si parla di abusi fisici, mentali e sessuali.
Trine Christensen
Non sono dunque bastati i terrificanti resoconti sullo sfruttamento e sulle violenze subite dalle donne assunte come addette alle pulizie da aziende simili a Hamton International o impiegate nei cantieri, a spingere il paese, e il mondo intero, ad agire. Secondo la Christensen, il boicottaggio avrebbe un suo peso specifico, anche se una partecipazione critica ed una condanna attiva potrebbero avere un impatto ancora maggiore.
Gli enormi interessi della FIFA
Perché meravigliarsi dell’immobilismo davanti a questa tragedia sociale e umanitaria, se gli interessi e le cifre in palio sono da capogiro. La FIFA, infatti, starebbe addirittura spingendo per aumentare le squadre partecipanti da 32 a 48 già in questa edizione anziché in quella del 2026. Un tour de force pazzesco che prevederebbe circa 80 partite totali, fino a 6 ogni giorno e 12 stadi obbligatori da minimo 40.000 spettatori. Ma è il dato sui ricavi ad essere quello più interessante.
Un manovra di questo tipo porterebbe infatti ad un incremento dei guadagni di circa 355 milioni di euro tra diritti tv, sponsor, biglietti e altri accordi. Manca sempre meno all’evento e la situazione in Qatar rimane ancora invariata. Se è vero che il calcio debba promuovere dei valori morali e sociali, vogliamo davvero che tante vite spezzate siano il prezzo di uno spettacolo?
Alessandro Gargiulo