Daniela Lourdes Falanga è nata a Torre Annunziata 47 anni fa, in una famiglia di camorristi. La sua vita è stata segnata da un doppio, doloroso combattimento: quello per affermare la sua identità di genere e quello per liberarsi dal legame con un padre che le imponeva un ruolo maschile e violento, proprio come quello che il crimine organizzato aveva tracciato per lui. La sua forza non si è fermata alla ribellione: ha trasformato il suo dolore in un impegno concreto per la difesa dei diritti delle persone LGBTQ+.
Un doppio riscatto
La settimana scorsa, Daniela è stata premiata a New York con il prestigioso Brick Awards 2024 Stonewall Inn, uno dei riconoscimenti più significativi per chi si impegna in difesa dei diritti delle persone non eterosessuali. Il premio è stato un momento simbolico, non solo per il suo attivismo, ma anche per il suo cammino di affrancamento da una vita che le imponeva di essere ciò che non si sentiva di essere. «Quel premio l’ho dedicato al piccolo Raffaele», ha dichiarato Daniela. «Umiliato, offeso, ferito, isolato. L’ho dedicato a quel bambino poi diventato transessuale che nessuno voleva guardare in faccia, educato a tutti i costi a essere uomo».
Il premio ricevuto nello Stonewall Inn di Greenwich Village, il luogo che nel 1969 ha visto nascere le proteste per i diritti delle persone LGBTQ+, rappresenta la consacrazione di una doppia resistenza: quella per la sua identità sessuale e quella per allontanarsi definitivamente dalla camorra che segnava la sua famiglia.
Lo Stonewall Inn è un simbolo mondiale di lotta per i diritti civili e della resistenza contro l’ingiustizia. Per Daniela, il fatto che il suo video fosse proiettato a Times Square ha avuto un valore ancora maggiore. «Vedere la mia storia in quel luogo, nel cuore pulsante del mondo, mi ha riempito di una gioia immensa», ha raccontato. «Quella parte di me che era stata distrutta è ora stata riscattata». Il suo riscatto personale si è così intrecciato con quello della comunità LGBTQ+ di tutto il mondo, in un momento che ha segnato la chiusura di un cerchio di sofferenza, ma anche l’inizio di una nuova forza interiore.
La liberazione da un mondo patriarcale
Daniela ha scelto di essere se stessa fin da giovanissima, e lo ha fatto con una determinazione che ha sorpreso chiunque. Dopo aver compiuto diciotto anni, ha reciso ogni legame con la famiglia d’origine, abbandonando una vita che le imponeva di essere ciò che non sentiva di essere. Il suo padre, boss della camorra, voleva che diventasse un “uomo alpha”, forte, prepotente, ma Daniela non si è mai sentita tale. «Non mi sentivo un uomo e non volevo essere forzata a diventarlo», ha spiegato. Il coraggio di tagliare quel legame è stato il primo passo verso la sua trasformazione: è diventata Daniela Lourdes Falanga, una donna transessuale che, attraverso l’attivismo, ha iniziato a farsi conoscere in tutta Italia.
Il suo impegno ha preso una direzione ben precisa: combattere contro la discriminazione di genere e contribuire a sensibilizzare la società sui temi legati all’identità sessuale. In questo percorso, ha anche dovuto affrontare numerose difficoltà e resistenze, non solo da parte della famiglia, ma anche da una società che continua a fare fatica a comprendere e accettare le diversità.
Il ruolo di Daniela nell’attivismo LGBTQ+
Dal 2008, Daniela è uno dei volti più noti del movimento LGBTQ+ italiano, divenendo un punto di riferimento per l’associazione Antinoo Arcigay di Napoli, dove svolge un’attività di sensibilizzazione e difesa dei diritti. Grazie al lavoro svolto insieme all’associazione, oggi c’è maggiore consapevolezza sulla condizione delle persone LGBTQ+ rispetto a dieci anni fa. «Oggi la situazione è migliorata, anche se in provincia, come a Napoli, resta ancora molto da fare», ha osservato Daniela. Le sue parole pongono l’accento sulla resistenza che ancora oggi molte persone transessuali devono affrontare, anche in una città che si ritiene aperta e accogliente.
Uno degli esempi più drammatici di questa difficoltà è il caso di Paola, una giovane transessuale uccisa dal fratello nel 2020 a Caivano, per aver intrapreso una relazione con un ragazzo trans. Daniela non manca di ricordare che, se oggi alcune persone transessuali riescono a vivere una vita dignitosa, è anche grazie a chi ha combattuto, come lei, per il diritto all’autodeterminazione e per l’accettazione della diversità. Nonostante i progressi, la lotta è tutt’altro che finita.
Un incontro che ha segnato una fine definitiva
Nel 2018, proprio in un contesto scolastico, Daniela ha rivisto suo padre. Una scena che sembra quasi simbolica, in cui si è confrontata con la persona che le aveva imposto una vita di violenze e aspettative irrealistiche. «Mi si avvicinò e mi disse che mi aveva riconosciuta. “Il sangue è sangue”», racconta. Ma per Daniela, quell’incontro ha rappresentato solo la consapevolezza definitiva che lei e il padre erano ormai due persone estranee. «Non voglio nulla da lui», ha detto, ribadendo la sua indipendenza da un mondo che non le apparteneva.
Nel suo cammino, che l’ha portata a essere premiata a New York, Daniela ha scelto di essere un esempio vivente di forza, determinazione e riscatto. La sua storia continua ad essere una fonte di ispirazione per tutti coloro che combattono contro le disuguaglianze, i pregiudizi e le violenze. La lotta per la libertà e l’uguaglianza non ha confini, e Daniela lo dimostra ogni giorno.