Dalit in Nepal, tra caste e patriarcato: “non interessa a nessuno”

Dalit in Nepal

I “dalit”, conosciuti anche come “paria”, sono i membri della casta più bassa della gerarchia sociale tipica delle popolazioni induiste. Sono impuri, intoccabili.
Oggi, in Nepal, circa il 13,8% della popolazione soffre discriminazione, oppressione e segregazione a causa della casta nella quale nasce

I dalit in Nepal sono l’ultima delle caste di un sistema ancora molto radicato.
La gerarchia delle caste, e la conseguente discriminazione degli individui basata sulla loro discendenza, è una pratica consolidata nell’induismo, ma anche in altre religioni. In particolare, nei Paesi dell’Asia meridionale, tra cui il Nepal.

Qui, la casta più bassa della popolazione è appunto quella dei “dalit“, che costituisce circa il 13,8% dell’intera popolazione (29 milioni di persone).
Una persona nata all’interno della “casta degli impuri“, soprattutto se donna, è condannata a confrontarsi con violazioni dei diritti umani in tutti gli ambiti della sua vita. Dalla cittadinanza alla salute, dall’istruzione al matrimonio, e nei vari aspetti dell’esperienza quotidiana.
In alcuni casi, le discriminazioni verso i dalit possono trasformarsi in trattamenti degradanti, violenti, e persino in omicidi impuniti.

L’attuale Costituzione del Nepal (2015) garantisce i principi di uguaglianza e non discriminazione, il rispetto della dignità umana e dei diritti umani fondamentali. Inoltre, ha sancito che dovrebbe essere fornito un risarcimento alle vittime di discriminazione basata sulle caste.
In più, nel 2011, lo Stato ha adottato la legge CBDU contro la discriminazione e “l’intoccabilità” basata sulle caste. Nonostante questo, Amnesty International ha pubblicato il suo ultimo rapporto: “No one cares: discriminazione basata sulla discendenza contro i dalit“, dove analizza il modo in cui ogni aspetto della vita quotidiana nella società nepalese sia diviso e operi sulla base del sistema delle caste.
E come questa situazione non importi realmente a nessuno.

Gli intoccabili: cosa significa vivere nella casta più bassa della società

Una delle pratiche di discriminazione più crudeli della gerarchia delle casta è quella dell’intoccabilità.
Secondo uno studio dell’Indian Institute of Dalit Studies, in Nepal, sono 205 le pratiche che impongono l’intoccabilità ai dalit.
Tra questi divieti, per esempio, c’è quello di toccare qualsiasi cosa, comprese persone, beni e fonti pubbliche di acqua, come pozzi e rubinetti. Ma anche toccare il cibo, o mangiare allo stesso tavolo dei non-dalit.
Questo perché, secondo la credenza, potrebbero “inquinare” i pozzi e gli alimenti a causa della loro impurità. Perciò, i dalit possono usufruire dell’acqua corrente solo con l’esplicito permesso dei non-dalit.

Il trattamento discriminatorio, per i dalit, è una costante ovunque. Nelle scuole, nelle istituzioni educative, nei ristoranti, nei luoghi di culto. Negli uffici pubblici, nei templi, nei luoghi di cremazioni. Durante le feste religiose, i matrimoni, gli eventi sociali.
Tutto ciò influisce pesantemente sulla qualità e sull’aspettativa di vita dei dalit in Nepal. Soprattutto perché, secondo le testimonianze raccolte da Amnesty, la polizia non ha interesse nel far rispettare le leggi nazionali e i diritti umani degli “intoccabili“.

Mia figlia ha affrontato l’intoccabilità quando studiava in quinta elementare a scuola. Ha detto che tutti nella scuola stanno andando a fare un picnic all’aperto il giorno di Capodanno, ma il preside ha detto: “Saro, tu sei l’unico Mallik (Dalit) qui. Resta a casa. Macella un maiale e festeggia il picnic a casa”. Mia figlia ha pianto molto. Dopo l’incidente, insieme a 3-4 donne dalit sono andata a interrogare il preside per non aver permesso a mia figlia di partecipare al picnic. Ha detto: “Cosa potrebbe succedere se tua figlia salta solo per un giorno?”

I leader del mio villaggio sono per lo più rappresentanti della comunità Yadav (non dalit dominante). Se solleviamo qualche problema, iniziano a intimidirci. Sarei dovuta andare alla polizia ma, se parliamo, la polizia e gli Yadav diventano una cosa sola, e ci intimidiscono

La vita delle donne dalit in Nepal, tra caste e patriarcato

Le condizioni peggiori sono quelle nelle quali si trovano le donne dalit in Nepal.
Non solo, infatti, devono affrontare le conseguenza dell’essere nate nella casta più bassa della società. Ma devono anche fare i conti con una cultura ancora fortemente patriarcale.




Queste, non hanno alcun controllo sulla terra, sulla casa o sul denaro, sono costrette a lavori umilianti, e sono largamente sottorappresentate a tutti i livelli decisionali.

Le donne e le ragazze dalit sono particolarmente vulnerabili alla violenza di genere, sia all’interno della famiglia che nella società. La violenza di genere – spesso accompagnata da minacce di tali atti, molestie, coercizione e privazione arbitraria della libertà – può provocare sofferenze sessuali, psicologiche o economiche alle donne, e in alcuni casi persino la morte.

C’è una strada davanti a casa mia. Mia figlia ha spruzzato l’acqua sulla strada dopo essersi lavata le mani. I non-dalit che camminavano per strada si sono arrabbiati, hanno iniziato ad abusare e picchiare me e mia figlia dicendo; “sei un dalit, perché hai gettato acqua sulla strada?”.
Ho avuto ferite alla gamba e al collo per 15 giorni. Ho presentato una denuncia alla stazione di polizia, ma non è stata registrata

A causa della mancanza di protezione da parte della polizia del Nepal, che rifiuta di registrare i casi di violenza di genere che coinvolgono donne dalit, gli abusi non vengono quasi mai denunciati.
Così, cresce una cultura del silenzio e dell’impunità, oltre che della vergogna e dello stigma verso le vittime.

Per quanto riguarda i matrimoni, è severamente vietata l’unione tra due membri di diverse caste.
Nonostante le misure a sostegno dei matrimoni inter-casta tra un dalit e un non-dalit, adottate dal governo del Nepal con il disegno di legge CBDU, i pregiudizi basati sulle caste continuano ad avere un impatto negativo sulle coppie inter-casta, provocando episodi di resistenza, disapprovazione, critiche, boicottaggio, esclusione sociale e, in alcuni casi, minacce, violenze e omicidi. Atti che, perlopiù, restano impuniti.
In pochissimi casi, le famiglie delle vittime hanno potuto accedere alla giustizia, solo grazie alla continua pressione della società civile e della famiglia.

Dalit in Nepal: lo Stato riconosce il problema, ma non sa rispondere

Il report pubblicato da Amnesty International sulle condizioni di discriminazione e violazione dei diritti umani dei dalit in Nepal non è stato contestato dal Paese.
Al contrario, il governo ha sempre riconosciuto, in relazione a organizzazioni internazionali e revisioni periodiche, il problema della gerarchia delle caste. Sicuramente, la riforma costituzionale, l’adozione della CBDU, e la nascita di istituzioni –  come Dalit Lives Matter – hanno rappresentato un passo avanti. Ma ciò, come afferma Amnesty, non è sufficiente.

Lo Stato non riesce a proteggere i dalit, in particolare le donne e le ragazze, dalla discriminazione e dalla violenza. E non adempie ai suoi obblighi di fornire un accesso efficace, tempestivo e significativo alla giustizia per i sopravvissuti.
Di fatto, l’impunità è la norma, anche se l’intoccabilità e la discriminazione di casta e altri reati gravi sono stati proibiti e criminalizzati. L’impunità è pervasiva per diverse ragioni, tra cui l’inadeguatezza dei termini di prescrizione per la legge CBDU, la mancanza di rappresentanza dei dalit nel sistema giudiziario, e la mancanza di meccanismi di supervisione efficaci e di responsabilità

Uno dei fattori alla base dell’impunità e della mancata giustizia è il fatto che i dalit non si fidano della polizia e del sistema giudiziario in generale. E i limitati dati e le statistiche disponibili a livello governativo dimostrano che la loro sfiducia è ben fondata.
La polizia dovrebbe essere il punto di accesso alla giustizia, ma gli agenti sono riluttanti a registrare un FIR (in Nepal, la registrazione di un FIR avvia un procedimento penale. La denuncia della vittima/vittima è necessaria affinché la polizia possa registrare il FIR) quando le vittime si rivolgono a loro. E, quando anche lo fanno, la polizia richiede requisiti irragionevoli in termini di prove del reato. O trascurano intenzionalmente l’indagine.

Da qui, si è generata, nel tempo, una “cultura dell’impunità” per le violazioni dei diritti umani legate al razzismo e al patriarcato in Nepal. E lo Stato non sta facendo abbastanza per contrastarla, contribuendo a legittimarla come “accettabile” e “naturale“.
Per questo, Fernanda Doz Costa, direttrice del programma di Amnesty International per la giustizia razziale e di genere, ha lanciato un appello al governo.

Il Nepal deve adempiere al suo obbligo di fornire un accesso efficace, tempestivo e significativo alla giustizia e ai risarcimenti per i sopravvissuti. Deve smettere di limitarsi a sostenere a parole gli ideali di raggiungere l’uguaglianza per tutti. Ma deve adottare un approccio concreto, incentrato sui diritti umani, per relegare la discriminazione basata sulla discendenza nella pattumiera della Storia

Ma il vero ostacolo, come ha raccontato ad Amnesty una donna dalit, Anita Mahara, è che “sembra che non importi a nessuno“.

Giulia Calvani

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