La questione della presenza africana nel nostro paese non è una cosa solo recente, tutt’altro: abbiamo testimonianze di migranti in Italia nel Rinascimento
La presenza straniera e africana nella penisola
Il fenomeno dell’immigrazione in Italia da parte di popolazione di origine africana viene associato nell’immaginario comune soprattutto alla seconda metà del XX secolo (anni Settanta in particolare) quando, a causa della situazione economica dei loro paesi natale, si assistette all’arrivo di una grande quantità di persone provenienti dall’Africa Settentrionale e dall’ex colonie italiane (Eritrea, Etiopia, Somalia). In questi anni nascono i primi interessi verso il fenomeno, con le prime stime e raccolte dati: nel 1978 il primo rapporto sui lavoratori stranieri in Italia ne rileva circa mezzo milione, divisi in individui di etnia principalmente africana o slava. Con il passare degli anni e l’aumentare delle tensioni internazionali, come ad esempio le guerre civili nel centro Africa o i vari attacchi dei fondamentalisti religiosi nel Medio Oriente, la “situazione migranti” si è ingrandita esponenzialmente diventando quel fenomeno critico a cui assistiamo oggi: un “esodo” costellato di barconi e di aiuti negati a chi cerca nient’altro che un futuro migliore.
Anche se è innegabile che la presenza di individui di origine africana sia alta, è anche vero che la percezione che l’italiano medio ha della presenza straniera in generale non corrisponde alla realtà; a causa della disinformazione, purtroppo spesso proveniente dalla stampa che cerca di influenzare o di alzare lo share, si tende a sovrastimare la quantità di stranieri nel nostro paese, che rappresenta circa l’8%: un italiano su 10 sottostima la presenza straniera indicando il 3%; più della metà del campione, al contrario, sovrastima la presenza di immigrati tra il 16% e il 24% (circa un quarto della popolazione sarebbe non italiana quindi). Riguardo alla presenza africana, questa rappresenta realmente l’1,7% della popolazione, ma la maggior parte dei campionati la stima tra il 5% e il 10%. Le stime sbagliate si accompagnano poi spesso ad un malcontento generale e ad ostilità più o meno velate nei confronti di queste etnie, viste come “usurpatrici” e non facenti parte del contesto italiano “tradizionale”. In realtà, ancora una volta, questa sono considerazioni sbagliate, in quanto disponiamo di prove che attestano la presenza di migranti in Italia nel Rinascimento.
I migranti in Italia nel Rinascimento
Già dal XV secolo la pittura ci offre una descrizione dei principali centri urbani italiani, in cui è evidente la presenza di comunità africane. Raffinati pittori come Vittore Carpaccio (nella sua opera Miracolo della reliquia della Croce al ponte di Rialto) e Gentile Bellini (nel suo quadro Miracolo della reliquia della Croce al ponte di San Lorenzo) ritraggono una panoramica di Venezia in cui i gondolieri di origine africana erano molto diffusi. Questi ex schiavi, ora liberati, avevano trovato nella professione del gondoliere un modo per guadagnarsi da vivere e integrarsi socialmente in una città multiculturale quale era la Serenissima (per via dei suoi floridi scambi commerciali), grazie anche al sistema di associazioni chiamate scuole. Anche in città come Palermo, Napoli e Messina, già agli inizi del XVI secolo, si riscontra l’esistenza di confraternite religiose composte da africani liberi.
Sebbene la maggior parte dei casi si ricolleghi al lungo e doloroso filone della tratta europea degli schiavi, alcune forme di presenza africana in Italia hanno origini autonome; uno di questi esempi è l‘Ospizio di Santo Stefano dei Mori, meglio noto come “Ospizio degli Abissini“, fondato a Roma da Papa Sisto IV nel 1481 con l’obiettivo di accogliere monaci, pellegrini e personalità provenienti dall’Etiopia. Gestito da monaci etiopi, Santo Stefano dei Mori divenne un crocevia di religiosi, studiosi, ambasciatori e pellegrini che giungevano da lontane regioni del Corno d’Africa per visitare la Terra Santa. Tra queste personalità vi furono anche figure di elevato profilo che suscitarono l’interesse della corte pontificia e dell’aristocrazia europea. Grazie a questo flusso continuo di studiosi, Santo Stefano divenne un centro di riferimento per il filone di studi africani noto come “etiopistica“. In questo campo di studi, furono coniate le prime lettere dell’alfabeto etiopico e fu effettuata la prima stampa della Bibbia in lingua ge’ez, la lingua usata nella Chiesa ortodossa d’Eritrea e d’Etiopia. I religiosi e gli intellettuali che frequentavano l’Ospizio di Santo Stefano giocarono un ruolo fondamentale nel forgiare l’immagine dell’Africa nella cultura europea, così come nella plasmare la percezione di Roma e dell’Europa nelle loro terre di origine.
In conclusione, se per alcuni la presenza africana in Italia può rappresentare un problema o sembrare “strana”, è opportuno ricordargli che la commistione tra le due culture non è una novità del XXI secolo, ma è in corso già da secoli, senza fantomatici “effetti nocivi”.