Sempre più spesso si sente parlare di “journaling” in contesti in cui il termine non sembra avere un significato troppo diverso da quello di “diario”. Se ogni parola ha un suo significato denotativo, è anche vero che ciascun termine porta con sé immaginari che accendono nell’ascoltatore vortici di sensazioni.
Emotivamente, parlare di “diario” susciterà pensieri legati al mondo della fanciullezza e dell’adolescenza. Il diario per eccellenza è quello segreto, dove si appuntano gelosamente i pensieri più intimi e privati. C’è poi quello scolastico, nato per i promemoria della scuola ma destinato inevitabilmente a diventare, anche esso, custode di dediche e disegni personali o degli amici.
Anticamente, redigere un diario era una pratica appannaggio di età più adulte e mature, ma con il tempo questa usanza si è persa fino a trasformare lo stesso immaginario legato al termine. L’impiego dell’inglesismo “journaling” sembra quindi venire quasi in aiuto nella definizione di una pratica che ritorna a coinvolgere tutte le età. Ma non c’è solo questo. Ci sono delle effettive differenze tra la compilazione di un classico diario e il fare journaling, ed è in questo che si può riconoscere la novità del progetto e il suo valore.
Il journaling è innanzitutto un esercizio quotidiano.
Redigere un diario è un bisogno che può legarsi alle circostanze e diventare anche molto sporadico. Il journaling vive, invece, la speciale dimensione della quotidianità. L’attitudine a considerarlo un esercizio giornaliero da una parte lo inserisce nella routine, dall’altra è proprio la chiave attraverso la quale chi lo pratica riesce a uscire dagli automatismi della sua vita. Darsi un appuntamento giornaliero con se stessi è un modo di ritagliare un momento di qualità che sia davvero nostro. Non è mera distrazione, come può esserlo lo scrollare per l’ennesima volta le home dei nostri social. Nel valore terapeutico che gli viene attribuito, è lo strumento attraverso il quale ci si impegna a concentrarsi su temi che possono sfuggire nella frenesia del nostro presente.
Per quanto rimanga sempre un momento personale associato alla creatività, il journaling è un esercizio “guidato”.
Le tecniche che si possono seguire sono tantissime e il web è pieno di suggerimenti creativi per concepire una personale guida e andare in profondità.
Segnare le cose per le quali si è grati, l’emozione più intensa della giornata, le sensazioni provate durante un particolare momento del quotidiano, sono i primi spunti di partenza. Una volta presa la mano, si procede ampliando lo sguardo sulla propria vita. Si può quindi pensare di registrare gli obiettivi concreti da mettere in atto a inizio mese, pianificare gli appuntamenti, i lavori e così via.
Mettere nero su bianco aiuta certamente ad avere una maggiore coscienza del tempo che abbiamo a disposizione e rileggere i propri appunti rende anche più facile capire dove si sta andando nella propria vita e quanto tempo riusciamo davvero a dedicare alle cose che fanno stare bene.
Il tenere traccia dei propri progressi o regressi, così come la pratica dell’ascolto interiore, è un esercizio che può sembrare banale ma non lo diventa più nel momento in cui averlo dato per scontato a lungo ha fatto perdere le coordinate del proprio benessere.
Servono solo 5 minuti al giorno.
C’è chi si dedica al journaling di mattina, chi traccia il bilancio alla sera, chi ritaglia il suo momento nell’ora più calma della giornata. La chiave del successo è la costanza, insieme alla gentilezza verso se stessi e il proprio percorso. L’impegno non deve occupare più di cinque minuti al giorno per dare i suoi frutti. Chi ha iniziato a fare journaling difficilmente poi interrompe la pratica perché riesce a registrare realmente dei benefici nel suo quotidiano.
C’è bisogno solo di un diario/quaderno/o un bullet journal, preferibilmente dall’estetica accattivante, così da motivare l’autore a prenderlo in mano e a scriverci su. Poi, di una penna fluida, perché i pensieri scivolino via con le parole e non trovino nessun attrito né nello sgorgare dalla nostra interiorità, né sulla superficie ruvida del foglio di carta.
In tempi in cui anche il semplice gesto dello scrivere a mano appare desueto, il journaling impone una scrittura rigorosamente con carta e penna. Recuperare familiarità con strumenti che usiamo sempre meno e che abbiamo sostituito con supporti più freddi ha una sua precisa motivazione. Nel tempo lento della scrittura a mano si segue con maggior facilità il susseguirsi dei pensieri, e si interviene il meno possibile su di essi raggiungendo la concentrazione ottimale.
Nella definizione di “Diario” data dal giornalista e scrittore statunitense Ambrose Bierce si legge:
Diario: Documentazione quotidiana di una parte della propria vita che si può raccontare a sé stessi senza arrossire.
Forse il journaling non è altro che questo: una trasformazione moderna del caro vecchio diario. È un nuovo strumento che disciplina chi è immerso nel nostro caotico presente, insegnandogli a prendersi cura, senza vergogna o giudizio, di quella parte di sé a volte difficile da salvaguardare.
Martina Dalessandro