D’Alema è per l’Italia come quel fastidiosissimo pezzetto d’aglio che si mimetizza nella salsa, non importa se pensi di averlo tolto mentre controlli con attenzione il sugo, prima o poi ti capiterà limaccioso e molesto sul palato e ti rovinerà la pappatoria! Massimo D’Alema ha avuto molte vite, ma dalle giovanili ed esplosive contestazioni dei tempi della Normale ne è passata d’acqua sotto i ponti, e nel frattempo – mentre Nanni Moretti aspetta da un quarto di secolo che il nostro dica qualcosa di sinistra – si può serenamente affermare che questo camaleontico “figlio del partito”, ha cambiato con estrema discrezione più casacche che mutande. Insomma, per quanto la “forma” D’Alema resti lambita solo dall’inesorabile scorrer del tempo, la “sostanza” D’Alema è stata tutto un tumulto proteiforme di agganci e convenienze, fino ad approdare ai risultati più curiosi e compromettenti: come il cavalierato di Gran Croce dell’Ordine Piano conferitogli dalla Santa Sede, l’accusa di aggiotaggio dissoltasi nel nulla per la scalata alla BNL da parte della Unipol di Consorte, l’utile presidenza del Copasir, il tutto allietato da conviviali e fruttuose cene in casa Letta con Berlusconi, Fini e amichetti vari, addolcite dalle rinomate crostate di donna Maddalena; una vita piena di contatti e relazioni, di compromessi e accordi, resa ancora più spensierata da anni e anni a fitto bloccato – anzi blindato – ad equo canone … perché, come ha scritto Federico Bini, “più stanno a sinistra, più abitano in centro”!
Dunque tutto si può dire di D’Alema tranne che non sia riuscito a portare a frutto un cinquantennio di celebrata – quanto flessibile – militanza politica, fino a farlo sbocciare come quotato lobbista per network internazionali di consulenza dirigenziale e revisione contabile del calibro della secolare Ernst&Young; un approdo di certo contraddittorio ma solo in apparenza inaspettato per il rivoluzionario della domenica, figlio di un partigiano e dirigente del Partito Comunista; perché si sa, oggi è di moda il pantouflage, meglio conosciuto come sistema delle “porte girevoli”, quel convenientissimo e clientelare sistema che permette a ex-politici ed ex-funzionari pubblici di re-introdursi nei meccanismi di potere mettendo al servizio della grande speculazione capitalistica ed economica le loro esperienze e competenze (chiamarle agganci o mani in pasta è troppo volgare).
Ed è proprio nell’ambito di questa attività di consulenza e mediazione (del tutto legale, precisiamo) tra aziende e stati sovrani che D’Alema si è messo nei guai insieme ad un altro campione di onestà e limpidezza, Alessandro Profumo, che, dopo essere stato condannato in primo grado per aggiotaggio e falso in bilancio nel 2018 per il caso Monte dei Paschi, è rimasto comunque saldamente alla guida di Leonardo (ex Finmeccanica), azienda a partecipazione statale.
Fin qui tutto bene, siamo comunque in Italia; quindi tutto di cui vergognarsi ma nulla di cui stupirsi; il guaio non sta neanche nel fatto che D’Alema e Profumo, per vendere alla Colombia aerei militari, corvette e altri sistemi strategici, per la modica cifra di 4 miliardi di euro, avrebbero dovuto garantire delle immancabili mazzette per la ministra del tesoro colombiana e altri funzionari statali, circa 80 milioni di euro – il classico 2% di tutto l’affare, percentuale standard per i lobbisti – ma che nella mediazione succitata abbia avuto un considerevole ruolo una non ancora del tutto definita “organizzazione criminale internazionale.” E qui i giornali tentennano, restano vaghi: non è che ci dicono con precisione di quale organizzazione si tratti, di certo non è la “Banda del Buco”, e neanche la Banda Bassotti visto che Zio Paperone “ad oggi” non ha sporto denuncia; quindi di certo si tratta di qualcosa di più ramificato e organizzato, con mezzi potenti e conoscenze che contano, capace di ramificarsi e prosperare nei gangli oscuri e torbidi dell’irreprensibile e specchiata democrazia colombiana. Escludendo la Spectre e tutti i cattivi dei film di James Bond e, perché no, anche il Dottor Male, io qualche nome per questa organizzazione criminale internazionale ce l’avrei, certo è un azzardo ma li butto lì… mafia? Ndrangheta in combutta con qualche cartello colombiano? Ma restano solo ipotesi, ci mancherebbe. Però una cosa è certa, D’Alema ha assicurato che della vendita delle armi alla Colombia non avrebbe preso un euro! Così si fa! In fondo – ma proprio in fondo – Massimino è rimasto un idealista nostalgico, avrebbe fatto tutto per puro spirito di fratellanza e slancio internazionalista… siamo certi che avrebbe offerto la sua preziosissima consulenza per vendere armamenti solo per garantire l’imperitura pace nella paradisiaca Colombia, nota a tutti per essere la Svezia del Centroamerica!
Franco Giordano
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