Le custodi di Zanzibar preservano le meraviglie dell’arcipelago

Le custodi di Zanzibar

Sono note come le custodi di Zanzibar. Donne, di ogni età, che svolgono una fondamentale opera di protezione dell’ambiente. 

Contro i cambiamenti climatici, per proteggere la bellezza dell’arcipelago, le custodi di Zanzibar portano avanti la loro missione.

Immerso nell’Oceano Indiano, l’arcipelago di Zanzibar, a pochi gradi a sud dell’Equatore, riserva meraviglie. Situato a circa 40 km dalla costa della Tanzania, Zanzibar è costituito da due isole, Unguja e Pemba, attorno cui gravitano una quarantina di minori, tutte parzialmente disabitate. Per far spazio agli insediamenti umani e a causa del processo di deforestazione, la presenza – originaria – della foresta tropicale si è ridotta al 5% dell’area originale. Tuttavia, le zone forestali sono conservate in aree naturali protette in Jozani, Nzegi e Msitu Mkuu.

Data la sua posizione, di estrema vicinanza con l’Equatore, il clima di Zanzibar, tropicale e monsonico, prevede altissime temperature durante tutto l’anno. Tra natura incontaminata, siti colorati ed affascinanti, Oceano cristallino, Zanzibar è forse uno dei luoghi più magici del pianeta. Le acque trasparenti, le lingue di spiaggia bianchissima, la spettacolare flora corallina e la pura vegetazione tropicale sono solo alcune delle bellezze dell’arcipelago.

Tuttavia, la crisi ambientale e climatica non sta risparmiando neanche un gioiello della natura come Zanzibar. Il continente africano, senza alcun dubbio, sarà, a lungo andare, il più colpito dai danni generati dal cambiamento climatico. Gli esperti prevedono che, entro il 2050, i  fenomeni della deforestazione totale e dell’erosione costiera colpiranno anche la Tanzania (compresa Zanzibar). L’impatto dell’attività umana ha avuto devastanti conseguenze: lo scarico dei rifiuti, la pesca intensiva, gli incendi, le deforestazioni per la raccolta del legno e la speculazione edilizia hanno distrutto le foreste di mangrovie, hanno causato l’innalzamento delle acque e la scomparsa di numerosi specie di animali e piante. Per far fronte a ciò, le popolazioni locali – in particolare le donne – si sono attrezzate per contrastare l’emergenza.

La doppia missione delle custodi di Zanzibar

Determinate a proteggere i luoghi in cui sono nate, le donne di Zanzibar, ogni giorno, portano avanti la loro doppia missione. Con il loro lavoro, infatti, sono in grado di sfamare la propria famiglia, facendo del bene all’ecosistema. Si occupano delle attività di più disparate: lavorano le alghe e la fibra del cocco, coltivano le spugne marine. L’obiettivo è comune: proteggere la risorsa marina.

Zedi Abdullah Abdullah ha sempre avuto paura dell’oceano. Al fine di raggiungere la sua indipendenza economica, però, si è fatta coraggio, ha imparato a nuotare e ha cominciato a coltivare le spugne.

Quello di Zedi è uno dei tanti racconti  delle custodi di Zanzibar. Sono storie di intraprendenza, di intelligenza e di forza d’animo.

La nuova tecnica di allevamento delle spugne mi ha cambiato la vita. Al giorno d’oggi la vita è diventata più difficile a causa dell’aumento dei prezzi. Con le mie spugne posso guadagnare soldi. Sono divorziata, madre single e il reddito che ho ora è sufficiente per pagare l’istruzione dei miei figli e comprare cibo migliore per tutti noi. Sono stato anche in grado di iniziare a costruire la mia casa. Le spugne hanno davvero cambiato la mia vita.

ha detto invece Nasir, una coltivatrice di Zanzibar.

Di raccontare le storie delle custodi di Zanzibar se ne occupa Marine Cultures, piccola organizzazione no profit che si dedica a promuovere l’acquacoltura per salvaguardare l’ecosistema marino. Sulla costa dell’arcipelago tanzaniano, le donne assicurano un sostentamento sostenibile a un numero crescente di famiglie.

Tripodphoto ha registrato poi un documentario, Bahari Salama, che mostra come sia possibile trovare una rotta alternativa allo sfruttamento intensivo dei nostri mari. L’attività delle donne in Zanzibar è di notevole importanza. Bisogna più che mai preservare tali custodi di risorse naturali perché il rischio è che della loro essenzialità ce se ne accorgerà troppo tardi.

Elena Malusardi

 

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