10 curiosità sulle Elezioni USA da sfoggiare alla prossima cena

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Ecco 10 curiosità sulle Elezioni Usa che non si possono non conoscere in un anno che diventerà, egli stesso, una curiosità. Se il 2020 infatti verrà ricordato per l’anno della pandemia, non ci dimenticheremo di raccontare che, in qualche modo, si saranno svolte anche le elezioni negli Stati Uniti. 





Quelle di quest’anno saranno le cinquantanovesime elezioni presidenziali della storia degli Stati Uniti. Essendo delle elezioni “indirette” il 3 novembre gli elettori saranno chiamati a scegliere i cosiddetti Grandi Elettori che il 14 dicembre 2020 si riuniranno nel Collegio elettorale per scegliere il nuovo presidente e il suo vice presidente. L’eletto presidente degli Stati Uniti d’America inizierà ufficialmente il suo mandato il 20 gennaio 2021. Ecco qui 10 curiosità sulle elezioni Usa, un evento che definire politico è semplicemente riduttivo. 

1.Convention

In questi giorni, online, si è svolta la convention democratica a sostegno di Joe Biden. Nell’eccezionalità della pandemia, si tratta di una cornice che mantiene alcuni aspetti tradizionali e che, al tempo stesso, per forza di cose ha completamente costretto gli organizzatori a ripensare il format dell’evento. Che sia repubblicana o democratica, la Convention si tiene sempre alla fine delle elezioni primarie. Può essere descritto come un congresso politico, o un evento contenitore caratterizzato da un gran numero di interventi.



L’assemblea dei delegati, eletti nelle elezioni primarie, qui designa formalmente il suo candidato e traccia il programma del partito che dovrà convincere gli elettori. A seguito della modifica delle leggi elettorali, la Convention, a partire dagli anni Settanta ha perso la funzione di designazione dei candidati per assumere quella di un grande evento cerimoniale, quasi mondano.

Elezioni e Olimpiadi

Normalmente si scelgono delle città e delle date. Si presta attenzione a non sovrapporle con le settimane delle Olimpiadi. Altra curiosità sulle elezioni Usa: cadono sempre nello stesso anno delle Olimpiadi. Eccezion fatta per quest’anno: visto che le Olimpiadi di Tokyo sono state spostate al prossimo anno, sarà la prima volta dopo il 1944 in cui questi due eventi non saranno nello stesso anno. In tempi normali, le convention si tengono solitamente nel mese di luglio, per dare il tempo ai partiti di recuperare credibilità verso i propri elettori dopo gli scontri interni che possono essere anche molto aspri e rischiano di presentare un partito troppo fratturato.



2. Two terms

Il 22° emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America non consente ad una persona di candidarsi per più di due volte alla presidenza. Two terms, appunto. Questa norma, quindi, vieta agli ex presidenti Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama di ricandidarsi. L’ex presidente Jimmy Carter è l’unico ex presidente vivente che potrebbe ricandidarsi, dato che è stato presidente soltanto per un mandato. Tuttavia Carter, che ha raggiunto i 96 anni, ha già dichiarato di non volersi ricandidare.

L’articolo 2 della Costituzione degli Stati Uniti d’America prevede poi che una persona che si voglia candidare alla presidenza debba essere cittadino statunitense dalla nascita, abbia almeno 35 anni di età e che risieda su suolo statunitense da almeno 14 anni.

3. Enthusiasm gap

E’ un concetto che ha a che fare con l’affluenza e si traduce con divario di entusiasmo. Riguarda essenzialmente la partecipazione degli elettori, la loro convinzione nel votare quel candidato e la loro capacità di convincere gli altri. Solitamente, si pensa che i vincitori uscenti soffrano di più l’enthusiasm gap perché meno motivati nel voler cambiare le cose: non è un caso che le primarie dei democratici siano state così affollate di candidati quest’anno. A presentarsi per sfidare Trump sono stati ben 27 candidati democratici: un record.

4. Election Day

Una domanda che molti si pongono e che suscita più curiosità parlando di elezioni Usa è quella relativa alla scelta del martedì. Le elezioni si svolgono nel cosiddetto Election Day, che ricorre il martedì successivo al primo lunedì di novembre di ogni quattro anni, questo per evitare che il giorno delle elezioni cada il 1º novembre, che è un giorno festivo anche negli Usa. Funziona così dal 1845. Il motivo di questo criterio così preciso risale alla storia dei padri costituenti e ha a che fare con lunghi tragitti in carrozza e con il giorno settimanale dedicato al mercato.

Andare al seggio, normalmente, richiedeva almeno un giorno di viaggio. Bisognava arrivare al luogo del seggio, in genere in carrozza, votare e poi ripercorrere la strada verso casa. Il lunedì venne escluso subito, perché avrebbe costretto gli elettori a mettersi in viaggio di domenica, il giorno tradizionalmente dedicato al riposo e alle funzioni religiose. Il mercoledì, altrettanto, non andava bene. Gli Stati Uniti erano ancora un paese agricolo e tradizionalmente il mercoledì era il giorno dei mercati. Questo tagliava fuori anche il giovedì, poiché non si poteva chiedere ai contadini americani di mettersi in viaggio proprio nel giorno di lavoro più intenso. In molti da anni chiedono lo spostamento delle elezioni al weekend, ma non se n’è mai fatto nulla.

O la va o la spacca

Ah, ed è tutto one shot. In nessun caso le elezioni possono essere ripetute. Anche nel 1864, in piena guerra di secessione, non vi fu nessuna eccezione. E se non si raggiunge il quorum? La decisione finale viene lasciata alla Camera dei Rappresentanti. L’organo dovrà scegliere il Presidente fra i primi tre candidati che hanno raggiunto il maggior numero di voti.

5. Absentee ballot o mail voting

Negli ultimi decenni si è molto diffusa la pratica del voto anticipato, permesso in oltre 30 stati USA, e che quest’anno dovrebbe essere utilizzato da circa il 40 per cento dei votanti.
Non si può parlare delle curiosità sulle elezioni Usa senza menzionare il mail vote. In due stati, Oregon e Washington, l’intero procedimento elettorale avviene per posta e non esistono i seggi tradizionali, facendo sì che di fatto tutti i voti siano espressi in anticipo: nelle settimane precedenti all’Election Day vengono inviate le schede a tutti gli elettori, che poi le rimandano agli uffici elettorali. In altri 17 stati alcune elezioni locali avvengono per posta, ma non quelle presidenziali.

Tra gli Stati che lo permettono, la distinzione principale è quella tra gli stati che richiedono una motivazione da parte dell’elettore (absentee ballot), e quindi pensano il meccanismo soprattutto per coloro che sanno già di avere impedimenti per il giorno del voto, e quelli invece che non richiedono alcuna giustificazione, dove quindi la pratica serve in primo luogo per aumentare la partecipazione. In totale, il voto anticipato è permesso senza giustificazione in 31 stati americani e con una giustificazione in altri tre, mentre non è permesso nei restanti 16 (Alabama, Connecticut, Delaware, Kentucky, Massachusetts, Michigan, Minnesota, Mississippi, Missouri, New Hampshire, New Jersey, New York, Pennsylvania, Rhode Island, South Carolina e Virginia).

Su richiesta 

Normalmente il meccanismo funziona così: l’elettore richiede un’apposita scheda elettorale per il voto in anticipo, la riceve per posta e la rispedisce negli uffici elettorali – che sono a livello di contea – entro parecchi giorni prima dell’election day, dove viene registrata con una complessa procedura per garantire l’anonimato e passa poi per una macchina che memorizza i risultati. In altri casi, i votanti possono andare a votare di persona in anticipo. Anche le date e i modi dello spoglio sono diversi: le procedure possono iniziare anche parecchi giorni prima, anche se la comunicazione ufficiale dei risultati avviene solo dopo la chiusura dei seggi nell’election day. Il voto anticipato ha alcune conseguenze politiche. Il meccanismo premia i candidati meglio organizzati sul territorio e che hanno più tempo per portare la gente a votare.

E chi è in prigione?

In Florida, Kentucky e Iowa, è permanentemente escluso dal voto chiunque stia scontando una pena. Nel Vermont e Maine, invece, il voto non interessa la fedina penale. Altri Stati optano invece per soluzioni di compromesso, considerando anche i tipi di reato.

E chi è in orbita?

Tra le curiosità sulle elezioni Usa, questa è sicuramente una delle più interessanti. Gli astronauti esprimono il loro voto tramite posta elettronica protetta nella Contea di Harris, in Texas. Sono numerosi infatti gli astronauti a risiedere nei pressi di Houston. Lo svolgimento è semplice: si riceve una mail criptata, con allegato un file in .pdf della scheda elettorale, si vota e la si rispedisce. C’è poi un impiegato della contea che copierà il voto ricevuto a mano su una scheda, con l‘obbligo però di segreto professionale. 

6.  Gerrymandering

E’ un metodo tanto assurdo quanto semplice: deriva dal nome Gerry e da salamander, sì, esatto: salamandra. Praticamente è una strategia piuttosto ingannevole per ridisegnare i confini dei collegi nel sistema elettorale maggioritario. L’inventore di questo sistema di ridisegno dei collegi era il politico statunitense e governatore del Massachusetts Elbridge Gerry (1744-1814); egli, sapendo che, all’interno d’una certa regione (dipartimento o stato), ci possono essere parti della popolazione (ben localizzabili) favorevoli a un partito o a un politico (ad esempio, seguendo la dicotomia centro-periferia, giovani-vecchi, ceto basso-ceto medio o alto), disegnò un nuovo collegio elettorale con confini particolarmente tortuosi, includendo quelle parti della popolazione a lui favorevoli ed escludendo quelli a lui sfavorevoli, garantendosi così un’ipotetica rielezione.

Le linee di tale collegio erano così irregolari e tortuose, da farlo sembrare a forma di salamandra (da qui la seconda parte del termine “salamander”, appunto “salamandra” in inglese). E’ comunque utilizzato anche in altre parti del mondo.

7. Road to 270

Per eleggere un presidente degli Stati Uniti, il primo candidato a ottenere 270 voti su 538 al collegio elettorale vince. Ogni stato ha un certo numero di voti dei delegati a seconda della sua popolazione. E attenzione: chi si prende anche un solo voto in più, si guadagna tutti delegati di quello Stato. Motivo per cui nel 2016 ha vinto Trump, sebbene Hilary Cliton avesse conquistato quasi 3 milioni di voti in più: gioie e dolori della legge elettorale. Come cantavano gli Abba, quindi: The winner takes it all.  La strada verso i 270 voti si riferisce spesso alla strategia elettorale che un candidato alla presidenza mette a punto: sa infatti che l’obiettivo è conquistare gli Stati e i loro delegati, non stravincere.

Ah, attenzione. I grandi elettori, solitamente, sostengono il candidato alla Casa Bianca a cui sono associati nelle schede. Non sempre però: si parla di “infedeli” per definire coloro che, una volta eletti nel collegio dei delegati, poi non hanno votato il candiato del loro partito. Nella storia, sono stati per ora più di 150. 

8. Swing states

Si parla di stati in bilico, di battleground states (campi di battaglia) o, ancora di purple states (stato viola). Fatto sta che gli swing states sono territori in cui nessun candidato o partito gode di un elettorato così solido da considerare praticamente inesistente la competizione con gli avversari. Categoria opposta è quella dei safe states, gli stati sicuri, quelli di assegnazione praticamente certa. Conoscere queste categorie e la loro evoluzione dinamica nella storia, elezione dopo elezione, permette di orientare in modo più proficuo i propri fondi.  Un repubblicano, ad esempio, avrà vita più facile negli stati del Profondo Sud, come Texas, Mississipi, Carolina del Sud e Alabama. Qui, dunque, è inutile che il candidato democratico spenda tempo, soldi e risorse: andrà come andrà. Meglio puntare strategicamente su Stati più instabili.

9. Too close to call

Si tratta di un’espressione iniziata a circolare nel XVII secolo nell’ippica. Con quest’espressione, che significa letteralmente “troppo vicini per giudicare”, si faceva riferimento ai cavalli che tagliavano il traguardo insieme, rendendo impossibile stabilire chi fosse il vincitore a occhio nudo.  Dagli anni Sessanta, anche la politica statunitense ha iniziato ad adottare questa formula. Si dice che i due candidati siano infatti “too close to call” quando il distacco tra democratici e repubblicani è talmente esiguo da tenere la situazione in sospeso fino allo spoglio delle ultime schede.

Le elezioni del 2000

Too close to call, per eccellenza, è stata la situazione della Florida nel 2000: nella notte successiva alle elezioni tra Al Gore e Bush, infatti, la Florida fu più volte assegnata e riassegnata alle due formazioni, nell’incertezza generale. Incertezza che si protrasse nei giorni seguenti. La proclamazione del vincitore venne rinviata, poiché, proprio in Florida, fu necessario ricontare i voti, addirittura a mano. Bush ottenne la maggioranza con un distacco di appena 537 voti. Seguì la richiesta di riconteggio e una causa legale intentata da Gore contro Bush. Alla fine vinse Bush, ma la sentenza della vittoria arrivò solo il 9 dicembre, non senza critiche e controversie.

10. Stati Bellwether

Si tratta di territori che vengono considerati statisticamente affidabili: qui, il campione di voti espresso rispecchia l’andamento della nazione. Sono stati che fungono da riferimento, perché attendibili dal punto di vista statistico. La verà curiosità sulle elezioni Usa, però, è che i tempi cambiano e così anche gli Stati bellwether. Una volta si diceva ad esempio “As Maine goes so goes the nation“, come va il Maine, così va la nazione: lo Stato del Pine Tree, tra il 1840 e il 1932, ha rispecchiato il risultato di 22 elezioni su 29.

Oggi l’Ohio è considerato lo stato bellwether per eccellenza: dal 1964, infatti, è allineato ai risultati nazionali ed è osservato con particolare attenzione dagli addetti ai lavori. 

Elisa Ghidini

 

 

 

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