I grassi dell’olio di pesce proteggono dalla cardiopatia ischemica. A trarne i maggiori benefici è chi ha i trigliceridi o il colesterolo ‘cattivo’ troppo alti, ma non solo. Secondo una recente analisi di quasi 70 anni di ricerca scientifica questi nutrienti alleati della salute cardiovascolare potrebbero ridurre anche del 18% il rischio di eventi pericolosi come l’infarto
La cardiopatia ischemica è la prima causa di decesso in Italia. Nota anche come cardiopatia coronarica o coronaropatia, è la responsabile del 28% di tutte le morti, superando in pericolosità anche i tumori. Fra le sue cause principali c’è un’alimentazione di scarsa qualità; ma quali sono i nutrienti che non ci si dovrebbe far mancare per proteggere il cuore da questo disturbo? Secondo una nuova analisi degli studi scientifici pubblicati negli ultimi 70 anni* fra le molecole utili da questo punto di vista sono inclusi gli Omega-3, gli acidi grassi essenziali di cui è ricco l’olio di pesce.
L’analisi^1 è stata pubblicata su Mayo Clinic Proceedings da un gruppo di ricercatori guidato da Dominik Alexander, esperto del Dipartimento di Epidemiologia dell’EpidStat Institute di Ann Arbor, negli Stati Uniti. I suoi autori hanno effettuato una ricerca sistematica all’interno della letteratura scientifica per identificare gli studi clinici e prospettici che dal 1 gennaio 1947 al 2 novembre 2015 si sono occupati dell’associazione tra l’assunzione degli Omega-3 EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico) sotto forma di alimenti o integratori e lo sviluppo di cardiopatie ischemiche e di fenomeni ad esse associati, come l’infarto del miocardio, la morte cardiaca improvvisa e l’angina pectoris. In totale sono stati identificati 18 studi clinici randomizzati e 16 studi prospettici di coorte, per un numero di individui coinvolti pari, rispettivamente, a 93 mila e 732 mila persone.
I dati degli studi clinici randomizzati hanno portato Alexander e colleghi a concludere che l’assunzione di EPA e DHA riduce il rischio di cardiopatia ischemica soprattutto in caso di trigliceridi elevati (pari o superiori a 150 mg/dL) e quando i livelli di LDL (Low-Density Lipoproteins, le lipoproteine a bassa densità comunemente note come ‘colesterolo cattivo’) sono pari o superiori a 130 mg/dL. In particolare, l’analisi degli studi clinici randomizzati ha permesso di calcolare che l’assunzione di EPA e DHA è associata a una riduzione del rischio di cardiopatia ischemica pari al 16% in caso di trigliceridi alti e al 14% in caso di LDL elevate.
“L’effetto benefico degli acidi grassi Omega-3 a lunga catena sulla cardiopatia ischemica osservato in questa analisi fra gli individui con livelli di colesterolo LDL più elevati potrebbe riflettere la ridistribuzione del colesterolo LDL in particelle LDL più grosse e meno aterogene che è stata descritta dopo l’integrazione con acidi grassi Omega-3 a lunga catena in diversi studi clinici randomizzati”, spiegano Alexander e colleghi su Mayo Clinic Proceedings. I benefici per chi ha i trigliceridi alti dipenderebbero invece dal già dimostrato effetto dell’assunzione di dosi adeguate di Omega-3, che è stata associata proprio alla riduzione di questi grassi.
Gli studi clinici randomizzati hanno permesso anche di stimare una riduzione generale del rischio di cardiopatia ischemica (anche in assenza di livelli di trigliceridi o di colesterolo cattivo elevati) pari al 6%. Tale effetto, apparentemente non significativo dal punto di vista statistico, è stato invece confermato dall’analisi degli studi prospettici di coorte, secondo cui l’assunzione di EPA e DHA riduce il rischio di cardiopatia ischemica del 18%.
Come sottolineato dagli stessi autori, i risultati di questa analisi sono coerenti con quelli di altre meta-analisi condotte negli ultimi 10 anni, da cui è emerso che l’assunzione di acidi grassi Omega-3 a lunga catena è associata a una riduzione del rischio di morte cardiaca o coronarica variabile tra il 10 e il 30%. A confermare i possibili benefici derivanti da questi nutrienti sono anche gli esperti che hanno firmato l’editoriale associato alla pubblicazione, secondo cui questo nuovo lavoro “suggerisce che l’assunzione di acidi grassi Omega-3 potrebbe ridurre il rischio di eventi avversi associati alla cardiopatia ischemica, soprattutto fra i pazienti con livelli elevati di trigliceridi o di lipoproteine a bassa densità”. Per di più anche studi più recenti, pubblicati dopo il termine ultimo del 2 novembre 2015 scelto da Alexander e colleghi per l’inclusione nella loro analisi, hanno rilevato un’associazione fra livelli ematici di EPA e DHA più elevati e una mortalità
cardiovascolare più bassa, fra l’assunzione di EPA e DHA e una protezione dai decessi per problemi al cuore e fra l’integrazione con EPA e DHA e una più bassa mortalità dopo infarto del miocardio.
Alla luce del ruolo giocato da un’alimentazione povera di Omega-3 di origine marina come fattore di rischio potenzialmente in grado di aumentare la mortalità, le autorità del settore raccomandano di assumere EPA e DHA per proteggere il cuore e, più in generale, la salute. Secondo i Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN) della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) l’assunzione adeguata di EPA e DHA è pari a 250 mg al giorno, ma come ricordato nell’editoriale associato all’analisi di Alexander e colleghi, l’American Heart Association è arrivata a raccomandare a chi desidera ridurre il suo rischio cardiovascolare un’assunzione di Omega-3 da olio di pesce in dosi pari a 1 grammo al giorno.
“Da un punto di vista clinico, i nostri risultati indicano che EPA e DHA potrebbero essere associati a una maggiore riduzione del rischio di cardiopatia ischemica in popolazioni con livelli elevati di trigliceridi o di colesterolo LDL”, concludono Alexander e colleghi su Mayo Clinic Proceedings. Le loro analisi potrebbero però aver portato alla luce solo parte delle potenzialità di questi nutrienti: ulteriori studi clinici, perfezionati rispetto a quelli condotti fino ad oggi, potrebbero svelare dettagli ancora più interessanti dell’associazione tra EPA e DHA e il rischio di cardiopatia ischemica.