La coreana An San, campionessa olimpica, è stata vittima di duri attacchi social e non solo, per aver tagliato i capelli “troppo corti”. Un taglio che si scontra con il culto della bellezza femminile e che sfida le convenzioni sociali. An San ha vinto due ori per la Corea del Sud questa settimana nel tiro con l’arco e ha stabilito un nuovo record mondiale.
Nonostante ciò, la campionessa è stata attaccata per aver tagliato i capelli “troppo corti”. Una vera e propria ondata di odio misogino si è scatenata contro la ragazza. Gruppi di uomini coreani hanno ferocemente criticato la ragazza, esortandola a restituire le medaglie vinte per sopperire all’offesa. Allo stesso tempo An San ha ricevuto tantissime manifestazioni di sostegno da parte di colleghi e altri atleti olimpici.
La prima persona a parlare e portare alla luce i violenti attacchi subiti dalla ragazza, è stata una giornalista americana e per metà coreana Kelly Kasulis Cho, che sul New York Times e sui vari social ha denunciato la situazione vissuta dalla ragazza. La giornalista ha spiegato che la decisione della campionessa olimpica sfida le convenzioni sociali sulla femminilità e che per questo è stata presa di mira dai gruppi misogini della Corea del Sud.
Lapidaria la risposta di An San, che nelle sue Instagram Stories ha risposto agli haters invitandoli a crogiolarsi nel proprio complesso di inferiorità mentre lei sarebbe impegnata a vincere le Olimpiadi.
Il culto della bellezza in Corea
Ryu Hveong- rim, attivista per l’uguaglianza di genere, ha spiegato che, in Corea del Sud, le donne che prendono l’iniziativa e che decidono di tagliare i loro capelli “troppo corti” e quindi di stravolgere il loro aspetto, non sono viste di buon occhio da coloro che portano avanti campagne misogine anti- femministe e iniziative contro le donne.
I capelli lunghi sono sinonimo di femminilità e le donne che stravolgono il loro aspetto sono viste come una minaccia. Questo perché, in tal modo, sfidano una società che le vuole in un certo modo e stravolgono l’idea che la donna deve avere un determinato ruolo all’interno della società patriarcale.
La Corea del Sud ha sempre portato avanti il culto della bellezza femminile. La storia inizia all’epoca dei Tre Regni per svilupparsi maggiormente durante la dinastia Goryeo (918- 1392). La popolazione, in quel periodo, era influenzata anche dalle idee del buddismo che riteneva che avere un aspetto curato potesse influenzare lo stato dell’anima di ciascuno. È da questo momento che le persone inizieranno a curare il proprio aspetto esteriore. Nel corso della storia tuttavia, cambieranno i canoni di bellezza. Nel medioevo la bellezza era data da pelle chiara, sopracciglia sottili e arcuate, labbra piccole e rosse e capelli lucidi. Con l’avvento della dinastia Jeson, cambieranno i canoni di bellezza. Viso tondo, labbra e occhi piccoli e naso grosso sono le caratteristiche per essere considerati belli.
Durante i ruggenti anni 20, la nuova donna moderna ed emancipata, la donna che sfida le convenzioni sociali, la donna che fuma, beve, indossa pantaloncini e calze di nylon, che taglia i capelli corti, una donna libera, artefice del proprio destino, arriverà anche in Corea.
Le proteste
Oggi esistono moltissimi gruppi di donne che protestano contro una società che le vuole tutte uguali e tutte sottomesse. Nel 2018 in Corea del Sud ha preso vita un movimento denominato Escape the corset, lanciato dalla Youtuber Lina Bae. La Bae invitava le ragazze a filmarsi nell’atto di distruggere e buttar via i propri trucchi. Il gesto doveva lanciare un messaggio forte, quello di ribellarsi alle regole di una società che vuole le donne perfette e intrappolate in questa visione così rigida della bellezza femminile.
Il gesto della campionessa An San ha sfidato le convenzioni sociali e si è fatto portavoce di un nuovo modo di vedere la donna, di un mondo in cui la donna non è più costretta a vivere limitata e costretta dagli stereotipi di genere ma che può esprimere se stessa ed essere veramente libera di tracciare il proprio percorso.