“Crying Girl on the Border”: quando la foto non basta più

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La crisi dell’empatia – La foto è intitolata “Crying Girl on the Border” e già nel 2018 aveva fatto il giro del mondo. Lo scatto è divenuto il simbolo della “tolleranza zero” di Donald Trump e costrinse il presidente a firmare l’esecutivo riguardo gli immigrati irregolari.

Una reazione importante, che (teoricamente) poneva fine al maltrattamento di famiglie e bambini lungo il confine messicano. Yanela, la bambina della foto, appare in lacrime, appena separata dalla madre durante una perquisizione. John Moore (da Getty Images) racconta da anni del problema migratorio; la suddetta foto gli ha permesso di vincere il WorldPress Photo 2019 e il Pulitzer.

Nonostante le numerose pubblicazioni, lo scatto è passato comunque inosservato, generando il solito “brusio da salotto” e nulla più; quella che era considerata una foto simbolica è finita nel dimenticatoio come da copione. Una piccola morale dell’interesse frammentato e superficiale sviluppatosi negli ultimi anni.




La “crying girl” rappresentava una realtà tangibile, eppure umanamente distante nella coscienza delle persone. Risale solo allo scorso anno la registrazione anonima proveniente dalla dogana statunitense, forse una delle più forti testimonianze in gioco: bambini che piangono e che chiamano i propri genitori, costretti a restare rinchiusi nei centri di accoglienza.

Oggi non abbiamo più notizia di tali barbarie. Dopo l’esecutivo di Trump, l’unica cosa che rimane è sperare in un cambiamento radicale e definitivo; quando l’informazione comincia a tentennare sino al silenzio, non è mai chiaro se si possa gioirne o restare diffidenti. Quel che è chiaro è che, ormai, anche la testimonianza diretta non basta più: l’empatia sembra essersi dissolta ed il nostro contesto storico dipinge una visione cupa dei rapporti umani. L’abitudine alla cronaca nera genera un disinteresse frustrante per ciò che appare lontano, al di fuori della nostra portata territoriale e concettuale.

L’episodio di Vienna non delinea semplicemente una mancanza di rispetto, ma l’instaurazione di una percezione effimera dell’essere umano, contestualizzato non più come proprio simile, ma come “colui che è e resterà sconosciuto”. In passato alcune foto hanno cambiato la storia, riacceso degli interessi e posto l’umanità in prima linea: ricordiamo Malcom Brown, Nick Ut, Kevin Carter, Robert Capa e molti altri. Persisteva forse una lealtà differente verso il genere umano? Il “pubblico” reagiva più coscientemente? Resterà un’incognita, almeno fino a quando non toccheremo l’ennesimo fondo del pozzo. La svalutazione dei diritti umani è solo la punta dell’iceberg.

Eugenio Bianco

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