Mercificazione del dolore: tra cronaca nera e morbosità perversa

cronaca nera e morbosità

Nelle scorse ore è stato ritrovato il cadavere del piccolo Gioele Mondello, scomparso in circostanze misteriose insieme alla madre Viviana, anche lei ritrovata morta nelle campagne siciliane. Il giornalismo, però, da troppo tempo digiuno di notizie che non riguardano la pandemia, non ha perso occasione: la terribile storia di Gioele e Viviana è il giallo agostano perfetto, quello che intreccia cronaca nera e morbosità perversa.





Dopo mesi di servizi giornalistici su contagi, decessi, curve in rialzo, previsioni di seconda ondata, spettatori e professionisti dell’informazione si trovano davanti una notizia da maneggiare con cura. E’ la storia dolorosa di Gioele e della sua mamma, ritrovati cadaveri nelle campagne siciliane. E’ una cronaca ancora molto fosca, fatta di tasselli di puzzle che non combaciano. La stampa online e offline però, spesso, dietro a una storia così macabra e delicata, vedono una miniera d’oro, in cui pescare click e attenzioni grazie a interviste ai vicini di casa, fotogrammi di padri distrutti dal dolore, video esclusivi ai luoghi del ritrovamento.



Il giallo agostano perfetto

E’, ancora una volta, il giallo agostano perfetto, che intreccia cronaca nera e morbosità. E’ successo con Manuela Bailo, nel 2018, con Sarah Scazzi, nel 2010, con Chiara Poggi, nel 2007, con i coniugi Donegani, nel 2005: contesti familiari perfetti e paesini di provincia scossi producono succulente pagine da sfogliare morbosamente sotto l’ombrellone e, più recentemente, post esclusivi da far rimbalzare in rete. Misteriosi, dolorosi e, soprattutto, monetizzabili: sono così i gialli perfetti. E’ la gente che lo vuole, che lo chiede, che lo brama: il dettaglio scabroso, l’ombra sull’insospettabile, la conferma che c’è qualcosa di peggio rispetto a noi stessi.



Non è solo Barbara d’Urso

Anche la storia di Gioele e della sua mamma Viviana, purtroppo, non va esente da queste dinamiche: la famiglia, la provincia, la sparizione. Il mistero, i dubbi sulla madre, gli appelli del padre. Quando Barbara d’Urso è in vacanza, il ricco banchetto della ricostruzione televisiva non viene lasciato da parte. Ci pensano allora gli altri giornalisti, quelli che si sentono superiori rispetto ai salotti televisivi del pomeriggio, a dissezionare famiglie e rapporti e a confezionare il servizio di nera perfetto, che quest’anno si inserisce tra i dati sui contagi e il servizio su quanto gelato mangeranno gli italiani.

Il Corriere della Sera, ma non solo, confeziona un efficace servizio sul padre di Gioele che si dispera sulla bara: cosa aggiunge, questo, rispetto alla notizia? Cui prodest? A chi serve? Sazia gli istinti voyeuristi degli utenti più morbosi e ripaga l’editore a suon di click, poi sfoggiabili nei dati da presentare agli inserzionisti. 

Cronaca nera o pornografia del dolore?

Da anni siamo assuefatti a ore e ore di registrato fondato sul nulla cosmico, su ricostruzioni stereotipate e pericolose illazioni. La cronaca nera ha le sue regole, si sa, fatte anche di dettagli cruenti e descrizioni minuziose, ma, negli anni, le narrazioni del dolore hanno preso sempre la strada della morbosità più perversa. Se tutti dobbiamo riportare la notizia sul ritrovamento presunto di un cadavere, allora, vince chi si guadagna più attenzioni. Vince chi usa il clickbaiting per il video del padre che piange sulla bara di Gioele, vince chi descrive rapporti e dinamiche famigliari come se fosse una maratona elettorale, con sensazionalismi e spettacolarizzazioni. Vince, ancora una volta, chi sguazza nella pornografia del dolore e nella libido della sofferenza, intrecciando cronaca nera e morbosità perversa.

L’attenzione dei media: da faro puntato a faro mai spento

La mercificazione del dolore, però, esiste perché esiste una domanda. La domanda allora è una. Siamo diventati così per colpa del giornalismo o è il giornalismo ad averci trasformati in morbosi guardoni, che si cibano famelici di pareri degli esperti in studio e di illazioni vendute per approfondimenti? E’ vero anche che, spesso, l’attenzione costante dei media su un caso può spingere chi di dovere a non mollare la presa. Ma qual è il confine tra questo e la pornografia del dolore? E non si dia, per piacere, ancora una volta tutta la colpa ai social e a Internet: il necroturismo dei pullman organizzati a vedere la villetta di Avetrana esisteva ben prima di Instagram.

Ancora una volta: i soldi

Scrivere di cronaca nera è uno dei mestieri più difficili. Riportare la mera notizia sembra oggi una sfida antieconomica, che non paga. La delicatezza di linguaggio e la discrezione dell’informazione non si traducono in click: ci vuole il circo della sofferenza. Tutti i giorni, a tutte le ore. Si sbattono in tv i protagonisti di un dramma in un momento di estrema fragilità. Si utilizzano per il tornaconto mediatico, fino a quando non verranno gettati via, per fare spazio a nuovi protagonisti. Deontologicamente e umanamente, quindi, si può ancora resistere alla tentazione di arricchire una notizia di immagini e video inopportuni? Si possono evitare contenuti, soprattutto, lesivi del dolore di chi, in quel momento, non se ne rende nemmeno conto? Si può ancora cercare un giornalismo altro, con un linguaggio altro, con contenuti altri, rispetto a un papà che piange sulla bara di un figlio?

Elisa Ghidini

Exit mobile version