In Italia, ma non solo qui, da anni si assiste ad un crollo demografico della popolazione. Nonostante sia cosa nota, l’opinione pubblica non sembra aver mai preso a cuore la cosa. Oggi, un cortometraggio firmato Plasmon potrebbe aiutare ad aprire la discussione.
Adamo 2050
Il 13 febbraio compare sul canale youtube di Plasmon, la popolare azienda di alimenti per l’infanzia, un video di sette minuti e poco più, intitolato Adamo 2050 – Una storia vera dal futuro. Il cortometraggio, di questo si tratta, segue la nascita e l’infanzia di Adamo, ultimo bambino nato in Italia in un ipotetico 2050. Nella registrazione, a scene in cui il bimbo gioca e scopre con curiosità il mondo che lo circonda, si alternano diverse interviste. Ad uno studioso di demografia, ad una maestra d’asilo, ad una dottoressa. Oltre a queste, si assiste all’intervista dei genitori di Adamo.
Molto profonda la scelta dei registi, Dude e Beppe Tufarulo, di utilizzare i tre professionisti per esporre le preoccupazioni sociali e relative al modo in cui ci rapportiamo al problema del crollo demografico, mentre con le parole dei genitori raccontare i timori per quel bambino, condannato a crescere solo, unico rappresentate dell’ultima generazione.
Adamo 2050, si legge nel sito di Plasmon, è la storia dell’ultimo bambino nato in Italia, ma anche, e soprattutto, un progetto con cui l’azienda si propone di operare per accendere la discussione sulla denatalità del nostro Paese. Sempre sul sito è infatti possibile sottoscrivere la Promessa di Adamo, un pacchetto di proposte da presentare agli Stati Generali della Natalità, per cercare di invertire la traiettoria declinante della nostra demografia.
I motivi del crollo demografico
Le motivazioni del crollo demografico sono molte, e intrecciate, e creano un labirinto di cause difficile da superare. L’allungamento medio dei tempi di formazione ed il conseguente posticiparsi dell’entrata nel mondo del lavoro si traduce, ad esempio, in un più tardo raggiungimento di quella stabilità che convince molte coppie ad avere dei figli. L’instabilità del lavoro stesso, e la sua incertezza, agiscono in questa direzione. L’Istat sottolinea come quella di avere figli sia una scelta sempre più posticipata, con un’età media per il primo parto che oggi supera i 32 anni, oltre la parentesi di maggiore fecondità che va dai 25 ai 30 anni. In questo, nuovamente, non aiuta il sistema del lavoro, che impone, di fatto, una scelta netta tra maternità e carriera. Il sistema di welfare per l’infanzia, poi, è tra i più carenti nel Paese, rendendo i bambini un costo di difficile sostegno per molte coppie.
Le conseguenze del crollo demografico
Il 30 gennaio 2023 il The New York Times pubblica un pezzo riguardo al costante avanzamento di età media nel nostro Paese. Lo chiamano “lo tsunami d’argento” ed inizia a destare preoccupazioni anche all’estero. L’Italia è infatti il Paese con la più alta età media (48 anni) dell’Unione Europea ed il secondo al mondo, preceduto solo dal Giappone. Il quotidiano americano cita la presidente Meloni, che parla, in maniera, si spera, iperbolica, di un’Italia che rischia di scomparire.
Tuttavia, è indubbiamente vero che il calo di nascite prospetta gravi conseguenze per il Paese. Innanzitutto, per la tenuta del mercato del lavoro e pensionistico: senza il ricambio generazionale, reso difficile dal minor numero di subentri, l’intero sistema rischia di implodere. Trascinando con sé quello stesso welfare che dovrebbe prendersi cura di chi dal mondo del lavoro è ormai uscito. L’intero sistema Paese rischia di entrare in una spirale di crisi strutturale, i cui strascichi continuerebbero ad incidere sull’intera collettività non per anni, ma per decenni.
Oltre a questo, il rischio è quello di esasperare una situazione già critica: la sempre maggiore frattura tra Nord e Sud del Paese. Oggi le regioni del Nord Italia riescono a mantenere una popolazione stabile, o addirittura in leggera crescita, anche grazie all’emigrazione del Mezzogiorno, con la conseguente accelerata del declino di quest’ultimo. Nei prossimi anni questa tendenza potrebbe aumentare, con le stime che parlano di una perdita, entro il 2065, di quasi un milione e mezzo di abitanti nel Meridione (senza tenere conto dei decessi), ridistribuiti per un terzo nel Centro Italia e per circa un milione al Settentrione. Con il conseguente ristagno economico e sociale che lo spopolamento di così grandi territori della Penisola comporterebbe.
I numeri del crollo demografico
Dall’unificazione del 1861 ai primi anni ’80 del secolo successivo, la demografia italiana vede una crescita più o meno costante (escluso per il periodo delle due guerre mondiali) di circa cinque milioni di persone ogni 20 anni. Negli anni ‘80 il primo appiattimento, con una popolazione di circa 55 milioni di individui che resta pressoché invariata fino ai primi anni del 2000. Nel primo decennio del terzo millennio, si ripresenta una timida crescita, dovuta in larghissima misura a movimenti migratori dall’estero, che raggiunge l’apice nel 2014, anno in cui l’Italia sfiora i 60 milioni e mezzo di abitanti. Dal 2015 inizia, per la prima volta nella storia del nostro Paese, il declino: oggi siamo a malapena 59 milioni.
Oggi il tasso di natalità è circa 1,25. Significa che per ogni coppia nascono mediamente 1,25 bambini. Il valore minimo necessario per avere una popolazione stabile è 2,1. L’ultima volta che questo numero è stato raggiunto era il 1976, anno in cui il tasso di natalità ha raggiunto il 2,11. Secondo le ultime stime del Sole 24 Ore, di questo passo il 2070 sarà l’anno in cui supereremo la soglia psicologica di 50 milioni, arrivando a fare dell’Italia un paese di 47,7 milioni di abitanti. Nel 2049 le morti doppieranno le nascite, 778mila contro 390mila. Questo, nel caso non si riesca ad invertire la tendenza.
Cercare una soluzione
Quando nascerà Adamo, nel 2050, la più grande fascia di popolazione sarà quella over 75. Per impedire che ciò avvenga è necessario un cambio di rotta dal punto di vista degli investimenti nei confronti delle famiglie. È necessario rendere, si passi il termine mercantilistico, “conveniente” avere figli. L’esempio di come le maggiori politiche sociali di un Paese influenzino profondamente la sua natalità viene dalla Svezia, che oggi è uno dei Paesi europei con il più alto tasso di fecondità (comunque inferiore a 2,1) e, contemporaneamente, con una delle più alte spese percentuali investite nel settore.
Tuttavia, più di ogni cosa, è fondamentale capire che le manovre, le riforme, le politiche che si possono, e devono, attuare in questo senso, saranno possibili solo a fronte di un serio interesse pubblico. Il calo demografico è noto da decenni, ma non ha mai realmente acceso gli animi nel nostro Paese. L’assenza di una seria discussione, con le sue naturali, e giuste, diverse posizioni, è forse il più triste sintomo di uno stato di rassegnazione nei confronti dell’inverno in arrivo. Forse, e sarebbe molto importante, Adamo, pur non essendo ancora nato, potrà nel suo piccolo aiutare a trovare il coraggio di ammettere ad alta voce il problema. E di cercare una soluzione.