Sono passati cinque anni dalla tragedia del Ponte Morandi di Genova. Il viadotto autostradale della A10 è crollato il 14 agosto del 2018 e ha causato 43 morti. La Procura di Genova ha concluso, dopo numerose inchieste, che il crollo è avvenuto per l’incuria e la negligenza, le carenze progettuali e i difetti nella realizzazione. Il Crollo del Ponte Morandi è uno dei numerosi drammi causati dalle privatizzazioni in Italia e dalla corruzione della sua classe dirigente.
Dal simbolo della ricchezza a quello della morte
Il ponte Morandi era uno dei simboli della città di Genova. Dava accesso alla città e permetteva di arrivare direttamente al centro del capoluogo ligure. Nell’immaginario collettivo, era il “Ponte di Brooklyn” proprio per la sua grandezza, imponenza e importanza nei collegamenti. Nonostante la sua enormità, era parte integrante del panorama ligure ed era indispensabile per il traffico cittadino. Il crollo del Ponte Morandi ha rappresentato per i cittadini di Genova una tragedia totalmente inaspettata, una realtà a cui non poter credere.
Inaugurato nel 1967, il ponte Morandi aveva una lunghezza di 1182 metri e un’altezza di 45. Sin dai primi dieci anni di vita, ha avuto dei problemi di prestazione. Le problematicità erano legate alla manutenzione, che ha sempre reso il ponte un’opera di uso deficitario. Necessitava infatti di molti controlli e questo, di conseguenza, comportava alte spese. Il problema di fondo era la materia prima con la quale era costruito: il cemento armato invece dell’acciaio. Proprio per questo, molte parti del ponte, come i tiranti, avevano problemi di flessibilità, sopratutto con gli sbalzi del vento e il peso delle automobili.
Il ponte di Genova ha sempre destato molte perplessità. C’è stato addirittura chi aveva suggerito di demolirlo o di rifarlo proprio perché i lavori di manutenzione erano insostenibili. Il ponte Morandi, o Viadotto di Polcevera, ha rappresentato per Genova una grande novità ma allo stesso tempo la più grande tragedia.
Il sogno genovese e la sua distruzione
Negli anni ’60, in Italia il progetto di riqualificazione e industrializzazione aveva l’obiettivo di collegare Genova con il nord Europa per rendere la città uno snodo viario fondamentale, al pari delle cittadine francesi. Un grande errore fu quello di costruire un ponte che non solo non era di acciaio – contrariamente al modello americano – ma era anche in una posizione discutibile. Lo Stato optò per la costruzione di un ponte che sarebbe passato a pochi metri da palazzine e industrie.
Il crollo del ponte Morandi ha lasciato un grande vuoto. Ancora oggi, ci sono molte associazioni che chiedono verità riguardo ad una faccenda troppo complessa e contorta. Vediamo infatti come ad anni di distanza ci siano nuove informazioni, scoperte, scandali, che non pongono mai un punto di fine alla faccenda.
La fonte di ricchezza che rappresentava il ponte Morandi era la sua destinazione: il porto. Lo sconvolgimento infatti è stato anche a livello commerciale, poiché il ponte era un’arteria di collegamento con il nord Europa. Il porto di Genova infatti iniziò un periodo di lunga sofferenza, a cui si aggiunse la pandemia da Covid-19, e non riuscì più ad occupare il primato di porto internazionale perché le navi venivano dirottate verso altre destinazioni.
La stabilità e la sicurezza del ponte erano sempre messe in discussione. Nonostante le preoccupazioni di molti esperti, l’arteria del ponte era necessaria. Il viadotto era una delle poche vie dirette e veloci. Il tratto dell’ A10, gestito da Autostrade per l’Italia, era importante sia per il traffico cittadino sia per quello provinciale. Si cercò anche di alleggerire la rete viaria del ponte con un passaggio alternativo: una gronda che avrebbe attraversato le colline. Il progetto però non ha mai rappresentato una valida alternativa, poiché troppo lontano dal centro città.
Il crollo del Ponte Morandi: le carte dei Pm
Gli interventi di revisione sono stati richiesti dai primi anni dalla sua costruzione. Molte erano le persone preoccupate che chiedevano una costante osservazione del viadotto, sopratutto per l’importanza e la posizione che ricopriva.
Nell’aprile del 2022, la procura di Genova ha chiuso le indagini sul collasso del ponte, mettendo in luce le modalità attraverso cui i dirigenti delle aziende interessate hanno lavorato. Dall’inchiesta, conclusasi dopo quattro anni dalla tragedia, ne è uscita fuori una totale incuria a vantaggio di un maggior profitto per i privati. Nonostante le richieste, non è mai stato eseguito un controllo per rinforzi o sostituzioni, per la volontà di risparmio delle aziende coinvolte.
Dalle carte dei Pm, si è più volte evidenziato il confronto tra le uscite pubbliche e quelle private per gli interventi di ripristino strutturale del viadotto Polcevera. I costi complessivi degli ultimi 40 anni erano totalmente in capo ai concessionari statali, mente il minimo residuale – circa il 2% – proveniva dalle casse dei privati.
Nel luglio dello stesso anno c’è stata la prima udienza del processo per il crollo del Ponte Morandi e tra le 59 persone imputate ci sarebbero stati ex amministratori delegati e responsabili di Autostrade e Spea – l’azienda per la sicurezza stradale. Come da copione, giustizia non è stata fatta, poiché le due aziende uscirono dal processo patteggiando un’ingente somma di milioni di euro.
Le intercettazioni del 2020
Le intercettazioni telefoniche, che hanno svelato parziali verità e i loro complici, sono le dimostrazione che tutti prevedevano a breve il crollo del Ponte Morandi . In questo ultimo anno, anche la stampa è riuscita a sapere di più sulla questione grazie alle pubblicazioni di carte, concessioni e intercettazioni. Una di quelle che ha destato più scalpore è la conversazione tra Gianni Mion, amministratore delegato di Edizione, e Sergio Erede, consulente legale del gruppo Atlantia – oggi Mundys. La prima azienda è una holding di proprietà Benetton, cioè una società finanziaria che detiene le quote societarie. La seconda era invece una società per le infrastrutture autostradali e della mobilità in generale, anch’essa di proprietà Benetton.
Nella conversazione, i due erano consapevoli del rischio di collasso. Oltre alla questione del grave inadempimento alla manutenzione, c’era anche un problema di progettazione. Mion sostiene inoltre che l’intera rete gestita da Atlantia è a rischio, poiché molto usurata. Il problema del ponte Morandi è il medesimo di gran parte delle costruzioni in Italia: il cemento armato. È la materia prima con cui vengono realizzate le grandi opere, ma dopo un arco temporale di circa trent’anni inizia a cedere e ha bisogno di riprese e manutenzioni.
Dopo il crollo del ponte Morandi, molte sono state le analisi sul rapporto che intercorre tra le aziende private dei Benetton e lo Stato. Si è cercato di fare chiarezza per poter chiarire le responsabilità, ma le carte false, i depistaggi e la lentezza del sistema sono nemici della giustizia e ancora oggi non permettono di conoscere l’intera storia.
I problemi che si nascondono dietro il crollo del ponte Morandi
Una risposta si trova sicuramente nelle infinite privatizzazioni che coinvolgono piccole e grandi opere in Italia. Le privatizzazioni hanno causato il trasferimento del bene e della sicurezza collettiva nelle mani di pochi. Come in questo caso, la gestione privata delle strade, un bene pubblico, assume totalmente un altro significato.
Si è visto come il privato agisce nel nome del proprio interesse: la riduzione del costo del lavoro e della manutenzione per un maggiore guadagno, attraverso il pagamento dei pedaggi sempre più alti. Dunque pensare al crollo del ponte Morandi è anche riflettere sul ruolo che giocano i privati nei confronti della popolazione.
Ma il grande problema della privatizzazione che si nasconde dietro il crollo del ponte, cela a sua volta anche altre questioni. Innanzitutto la necessità di nazionalizzare di più alcuni sistemi, come quelli autostradali. Ma è in grado lo Stato di far funzionare in sicurezza il bene pubblico? Di qui, un’altra questione legata agli appalti, che non sempre sono garantiti da gare corrette. Infiltrazioni mafiose e aziende corrotte, sotto il nome di libere imprese, sono sempre state una costante nell’edilizia, compromettendo la sicurezza dei territori e delle comunità.
La passerella politica per la commemorazione
Nell’agosto del 2020, c’è stata l’inaugurazione del nuovo ponte di Genova, il San Giorgio. Con la presenza delle più alte cariche dello Stato, c’è stata una grande cerimonia di inaugurazione e di ricordo delle 43 vittime. Tra i rappresentati istituzionali, il Presidente Mattarella e Giuseppe Conte, allora Primo Ministro. Vi erano anche il Presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, e Renzo Piano, l’archistar che ha progettato il nuovo ponte.
Anche per il prossimo 14 agosto, il quinto anniversario del crollo, sono previste ore di commemorazioni e spettacoli. Il comune di Genova ha organizzato per la giornata del 13 un concerto, mentre per il 14 ci saranno messe e processioni. Le presenze più attese, come da consuetudine, sono quelle della Presidenza e della Regione Liguria. Ci saranno i rappresentanti dei parenti delle vittime e l’arcivescovo di Genova. Un’altra presenza è quella del Ministro delle infrastrutture e i trasporti, Matteo Salvini.
Ma oltre alla quasi scontata “solidarietà istituzionale” bisognerebbe pensare a come cambiare i sistemi futuri di affari e costruzioni, affinché una tragedia come questa non accada più. La caduta del ponte è sinonimo di disinteresse del bene pubblico e della vita delle persone.
Anche a questo le alte cariche statali dovrebbero pensare ogni 14 agosto. Il territorio ligure è stato martoriato da un gran numero di speculazioni edilizie, con la complicità delle giunte regionali e dei loro diversi colori politici. E il popolo della Liguria che vive in quei territori lo sa bene. Non è un caso infatti che gran parte delle famiglie delle vittime ha scelto di non partecipare ai funerai di Stato, né alla cerimonia di inaugurazione del ponte San Giorgio, né ad ogni forma di commemorazione di questi cinque anni.
Un’altra macchia nera nella storia di questo Paese, narrata con obiettività, lucidità e senza sconti alla politica, spesso unica vera responsabile di suffatte tragedie.
L’articolo è una fedele fotografia di una dolorosa vicenda nazionale, fedele come deve essere la narrazione della storia.
L’articolo rappresenta un buon esempio di corretta narrazione dei fatti. La verità che sta dietro questa tragedia non può essere imposta ma deve giustamente essere per ciascun lettore il frutto di una riflessione che scaturisca da una informazione equilibrata e puntuale.
Lucida e attenta analisi di come la
eicerca del profitto tanto ambito dai manager, deve sempre rispettare le norme sicurezza e quindi la vita degli esseri umani.
Nulla giustifica la
Superficialità e e la consapevole incuria .
Speriamo che dagli errori del passato possano maturare e crescere le coscienze dei manager di domani!