Libia, la gestione della Banca centrale rischia di rompere i fragili equilibri politici

crisi politica Al Sarraj e Khalifa Aftar raggiungono un accordo

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Dal 2011 con la caduta del regime di Gheddafi la Libia ha vissuto anni di costante crisi politica accompagnata da una sanguinosa guerra civile che è finita solo nel 2020 quando le due fazioni politiche in lotta hanno firmato un accordo per il cessate il fuoco.

Da circa un anno però la situazione è tornata a peggiorare, il fragile equilibrio tra le due parti sembra essersi nuovamente spezzato e al centro della questione c’è la gestione della Banca centrale libica una delle poche istituzioni che era riuscita ad agire senza doversi piegare a nessuna delle due parti.

L’attuale primo ministro a Tripoli, che gode anche del sostegno della comunità internazionale (eccetto Russia e Cina), è Abdulhamid Dbeibah che è entrato in carica nel 2021 con lo scopo di portare il paese a libere elezioni, ma di fatto governa da anni senza essere mai passato dal voto dei cittadini. All’interno del governo è però presente un consiglio presidenziale composto da tre membri i quali svolgono le funzioni di capo di stato essendo questo non eletto. Ciò complica notevolmente la situazione anche a Tripoli dove sono molti i personaggi politici che ambiscono al ruolo di primo ministro e che sono disposti anche ad usare la violenza.

I rapporti tra il primo ministro e il presidente della banca Sadik al Kabir sono andati peggiorando con il passare del tempo e il motivo principale è la gestione dei tanti soldi che provengono dalla vendita del petrolio e che dal 2020 venivano spartiti tra il governo di Tripoli e quello situato nell’est del paese, con sede a Bengasi e legato al nome del generale Khalifa Haftar.

Dietro il conflitto nato tra la Banca centrale ed il governo di Tripoli ci sarebbe infatti proprio il regime di Haftar che negli anni ha guadagnato sempre maggiore fiducia da parte di Al Kabir e adesso riceve la quasi totalità dei fondi che vengono gestiti dalla Banca. Domenica 18 Agosto la stessa banca ha bloccato tutte le operazioni con Tripoli mandando in tilt l’intero sistema, in risposta il governo ha emesso un decreto per deporre il presidente, ma questo è stato ignorato e il presidente Al Kabir ha risposto che la Banca adesso è «una autorità al servizio del Parlamento di Bengasi», quello sotto il controllo del generale Haftar.



La crisi politica sta poi velocemente evolvendo anche sul piano militare poiché l’esercito comandato dagli Haftar, in particolare dal figlio Saddam, da circa un mese controlla il giacimento petrolifero di Sharara, uno dei più grandi e importanti giacimenti petroliferi nel paese, e minaccia costantemente di avanzare ulteriormente verso Tripoli città che è arrivato ad assediare già nel 2020.

Domenica 11 Agosto un gruppo armato ha assediato per varie ore la sede della Banca centrale con lo scopo di costringere alle dimissioni il presidente. Tale tentativo, sebbene fallito, dimostra la complessità della crisi politica in Libia dove anche all’interno del governo di Dbeibah esistono forti interessi divergenti. Secondo molti esperti Haftar in un futuro prossimo potrebbe riprovare a conquistare Tripoli forte anche dell’appoggio economico di Russia e Cina.

Nell’est del paese è infatti ancora presente la formazione paramilitare russa ex Wagner che si è riorganizzata militarmente e appoggia Haftar e la Cina ha più volte inviato armi e munizioni verso Bengasi. La situazione è quindi in costante evoluzione e intorno a Tripoli è ancora presente un numeroso contingente di truppe della Turchia, che appoggia il governo di Dbeibah, ha avuto un ruolo fondamentale anche nel 2020.

La crisi politica che attanaglia la Libia da ormai 13 anni è ora in una nuova fase di forte tensione e il rischio più grosso è che il fragile accordo di pace tra le due fazioni possa presto cadere e far posto ad una nuova guerra civile che sancirebbe il definitivo fallimento politico dei leader locali e della comunità internazionale incapaci di assicurare al paese un alternativa valida al dittatore quale era Gheddafi, o alla guerra tra fazioni.

Andrea Mercurio

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