La crisi migratoria in Venezuela non si arresta: milioni di persone lasciano il Paese rischiando la vita ogni giorno. L’ultima tragedia risale allo scorso 13 dicembre con la morte di 14 persone a seguito di un naufragio
Il naufragio
La crisi migratoria in Venezuela continua, portando a morti e tragedie che si consumano nella fredda indifferenza del mare. L’ultima risale al 13 dicembre scorso quando il governo venezuelano ha fatto sapere del ritrovamento di quattordici corpi in mare, a seguito del naufragio di una barca diretta a Trinidad e Tobago. La barca, dicono le autorità, sarebbe partita da Güiria il 6 dicembre con circa venti persone a bordo: l’imbarcazione è stata prima sequestrata e poi rimandata indietro da Trinidad. Secondo il deputato dell’opposizione Robert Alcala, le imbarcazioni che partono per Trinidad, come accade spesso per quelle che trasportano migranti, sono troppo cariche e in condizioni precarie.
Un rapporto della polizia ha rivelato che i corpi trovati in mare erano legati insieme, forse per proteggersi dalla violenza delle onde. L’avanzato stato di decomposizione, poi, fa presumere che siano stati in acqua molto a lungo prima di essere ritrovati, ma la Guardia Costiera di Trinidad e Tobago nega di aver intercettato alcuna imbarcazione proveniente da Güiria.
Si tratta dell’ennesima tragedia che coinvolge i migranti venezuelani, costretti a fuggire dal loro Paese a causa delle condizioni di vita sempre più precarie e pericolose.
Secondo l’Onu sono più di cinque milioni i venezuelani che hanno lasciato il Paese dal 2015 ad oggi; di questi 25mila hanno cercato rifugio presso l’isola di Trinidad e Tobago
Le origini della crisi economica
Il Venezuela sta conoscendo un lungo periodo di forte crisi a cui concorrono diverse cause. Nel 2013 c’è stato un forte crollo nel prezzo del petrolio con pesanti ricadute in diversi settori. Si scatena, così, una grave crisi finanziaria che porta con sé disoccupazione e irreperibilità dei prodotti base, da quelli alimentati a quelli sanitari. Contribuiscono la corruzione della classe dirigente, gli strascichi della politica economica di Chávez e una situazione politica instabile.
Nel 2013 con la morte di Chávez sale al potere il suo “delfino” Nicolás Maduro. Con lui gli effetti della crisi economica, da molti attribuita alle politiche di Chávez, iniziano a farsi sentire prepotentemente e questo anche a causa della crisi petrolifera in atto proprio nell’anno della sua elezione. Il nuovo presidente prosegue la politica economica e di propaganda anti-americana del suo predecessore, ma il consenso non è lo stesso. Maduro non ha il carisma di Chávez e il pesante clima di crisi indebolisce la sua figura.
Declino della situzione
L’insieme di tutti questi fattori, uniti alla disperazione della popolazione, scatenano molte proteste nel Paese a metà del 2013 che si risolveranno con numerose morti.
I tassi di mortalità sono alle stelle; i servizi pubblici stanno collassando uno dopo l’altro; l’inflazione a tre cifre ha lasciato oltre il 70% della popolazione in condizioni di povertà; un’ondata ingestibile di criminalità ha costretto a rinchiudersi in casa la sera; le persone devono stare per ore in coda per comprare del cibo; moltissimi bambini muoiono per la mancanza di semplici medicine e macchinari negli ospedali, così come gli anziani e chi soffre di malattie croniche
(Moisés Naím e Francisco Toro, Atlantic, 2016)
A peggiorare la situazione sul Venezuela si abbatte un periodo di siccità di tre anni, dal 2013 al 2016, che vede anche il contributo, in negativo, dell’uragano El Niño. La nazione è in ginocchio e la popolarità di Maduro continua a declinare: a Caracas il tasso di violenza sale vertiginosamente diventando una delle città più pericolose al mondo; il mercato nero si espande, essendo l’unico modo per reperire molti beni primari.
Il referendum del 2016 e le elezioni del 2018
Nel 2016 i politici dell’opposizione raccolgono 200mila firme necessarie per indire un referendum revocatorio per destituire il capo di Stato. Il 20 ottobre di quell’anno la Commissione elettorale sospende la raccolta delle firme, allungando i tempi necessari per le consultazioni. L’intento dell’opposizione era quello di indire un referendum prima di gennaio 2017, così da poter andare a nuove elezioni prima dello scadere naturale della carica di Maduro. Ma questo non è stato possibile.
All’inizio di ottobre lo stesso Maduro annuncia l’annullamento degli appuntamenti elettorali del 2016 e del 2017, adducendo come scusa la necessità di occuparsi della crisi che attraversa il Paese e cancellando qualsiasi possibilità di elezioni anticipate. Si parla di madurazo: questa mossa istituzionale per conservare il potere fino alla fine del mandato.
Nelle elezioni del 2018, con circa sei milioni di voti, vince nuovamente Maduro, rinnovando il suo mandato per altri sei anni. In molti, però, hanno considerato questa tornata elettorale illegittima perché pilotata appositamente per far vincere Maduro. Secondo le denunce mosse, il voto non era segreto così molti cittadini si sono rifiutati di andare a votare, col risultato di una bassissima affluenza.
Il candidato dell’opposizione si rifiuta di riconoscere il risultato e con lui diversi altri Paesi: Cile, Colombia, Argentina, Brasile, Canada e Stati Uniti; mentre in appoggio a Maduro intervengono Bolivia, Cuba e Russia.
Nel 2018 la crisi migratoria in Venezuela conta già due milioni di persone fuggite all’estero in soli due anni.
Non sono state elezioni pulite o legittime e non rappresentano la volontà libera e sovrana del popolo venezuelano
(Sebastián Piñera)
L’autoproclamazione di Juan Guaidó
Ad aggiungere ulteriore tensione alla precaria situazione venezuelana, subentra una nuova mossa politica. Nel 2019, con l’appoggio degli Stati Uniti, contrari da sempre alla politiche chaviste, Juan Guaidó viene eletto presidente ad interim del Venezuela. L’autoproclamazione è avvenuta il 23 gennaio dello scorso anno, a Caracas, durante una manifestazione antigovernativa guidata dall’opposizione. Secondo Maduro, che ha sempre mantenuto una politica anti-americana, si è trattato di un colpo di stato organizzato dagli Stati Uniti. L’allora Presidente Trump, infatti, ha subito riconosciuto la presidenza di Guaidó, seguito da altri Paesi avversi a Maduro. Tra essi anche larga parte dell’Europa.
La crisi migratoria in Venezuela
In uno scenario del genere non sorprende che si sia innescata una grave crisi migratoria in Venezuela, con conseguenze sui Paesi circostanti. Inizialmente, infatti, era il Venezuela ad accogliere chi decideva di lasciare il suo Paese per cercare condizioni migliori; ma con l’avvento al potere di Chávez le cose cambiano. All’inizio ad emigrare erano i più abbienti, che si spostavano in altri Paesi del Sudamerica o negli Stati Uniti qualora riuscissero a ottenere un visto. Con Maduro e con il forte indebolimento economico, le cose precipitano ulteriormente e a emigrare sono tutte le persone colpite dalla povertà.
Nonostante fenomeni di migrazione di massa non sono nuovi per il Sudamerica, quello che preoccupa in questo caso è il rapido peggioramento della situazione venezuelana.
Gli effetti di questa crisi si sono fatti subito sentire. Nella città colombiana di Cucuta la convivenza con il crescente numero di migranti è messa a dura prova. In passato la città permetteva ai venezuelani di ottenere un visto per una permanenza di breve termine, ma le cose sono drasticamente cambiate e chi arrivava non andava più via. Questa nuova situazione ha esasperato gli animi, creando reazioni di chiusura e diffidenza verso i venezuelani. Non solo: la polizia ha iniziato a fare rastrellamenti di persone prelevando molti venezuelanti, poi lasciati al confine e costretti a fare ritorno a piedi al Paese di provenienza.
Le cose non sono migliori neanche sul confine brasiliano. Qui sono nati quattro centri di accoglienza che, però, hanno dovuto dichiarare lo stato di emergenza per l’enorme flusso migratorio. Stesso discorso per altri Paesi come Perù e Panama.
Le conseguenze della crisi migratoria in Venezuela si riversano sugli altri Paesi che, però, hanno difficoltà a gestirle anche da un punto di vista burocratico. Il Paese, infatti, non è tecnicamente in guerra e non si può parlare di crisi umanitaria. Questo non permette, di conseguenza, di riconoscere ai migranti venezuelani lo status di rifugiati, creando ostacoli nell’accoglienza; questo, poi, rende difficoltoso anche fermare i rimpatri forzati. Rimpatri che la Colombia nega comunque di attuare.
Crisi umanitaria
Pur non essendo riconosciuta come tale, è innegabile che alla crisi migratoria in Venezuela corrisponda, di fatto, una crisi umanitaria. Anzi, secondo José Samaniego, coordinatore per il Venezuela dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), si tratta di una crisi senza precedenti per la regione.
Sempre più spesso i venezuelani anche della classe media lasciano il paese, magari solo per curarsi perché negli ospedali del paese mancano le medicine e ci sono continui blackout
Le persone che si mettono in viaggio per raggiungere i Paesi limitrofi sono, come sempre, preda di trafficanti e criminali che li sottopongono a vessazioni, sequestri e violenze.
La crisi migratoria del Venezuela oltre a essere diventata tra le più gravi nel 2020, è anche una di quelle con meno sovvenzioni economiche a livello internazionale. I Paesi ospitanti, infatti, molti dei quali incorrono in difficoltà interne, non hanno ricevuto sovvenzioni necessarie a far fronte ai flussi migratori.
Con la pandemia da Covid-19, poi, il clima è ulteriormente peggiorato: da un lato Maduro che strumentalizza la pandemia per scopi politici; dall’altro i riflettori mediatici sono puntati altrove dimenticando la tragedia che colpisce milioni di vite.
La situazione non migliora
Nel 2019 la FAO ha stimato che la malnutrizione è aumentata di sette volte, coinvolgendo il 21% della popolazione e l’economia, da quando Maduro è al potere, si è contratta del 65%.
Un appello ad intervenire arriva anche dall’Unicef. Secondo l’associazione, nel 2019 si è raggiunto il numero di 1,1 milioni di bambini che necessitano sostegno, protezione e accesso ai servizi essenziali.
Nello status di migranti, in attesa di un riconoscimento giuridico che regolarizzi la loro posizione, a pagare le violenze sono sempre i più deboli. Molti minori intraprendono il lungo viaggio senza genitori al seguito; con loro anche donne incinte o in allattamento.
La situazione non può migliorare se non si mettono in campo accordi politici che migliorino, prima di tutto, l’assetto economico. È poi fondamentale il riconoscimento di crisi umanitaria così da permettere la regolarizzazione nei Paesi ospitanti. Risulta fondamentale anche intervenire sull’opinione pubblica, per sensibilizzare le popolazioni all’accoglienza e tornare a puntare l’attenzione sulla crisi venezuelana a livello internazionale.
Marianna Nusca