L’Ecuador è recentemente finito nel caos dopo il golpe dei narcos. Ma la crisi è iniziata anni fa, e sta trasformando il Paese in uno dei più pericolosi dell’America Latina
La crisi in Ecuador è diventata oggetto di discussione negli ultimi giorni, con un golpe dei narcos che ha portato il Paese in “stato di guerra“.
In realtà, già alla fine del 2023, l’Ecuador si trovava nel pieno di una crisi economica, istituzionale e psicosociale senza precedenti. Con il deterioramento dei servizi sociali, l’aumento della criminalità e della povertà, il Paese risulta oggi collocato tra i più pericolosi del Sud America.
Il Presidente Noboa ha deciso per una soluzione militare, che può portare a una pace immediata. Ma a breve termine.
Per tornare a essere un Paese pacifico, l’Ecuador ha bisogno di ripartire dalle basi.
Crisi in Ecuador: la cocaina è il pilastro della violenza
Secondo l’Osservatorio ecuadoriano della criminalità organizzata (OECO), con oltre 7.500 morti violente, il 2023 è stato “l’anno più violento della storia” del Paese.
Inoltre, secondo i dati della Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (CONAIE), il 2023 è stato caratterizzato da un aumento della violenza contro i difensori della natura e dei territori dei popoli indigeni, dall’estrazione mineraria e dall’assenza dello Stato.
Ad oggi, sono oltre 700.000 gli ecuadoriani che hanno lasciato il Paese; e sono 250.000 i bambini e adolescenti che hanno abbandonato la scuola.
Quasi la metà degli abitanti è povera e disoccupata, il 25% dei bambini è denutrito, e metà popolazione soffre di anemia.
Eppure, fino a pochi anni fa, l’Ecuador era considerato uno dei Paesi più pacifici dell’America Latina.
La situazione è precipitata negli ultimi cinque anni, quando il porto di Guayaquil si è affermato come uno dei punti chiavi nella rotta della cocaina in Sud America e in Europa.
Come spiega Chris Dalby – direttore di InsightCrime, un gruppo di giornalismo investigativo focalizzato sul crimine organizzato – la domanda di droga è in costante aumento.
L’uso di droga in Europa è il pilastro fondamentale della violenza in Ecuador. La rotta numero uno del traffico transatlantico di cocaina è da Guayaquil ad Anversa.
Anche se, ora, si sta cominciando a vedere la cocaina ecuadoriana nei porti più piccoli: Le Havre in Francia, Lisbona, Gioia Tauro in Italia, Portsmouth in Inghilterra, Göteborg in Svezia. Sta spuntando dappertutto.
L’incessante domanda di cocaina in Europa è ciò che sta alimentando la guerra alla droga in Ecuador
Il tasso di omicidi per 100.000 persone è aumentato di oltre il 300%, e diversi politici e candidati di alto profilo sono stati assassinati. Inoltre, a partire dal 2021, nelle carceri dell’Ecuador sono stati segnalati più di 400 decessi a causa di scontri tra bande rivali.
Il golpe dei narcos e lo stato di guerra
Lo scorso lunedì 8 gennaio, il Presidente ecuadoriano Daniel Noboa ha dichiarato lo stato di emergenza per 60 giorni in tutto il Paese a causa di una grave crisi carceraria e di sicurezza.
Infatti, durante la notte, era stata segnalata l’evasione dal carcere di massima sicurezza di Adolfo Macías “Fito“, leader di una delle bande criminali più temute dell’Ecuador, Los Choneros. Poco dopo, si erano verificati disordini anche in altre sei carceri del Paese, dove alcune guardie sono state persino prese in ostaggio dai carcerati.
Il giorno seguente allo stato di emergenza, il Presidente ha ufficialmente dichiarato l’inizio di un conflitto interno tra le forze armate e gruppi criminali.
Ho firmato il decreto esecutivo che dichiara il conflitto armato interno e ho identificato i seguenti gruppi criminali organizzati transnazionali come organizzazioni terroristiche e attori belligeranti non statali: Águilas, ÁguilasKiller, Ak47, Caballeros Oscuros, ChoneKiller, Choneros, Covicheros, Cuartel de las Feas, Cubanos, Fatales, Gánster, Kater Piler, Lagartos, Latin Kings, Lobos, Los p.27, Los Tiburones, Mafia 18, Mafia Trébol, Patterns, R7, Tiguerones.
Ho ordinato alle forze armate di effettuare operazioni militari per neutralizzare questi gruppi.
A segnare l’inizio degli scontri è stato un gruppo di uomini incappucciati, i quali hanno fatto irruzione con armi da fuoco nello studio televisivo TC di Guayaquil, durante una trasmissione in diretta. Nel frattempo, per le strade di Guayaquil – città più grande dell’Ecuador, con circa 3 milioni di abitanti – si sono verificati attacchi con esplosivi, sparatorie, e il rapimento di diversi agenti di polizia. In tutto, almeno otto persone sono rimaste uccise e due ferite.
Tra mercoledì e giovedì, l’esercito ha dichiarato di aver riportato la situazione sotto controllo.
Ma a cosa si deve questa esplosione di violenza?
Secondo Sally Burch, attivista e giornalista direttrice dell’Agencia latinoamericana de informacion, la crisi odierna è da imputare soprattutto agli errori commessi dai precedenti Presidenti dell’Ecuador.
Dopo la fine dei governi di Rafael Correa nel 2017 il sistema di sicurezza è stato smantellato.
Le bande criminali hanno preso il controllo delle prigioni, dove il contrabbando di armi si è ampliato con la connivenza delle autorità carcerarie.
Il presidente Lenin Moreno, al potere tra il 2017 e il 2021, ha soppresso alcune agenzie di intelligence e sottratto competenze in materia di sistema penitenziario al ministero della Giustizia. La responsabilità delle carceri è stata affidata alla polizia, nota per le vicende di corruzione
Il tutto, aggravato dalle connivenze politiche con i gruppi di narcos.
Alcuni collaboratori di Guillermo Lasso, presidente dal 2021 costretto a dimettersi nel 2023, avevano legami con la mafia albanese, a loro volta in rapporti con cartelli messicani e colombiani attivi anche in Ecuador
Crisi in Ecuador: la risposta militare è quella giusta?
Alla violenta crisi in l’Ecuador, il Presidente Noboa ha scelto di rispondere con le armi, chiamando a raccolta tutta la popolazione.
Ora, più che in qualsiasi altro momento della nostra storia, è fondamentale che l’intera società ecuadoriana si unisca per portare avanti questa guerra senza precedenti.
Abbiamo raggiunto il punto di rottura e non c’è altro modo per salvare il nostro paese
Ma gli esperti di sicurezza e diritti umani sono dubbiosi sull’esito di tale strategia.
Tra questi Chris Dalby, che teme che la violenza possa aumentare anziché diminuire.
Penso che lui [Noboa] aumenterà il numero di morti ed elettoralmente deve farlo, [anche se] non sarei d’accordo. Penso che sia stato un sentimento unito di: “Mostreremo cosa possiamo fare e li sconfiggeremo”
Lo specialista di diritti umani Ramiro Avila ha parlato, inoltre, di rischi di un intervento indiscriminato e pericoli dell’impunità.
Non siamo esenti dal rispetto dei diritti; l’umanità delle persone deve essere sempre rispettata.
La dichiarazione di conflitto armato interno, ai sensi del Diritto Internazionale Umanitario, lascia diversi dubbi sulla sua ragionevolezza e sulla sua insufficiente motivazione.
Inoltre, desta preoccupazione la mancanza di garanzie per i diritti della popolazione civile che non è coinvolta, non partecipa e non trae vantaggio dalle azioni di questi gruppi criminali che, come abbiamo già sottolineato, hanno permeato diversi quartieri e territori, così come le stesse istituzioni. Senza queste garanzie, chiunque può diventare vittima degli eccessi degli attori in conflitto, statali e non
Tuttavia, come sostiene il giornalista e professore universitario Abraham Verduga, la popolazione è troppo stanca per tenere conto dei costi di una soluzione immediata come quella militare.
Altri attori sociali, come la Rete Femminista Latinoamericana Contro il Carcere, sono invece per una soluzione non militare. Desistere dalla militarizzazione del conflitto servirebbe a proteggere la vita delle persone e delle popolazioni che vivono sotto il fuoco incrociato nelle province e nei quartieri più impoveriti del Paese e nelle carceri.
Inoltre, sarebbero necessarie politiche di disarmo e che investano nell’educazione, nella salute e nella prevenzione, per evitare che i giovani vengano reclutati dai boss mafiosi che offrono loro una via d’uscita dalla loro vulnerabilità.