La crisi idrica in Sicilia ha sempre rappresentato un tema caldo, particolarmente negli ultimi decenni, quando le vicende politiche, la crisi infrastrutturale e le incertezze economiche hanno contribuito a creare un contesto instabile e problematico. Sebbene l’isola si caratterizzi per una forte scarsità d’acqua, con gravi carenze nella distribuzione, il sistema di gestione dell’acqua sembra essere più dominato da dinamiche politiche e affari privati che da una vera e propria visione a lungo termine per il bene comune. A partire dalla fine degli anni ’90, la questione si è intensificata, facendo emergere un intreccio pericoloso tra amministrazioni locali, poteri mafiosi, banche e grandi gruppi industriali.
La gestione mista: una strategia per la privatizzazione?
Una delle operazioni più discusse è quella che ruota attorno all’affidamento della gestione dell’acqua alla società mista pubblico-privato. Questa soluzione, prevista dalla legge e ratificata dal decreto Ronchi (che imponeva la gestione integrata dei servizi idrici), avrebbe dovuto risolvere le difficoltà strutturali del settore, tuttavia, ha generato più perplessità che soluzioni. La sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa che ha ordinato la creazione di un gestore unico per la rete idrica siciliana ha dato il via a una serie di operazioni che sembrano piuttosto orientate verso una privatizzazione de facto delle risorse idriche.
Il progetto di affidamento a una società mista, che vede come protagonisti l’Assemblea Territoriale Idrica di Catania (Ati) e la società Servizi Idrici Etnei (Sie), si inserisce in una logica che risponde sì alle direttive europee, ma allo stesso tempo finisce per lasciare ampi spazi ai capitali privati. Il piano prevede una gestione della rete idrica che, pur essendo apparentemente pubblica, si basa su forti investimenti privati, con i rischi di una privatizzazione silenziosa dei servizi. In particolare, il passaggio dalla gestione diretta del servizio da parte degli enti locali a quella di un consorzio pubblico-privato solleva dubbi sulla trasparenza e sulla corretta gestione delle risorse pubbliche.
Hydro Catania e Siciliacque
Nel panorama della gestione idrica in Sicilia, la competizione tra i gruppi Hydro Catania e Siciliacque ha acceso numerose polemiche. Hydro Catania, che opera nel Calatino e nella zona di Catania, fa parte della Sie ed è dominata da un gruppo di imprenditori locali tra cui il noto Sergio Cassar, un personaggio che appare centrale nell’intricata rete di gestione delle risorse idriche dell’isola. Hydro Catania è infatti un conglomerato di società private, tra cui Sielte, Sidra, Acoset e Acque di Casalotto, legate a figure imprenditoriali influenti e talvolta implicate in indagini giudiziarie.
Siciliacque, d’altra parte, rappresenta un altro grande attore nel settore idrico siciliano. Con un capitale sociale iniziale di 400mila euro, la società è prevalentemente sotto il controllo di Italgas, Unicredit e Intesa San Paolo, con il 50% delle azioni gravato da pegno. Inizialmente partecipata dalla Regione Siciliana, oggi Siciliacque è un esempio di come le banche e le multinazionali stiano entrando a pieno titolo nella gestione delle risorse naturali, con il rischio che l’acqua diventi una merce e non più un bene pubblico.
La situazione è complessa: mentre le banche e i grandi gruppi industriali sembrano aumentare il loro peso nella gestione, i sindaci e le amministrazioni locali sono divisi. Molti si oppongono all’idea di cedere completamente il controllo delle risorse idriche, temendo che questa operazione possa comportare un aumento dei costi e una scarsa attenzione alle necessità delle comunità locali.
Tra malagestione e interessi privati
La crescente presenza delle mafie nel settore idrico siciliano non è una novità. La gestione delle risorse idriche è stata spesso oggetto di infiltrazioni e controlli da parte di clan mafiosi, che hanno approfittato delle debolezze del sistema pubblico per estorcere denaro e ottenere appalti. Le indagini su Sielte, una delle aziende coinvolte nella gestione dell’acqua a Catania, hanno messo in luce la connessione tra il mondo degli affari e quello della criminalità organizzata. Il coinvolgimento di Salvatore Turrisi e la presenza costante di figure appartenenti a clan mafiosi hanno sollevato pesanti dubbi sulla legalità e la trasparenza delle operazioni.
Questo scenario è solo un esempio di come il sistema idrico siciliano sia stato, e continui ad essere, oggetto di manovre da parte di potenti interessi privati. Se da un lato la gestione privata dovrebbe teoricamente garantire maggiore efficienza, in Sicilia questa promessa è stata sistematicamente disattesa, con il risultato che la distribuzione dell’acqua rimane inadeguata e costosa, mentre i diritti dei cittadini sono frequentemente ignorati.
La politica e il futuro dell’acqua in Sicilia
Nel mezzo di questo contesto, le amministrazioni locali e la politica siciliana sono costantemente chiamate a prendere decisioni cruciali. La creazione di una società mista è stata più volte difesa dalla politica come una soluzione alle carenze infrastrutturali, ma molte voci, soprattutto tra i sindaci, sollevano preoccupazioni sul fatto che l’unica vera ricaduta positiva di queste operazioni sia la creazione di monopoli privati, senza alcun beneficio concreto per la collettività.
Il referendum sull’acqua pubblica, che nel 2011 aveva visto una netta prevalenza di voti favorevoli alla gestione pubblica delle risorse idriche, non ha impedito che la privatizzazione dei servizi idrici continuasse ad avanzare sotto forma di partnership pubblico-privato. Anzi, molte delle operazioni avvenute negli ultimi anni sembrano essere una sorta di bypass alla volontà popolare, con le bancarie multinazionali pronte a far valere i loro diritti su un bene essenziale come l’acqua.