Quelli che la settimana scorsa erano veti ora sono diventati “Casomai vediamo”: la crisi di governo è diventata il bizantinismo del nulla.
Era partita come una crisi di governo con del potenziale. Non solo per i retroscena di palazzo, con le coltellate dagli amici e la mano tesa dai nemici. E nemmeno per l’opinione pubblica che si accapiglia al bar su “Sì ma Renzi”, “No ma i grillini”. Anche perché il bar è chiuso. Sui contenuti, però, ci sarebbe potuto essere un dibattito abbastanza serrato. Insomma, pure argomentando contro il tempismo pungente di Renzi e di Italia Viva, l’attenzione si sarebbe potuta spostare sulle questioni fondamentali. Cosa scrivere all’UE per sbloccare quei 209 miliardi di euro che tanto ci farebbero comodo, ad esempio? O ancora: per quanto ancora il Presidente del Consiglio continuerà a decretare a destra e sinistra, con grande perplessità dei costituzionalisti e dei paladini del potere legislativo del Parlamento? E poi ancora: che ne facciamo della delega ai servizi? Come la mettiamo con il piano vaccinale che arranca, anche per questioni non direttamente controllabili dal Governo e dai suoi commissari?
L’argomento più noioso del mondo
E invece niente: la crisi di governo è diventato l’argomento più noioso del mondo. Due settimane fa eravamo tutti vivaci spettatori di quel che accadeva con la fiducia in Senato, un ampolloso rituale ravvivato dall’eclettica presenza del senatore Ciampolillo, mentre ora ci diciamo: “Per quanto ancora deve andare avanti questa pantomima?“. Vi capita mai, la sera davanti al telegiornale e all’ennesimo servizio su una crisi di governo inconcludente, di cambiare canale e di mettervi a guardare un altrettanto incomprensibile reality show? Non siete i soli: Costanze Reuscher, giornalista tedesca corrispondente in Italia, ha scritto l’altro giorno: “Questa non è politica, non si può annoiare la gente all’estero con questa roba”.
Un bizantinismo inconcludente
Snobismo teutonico? Non solo. Anche gli stessi giornalisti nostrani iniziano a trovare irrilevante quello che (non) sta accadendo: ne ha parlato sul suo blog Francesco Costa, vicedirettore de Il Post. Gli ha fatto eco Roberto Arditti, dalle pagine di Huffington Post, che ha definito questa fase politica un “bizantinismo inconcludente”, con la crisi di governo che si colloca a una distanza abissale dai problemi del Paese. I potenti o aspiranti tali, insomma, si riuniscono nella stanza dei bottoni, per parlare di poltrone e rimpasti, mentre nel Paese esplode il malcontento, i dati sulla disoccupazione sono spaventosi e quelli sull’andamento del piano vaccinale non di certo confortanti. E non è puro e semplice benaltrismo: è che questa crisi di governo è un inutile orpello del nulla.
Un camaleonte di nome Giuseppe Conte
La gestione della pandemia, di fatto, in Italia è da mesi appaltata alle regioni, al Comitato Tecnico Scientifico e al commissario Arcuri. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in questi mesi, nonostante alcune parentesi più o meno carismatiche, è stato un vuoto contenitore di questa o quell’altra idea. Nel 2018 era paladino del sovranismo e del populismo, espressi da Cinque Stelle e Lega che lo avevano posto a Palazzo Chigi. Poi al governo è arrivato il PD, che, bisogna dire, ha forse ancora meno personalità di Giuseppe Conte: ha fatto un po’ arredamento e sarebbe rimasto lì quieto ancora un po’, se non fosse giunto Renzi a dire che a lui, di fare la pianta grassa in un governo altrettanto decorativo, proprio non va. Certo, lo ha fatto con il solito piglio di chi ai matrimoni vuol fare la sposa e ai funerali vuole essere il morto, quindi è chiaro che non manchi chi lo accusa di protagonismo.
Dai veti ai “Casomai” della crisi di governo
Fatto sta che siamo al punto di partenza: prima Renzi dice “Mai con Conte“, il Pd allora risponde “Mai più con Renzi“. Gli fa eco il Movimento 5 Stelle “Cerchiamo i responsabili“. Risponde la destra “Ah, voi non eravate per il vincolo di mandato?”. Palla a Renzi: “Però magari…“. “Che faccio, torno?”, spera Conte. Una settimana fa quelli che erano veti che volavano a destra e sinistra, ora si sono trasformati in “Casomai”. E il Presidente della Camera Fico adesso si trova nell’ingrato compito di trovare qualcuno che vada bene a tutti, o magari ripiegare su Conte, un usato garantito che tutto sommato si può reinventare con principi nuovi, non importa se in contraddizione con le annate precedenti. In tutto questo, però, viene un dubbio: il meccanismo democratico sembra essersi inceppato, o addirittura invertito. Ora è il Presidente del Consiglio che sceglie i propri elettori in modo calcolato, al grido di “Uhm, vediamo ora a chi potrei andare bene”.
La crisi di governo non per le poltrone
Renzi si ostina a ripetere che loro non lo facciano per le poltrone. Qualsiasi intervista, di qualsiasi esponente di Italia Viva, rimanda a questa vocazione superiore asservita al bene del Paese: d’accordo. Ok. La domanda a questo punto, però, sorge spontanea: di cosa stanno discutendo quindi a Palazzo Chigi? Di trovare una persona a cui cucire addosso le idee del momento, un Presidente del Consiglio telecomandato dai partiti, che semplicemente si occupi della distribuzione dei ministeri alle varie forze di maggioranza? Ma in questo Giuseppe Conte è già straordinario e vanta nel suo curriculum l’appoggio camaleontico a qualsiasi esotica maggioranza si vada a formare. Non c’è bisogno di cercare altrove.
La polvere sotto il tappeto
L’articolo 95 della Costituzione recita: “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”. Come esattamente accadde nel 2018, sul tavolo di Fico si sta quindi scrivendo un programma senza identità, per mettere sotto il tappeto la polvere dell’evidente disaccordo di fondo, come a dire “Queste sono le cose da fare, qualcuno poi si troverà”. Tutto cambi perché nulla cambi, insomma: il più volte citato Mino Martinazzoli, ex ministro DC scomparso nel 2011, una volta disse “Forse su questa commedia già mediocre bisognerebbe far calare il sipario”. Ed è davvero ora: chiamateci quando avete finito.
Elisa Ghidini