Matteo Renzi, come un cattivo dei fumetti, ha innescato questa crisi per vendicarsi del NO al referendum costituzionale del 2016 e per l’abbandono dell’Italicum
Cosa si nasconde dietro alla crisi di governo innescata da Renzi? Oggi non vi parlerò della crisi di governo in sé (perché se n’è già scritto profusamente), ma della sua genesi. Se siete interessati ad approfondire i motivi ufficiali della crisi, vi consiglio di leggere I motivi della crisi di governo italiana e i possibili epiloghi di Marco Giufrè; se invece siete interessati alle ragioni profonde e serpeggianti che hanno spinto il malvagio Matteo ad abbracciare il caos, allora questo è l’articolo che fa per voi.
È il lontano 22 Febbraio del 2014 e il giovane Matteo Renzi succede a Enrico Letta in qualità di premier. Senza neanche il tempo di ambientarsi, il segretario del PD comincia a presentare numerosi emendamenti a modifica della legge elettorale Italicum, progettata nel 2009 da nientepopodimeno che sé stesso.
Dopo una storia travagliata e punteggiata da voti di fiducia, l’Italicum di Renzi viene firmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 6 Maggio 2015.
Italicum: ecco cosa prevedeva la legge elettorale
- Premio di maggioranza di 340 seggi (54%) alla lista in grado di raggiungere il 40% dei voti al primo turno;
- Ballottaggio tra le due liste più votate se nessuna raggiunge la soglia del 40%: la vincitrice ottiene 340 seggi (54%);
- Soglia di sbarramento al 3% su base nazionale per tutti i partiti;
- Suddivisione del territorio nazionale in 100 collegi plurinominali;
- Designazione di un capolista “bloccato” in ogni collegio da parte di ciascun partito;
- Possibilità per gli elettori di esprimere due preferenze di genere da scegliere tra le liste di candidati;
- L’obbligo di non designare in più del 60% dei collegi nella stessa circoscrizione capilista dello stesso sesso e di compilare le liste seguendo l’alternanza uomo-donna.
Voglio anche ricordarvi che l’Italicum venne disegnato per la sola Camera dei Deputati, siccome la riforma costituzionale Renzi-Boschi del 2016 puntava a trasformare il parlamento da bicamerale a monocamerale, togliendo al Senato la possibilità di votare la fiducia.
Ora, per capire dove affonda le proprie radici questa crisi di governo scatenata da Renzi, dobbiamo guardare all’esautorazione del Senato dal voto di fiducia e ai primi due punti della legge elettorale: il premio di maggioranza e il ballottaggio tra le due liste più votate.
Il Renzi del passato voleva evitare la crisi di governo, ma il Renzi del presente vuole solo vendetta
Immaginiamo per un momento che Italicum e riforma Renzi-Boschi abbiano avuto successo e che le elezioni del 2018 si fossero compiute secondo le regole renziane.
La coalizione di centro-destra prese il 37% dei voti (la coalizione, non la lista. L’Italicum prevedeva candidature per liste, non per coalizioni. Potete leggere qui qual è la differenza); Il Movimento 5 Stelle prese il 32,68% dei voti; la coalizione di centro-sinistra ottenne il 22,86% dei voti.
Possiamo immaginare che centro-destra e M5S sarebbero andate al ballottaggio e che una delle due forze avrebbe ottenuto il 54% dei seggi.
Cosa significa tutto ciò?
Ebbene, significa che se fosse andata così, un partitino come Italia Viva (che conta il 4% dei seggi) non avrebbe potuto innescare in alcun modo nessuna crisi di governo, perché la maggioranza sarebbe stata compatta, e non formata da forze più piccole alleatesi dopo lo spoglio dei voti.
Dunque, (per dirla alla pentastellato) “Renzi che fa?!?!?” Ve lo dico io, si vendica degli italiani sfruttando la debolezza della maggioranza che nel 2016 cercò di eliminare.
Lascio a voi decidere se sia preferibile il nostro presente – senza riforma costituzionale e Italicum e con un Renzi che sfoga tutta la sua brama di vendetta – o un presente alternativo, con una forte maggioranza di centro-destra o M5S senza la possibilità di una crisi interna.
Daniele Terracciano