Si è aperta un po’ a sorpresa una crisi politica in Russia dove si è dimesso il primo ministro Dmitrij Medvedev, e con lui tutto il governo. Una mossa che arriva in seguito alle annunciate riforme costituzionali auspicate dal presidente Vladimir Putin nel discorso sullo stato della nazione, e che nelle intenzioni del capo dello stato dovrebbero essere sottoposte a referendum popolare.
PREMIER SCELTO DAL PARLAMENTO
Medvedev, in carica dal 2012, avrebbe motivato il suo passo indietro proprio con la volontà di lasciare mano libera a Putin per portare avanti una serie di modifiche che cambierebbero la costituzione e l’equilibrio tra i poteri dello stato. La novità più rilevante sarebbe l’attribuzione alla Duma di stato, la camera bassa del parlamento, del compito di nominare il premier e i ministri. Una prerogativa che attualmente spetta al presidente della repubblica. Al capo dello stato resterebbe comunque la possibilità di rimuoverli dall’incarico.
INDIVIDUATO IL SOSTITUTO
Mentre per il premier dimissionario, che resta in carica fino alla formazione del nuovo governo, si profila la nomina a vice presidente del Consiglio di Sicurezza nazionale, sarebbe stato già risolto il problema della successione. Il prescelto è Mikhail Mishustin, attualmente a capo dell’agenzia fiscale. Scartati dunque gli altri nomi che erano circolati in queste ore, quelli di Maxim Oreshkin, attuale ministro dell’economia; Alekandr Novak, titolare dell’energia, e Sergheij Sobjanin, sindaco di Mosca. Ora però spetta alla Duma ratificare la nomina.
QUALE FUTURO PER PUTIN?
Gli interrogativi maggiori riguardano tuttavia il futuro politico di Vladimir Putin. L’attuale presidente, nel 2024 terminerà il suo secondo mandato consecutivo alla guida della repubblica russa, il quarto totale. Poi non potrà più ricandidarsi, stando alle regole attuali. Ma per molti, le sue attuali mosse mirano proprio ad avere la possibilità di continuare a giocare un ruolo di primo piano sullo scacchiere politico del paese, anche dopo la fine della sua presidenza. Magari tornando a ricoprire l’incarico di premier, già suo tra il 2008 e il 2012. A meno di non eliminare la clausola sugli incarichi consecutivi, il che gli permetterebbe di riproporsi a capo del Cremlino anche dopo il 2024.
DINO CARDARELLI